Il Liceo Classico sta al
neoliberismo come un eretico alla Controriforma. Per questo qualcuno
vorrebbe bruciarlo come Giordano Bruno. È oramai un coro quello dei
sedicenti “esperti” che pontificano sulla “crisi” del
Classico. Tutti costoro, più o meno ipocritamente, sottolineano
l’importanza delle materie umanistiche per la formazione
dell’individuo; salvo poi indicare (con soddisfazione) nel calo
delle iscrizioni (dimezzate in sette anni) la dimostrazione che ormai
il Liceo avrebbe fatto il suo tempo. I più decisi detrattori
militano (guarda caso) nelle fila di Confindustria.
Processo iniziato,
rogo già pronto
Vediamo un rapido elenco
delle accuse che si possono ascoltare nei convegni e leggere sui
giornali. Il Liceo Classico sarebbe una scuola “vecchia”, “chiusa
all’alternanza scuola-lavoro”, “estranea alla realtà
lavorativa”, “lontana dalla realtà”; praticherebbe una
“grammaticità fine a se stessa”, perché “privo di laboratori
linguistici”; produrrebbe il “retoricismo” che affligge la
burocrazia italiana; sarebbe “anacronistico” nella sua divisione
in Ginnasio e Liceo; insegnerebbe “a leggere ma non a scrivere”,
non avendo “laboratori letterari”.
Ma c’è di più:
“promette, senza dare risultati concreti”; “non fa studiare le
connessioni tra fatti storici”; è “utile solo per fare citazioni
in latino e non studiare matematica”; “non fa più il lavoro che
svolgeva mezzo secolo fa, quando aiutava a mettere in relazione i
testi con il mondo circostante, costituendo un ponte tra umanesimo e
scienza”.
E poi ancora: “negli
ultimi test OCSE-PISA gli studenti del Classico sono risultati quelli
meno capaci di risolvere problemi e persino quelli meno dotati di
competenze letterarie”; “non prepara in economia e in
matematica”; impartisce “insegnamenti passatisti ed
aristocratici”; “sancisce le disuguaglianze”; “sterilizza la
creatività individuale mediante una didattica trasmissiva e
nozionistica, soffocandola attraverso un filologismo ed un
cognitivismo privi di metodo scientifico”.
La superiorità del
Classico sarebbe dunque soltanto presunta: perfino il dato
incontestabile, secondo cui gli studenti universitari più bravi
provengono dal Classico, sarebbe dovuto al fatto che “al Classico
si iscrivono i figli delle classi dirigenti”: non, quindi, ad un
valore aggiunto dal Classico stesso.
Accuse discordanti, ma
concordi nella brama di condannare.
Le soluzioni proposte?
“Togliere il latino”! Istituire un “Liceo Classico applicato”!
Oppure un Liceo “Scientifico-Classico” (magari con il greco
opzionale)! Del resto, il Liceo Classico insegnerebbe contenuti
“belli sì, ma inutili”! Mentre, oltre all’“inutile”,
esiste anche l’“utile”! E quale sarebbe l’“utile”, se non
il (dio) Profitto? Quale, se non il (dio) Mercato?
Insomma, il Liceo
Classico non deve più esistere perché “non serve”. O meglio,
“non serve” alla “realtà”. Intendendo, per “realtà”, il
“Mercato” e l’“Utile”.
Dogmi spacciati per
argomentazioni
Opinioni rispettabili. Ma
pur sempre opinioni. Ammantate di (preteso) rigore scientifico, ma in
realtà fondate su dogmi. Dogmi molto simili a quelli di qualsiasi
religione.
Non è forse un dogma,
infatti, quello secondo il quale il calo delle iscrizioni
dimostrerebbe che il Liceo è superato? È vero che gli iscritti al
Liceo sono oggi ridotti a 30.000 in tutta Italia (circa il 6% del
totale degli iscritti alle Superiori), ma questo dimostra che il
Liceo è fuori moda; non che sia “inattuale” o “inutile”.
Stupisce la protervia con
cui si abusa delle circostanze per attaccare un’istituzione
gloriosa, che continua a fornire alle Università italiane (e
straniere) gli studenti migliori. Infatti, i laureati con voti
superiori ai 105/110 (quelli che trovano più facilmente lavoro)
provengono per lo più dal Liceo Classico: e sono laureati in
Agraria, Ingegneria, Economia, Architettura, Medicina ed altre
facoltà scientifiche. Come si fa, allora, a sostenere con tanto
granitica certezza che il Classico è “inutile”, “avulso dalla
realtà lavorativa”, “non al passo coi tempi”?
«Ma» dicono alcuni, «i
diplomati con maturità classica sono più bravi già in entrata,
perché provengono da famiglie “bene”». Altro pregiudizio,
facilmente smontabile. Lo dimostra il fatto che, soprattutto negli
anni Sessanta, Settanta e Ottanta, il Liceo ha sfornato migliaia e
migliaia di diplomati di estrazione proletaria e piccolo-borghese
(tra cui il sottoscritto) privi delle basi culturali familiari di cui
disponevano gli studenti che si iscrivevano al Liceo negli anni
Trenta (figli di avvocati, medici, magistrati, notai e diplomatici).
La loro promozione sociale, opera di un Liceo Classico che degli
ascensori sociali è tuttora il principe, è un fatto indiscutibile.
Le calunnie di chi
ignora
L’accusa di essere una
scuola finalizzata alla “grammaticità” (e che non insegna
“competenze”) non sta in piedi. Per verificarlo basterebbe che
alcuni tronfi soloni mettessero piede, almeno una volta, in un’aula
scolastica (cosa che evidentemente non fanno dal lontano giorno del
proprio diploma). C’è ignoranza o malafede in questo tentativo di
disinformare l’opinione pubblica? Insegnare come 60 anni fa, oggi
non sarebbe possibile, perché gli allievi sono troppo diversi,
distratti, privi di requisiti culturali minimi; il che toglierebbe a
chiunque (anche al più attardato ed autolesionista degli insegnanti)
la fantasia di dedicarsi al “cognitivismo”, al “filologismo”,
al “nozionismo” ed al “trasmissivismo”.
Tutti i Docenti sono
consapevoli (se non altro perché “di necessità virtù”) che le
nozioni sono strumenti e non finalità; che i contenuti sono utili
per sviluppare capacità, non per imporre erudizione; che finalità
della Scuola è insegnare a ricercare autonomamente, non versare
nozioni nelle teste dei discenti come benzina in un serbatoio.
Come si potrebbe,
d’altronde, perseguire ancora il nozionismo, in una Scuola ridotta
come la nostra, con classi-pollaio di 32 alunni, in edifici
fatiscenti e malsicuri, con cattedre frantumate dall’accorpamento
di materie e classi di concorso, con il “risparmio” come unico
criterio guida? L’accusa di nozionismo può venire solo da chi non
conosca la realtà attuale della Scuola (o finga di non conoscerla).
Diffamazioni
grottesche
Che poi il Classico non
insegni le connessioni tra fatti storici e culture è semplicemente
ridicolo. Se c’è un tipo di Scuola in cui si va in profondità
nello spiegare i fatti storici, quella Scuola è il Liceo, che lo fa
persino linguisticamente. Nessuno come un bravo studente del Classico
può fare della comparazione linguistica uno strumento di conoscenza
storica, filosofica, antropologica. Nessuno può capire la storia
greca e romana meglio di uno studente del Liceo Classico, che penetra
concetti come “democrazia”, “politica”, “oligarchia”,
“tirannide”, “isonomia”, “parresia”, “civitas”,
“ius”, “humanitas”. E nessuno può capire la storia
contemporanea meglio di chi ha compreso quella greca e quella romana.
Falso anche che il Liceo
non prepari i giovani al metodo scientifico. Come attestano i Docenti
universitari delle facoltà scientifiche, solo i migliori diplomati
del Classico posseggono una mentalità scientifica vera: solo loro
sanno osservare con rigore e attenzione i dettagli, estrapolarne
induzioni, discernere costanti e variabili, individuare soluzioni.
Solo loro sanno utilizzare questo procedimento per la risoluzione di
qualsiasi problema, dopo aver acquisito le conoscenze tecniche
specifiche. Tutto ciò è frutto del lavoro di traduzione dei
classici e degli studi storico-filosofici. Altro che nozionismo.
Altro che quiz.
Chi è fuori dalla
realtà?
Singolare, peraltro, che
si attribuisca al Classico la colpa della scarsa conoscenza della
realtà da parte dei suoi studenti. I detrattori del Liceo
dimenticano che nel 2008 la cosiddetta “riforma” Gelmini ha tolto
alla geografia metà del suo monte ore nel Ginnasio, portandola da
due ore settimanali a una, ed accorpandola alla storia (in un
monstrum epistemologico che i collaborazionisti ribattezzano
“geostoria”). Ora i Docenti devono insegnare (in tre ore
settimanali) storia e geografia insieme, valutando gli allievi con un
voto unico, e scegliendo se sacrificare un quarto del programma di
storia o metà del programma di geografia. È colpa del Liceo se le
cose non funzionano più come prima?
E, già che ci siamo,
vediamo un po’ di ricordare gli altri bastoni messi fra le ruote
del Liceo dalla stessa Gelmini, inventrice del “tunnel dei
neutrini” nonché prestanome dell’ex Ministro dell’Economia
Tremonti, il quale con un sol colpo di rasoio amputò alla Scuola
italiana ben otto miliardi di euro (con la legge 6 agosto 2008, n.
133).
Per tagliare questi otto
miliardi, tutti gli ordini di Scuola subirono riduzioni di ore e di
insegnamenti. Però, per dare l’impressione che dietro i tagli ci
fosse un impianto culturale, le ore settimanali assegnate alle
materie tecnico-scientifiche (disegno tecnico, astronomia, biologia,
matematica, scienze naturali, fisica) furono aumentate in alcuni
indirizzi, ma diminuite in altre, secondo le norme del gioco delle
tre carte (sempre efficace nel Paese di Acchiappacitrulli per
rimescolare le acque ed ingannare i semplici).
L’insegnamento delle
scienze naturali, prima impartito nel Classico solo al triennio,
venne esteso al biennio ginnasiale: vale a dire imposto a scolari di
quattordici-quindici anni, sprovvisti della preparazione chimica,
matematica e fisica necessaria per capire le scienze naturali stesse.
Ben lo sanno i Docenti di questa materie, che dal settembre 2010
(data di entrata in vigore della rovinosa “riforma”) faticano
molto per ottenere dagli alunni partecipazione e risultati. Così,
però, il Governo di allora poté orgogliosamente vantarsi di aver
reso il Liceo più “moderno”.
Sotto i colpi di
Gelminator
Eppure la
“gelminizzazione” ha inferto danni ancor più gravi.
Paradossalmente nel Ginnasio sono state colpite proprio le cattedre
della classe di concorso A052 (“Italiano, latino, greco, storia,
geografia nel Liceo Classico”). All’italiano è stata scippata
un’ora a settimana: un’ora su cinque significa il venti per cento
in meno. Riduzione radicale, che certo non facilita il completamento
dei programmi. Per di più il MIUR ha pensato bene di riformulare i
programmi stessi: accrescendone i contenuti! Perciò ora i Docenti di
quinta ginnasiale devono, oltre ad ultimare il programma ordinario,
insegnare ai quindicenni anche la poesia italiana delle origini
(precedentemente insegnata in prima liceale).
In realtà questi tagli
orari sono serviti a licenziare un bel po’ di Docenti (per ora solo
precari). Infatti il taglio delle ore di italiano e di geografia ha
provocato la riduzione delle cattedre A052 (“Materie letterarie,
latino e greco nel Liceo Classico”) a 16 ore settimanali (dalle 18
precedenti), consentendo l’espulsione di un precario ogni nove.
Per di più la riduzione
a 16 ore delle cattedre di lettere nel Ginnasio, unita all’obbligo
per i Docenti di effettuare 18 ore settimanali di insegnamento in
classe (senza ore a disposizione della scuola per sostituire i
colleghi assenti) ha comportato lo spezzatino delle cattedre e la
fine della continuità didattica (nonché l’impossibilità di
sostituire gli assenti per malattie brevi).
Oggi nel biennio
ginnasiale, dove un tempo le materie letterarie erano insegnate da un
solo Professore (o al massimo da due) i quattordicenni si ritrovano
tre insegnanti, a volte quattro (uno d’italiano, uno di latino, uno
di greco, uno di “geostoria”), che cambiano classe quasi ogni
anno, in barba all’esigenza di continuità didattica.
Insegnare il greco con un
metodo diverso rispetto al latino è pura follia. Sono discipline
diverse, ma assolutamente complementari, e servono a generare quella
conoscenza omogenea del mondo classico che è base imprescindibile
per capire il mondo contemporaneo.
Alla luce di tutto ciò,
ci si meraviglia ancora che gli studenti del Classico siano meno
bravi e che le iscrizioni siano calate?
Demolizione
controllata
Ma non è ancora tutto.
Un altro espediente è stato escogitato per minare le fondamenta del
Liceo. Infatti i Professori della classe di concorso A052 (“Materie
letterarie, latino e greco nel Liceo Classico”) sono sempre più
costretti all’insegnamento del solo greco, oppure relegati a
insegnare non più il greco, ma le altre materie letterarie, fuori
dal Classico. Sì, perché ad insegnare le altre discipline
letterarie nel Ginnasio, dal 2011, vengono autorizzati anche i
Docenti di Lettere non abilitati all’insegnamento del greco; ossia
quelli della classe A051 (“Materie letterarie e latino nei Licei e
nell’Istituto Magistrale”), pesantemente falcidiata dai tagli
spacciati per “riforma” della Scuola pubblica.
Per risolvere il problema
dei tanti soprannumerari della A051 (moltiplicati dalla feroce
diminuzione di ore per materie fondamentali come italiano e latino
negli altri Licei), il MIUR ha elaborato la solita operazione
aritmetica, semplicemente spalmando sul Ginnasio gli Insegnanti non
abilitati per il Ginnasio, in competizione con quelli della A052: i
quali posseggono invece il titolo di studio e l’abilitazione
previsti. Alla faccia della neologistica “premialità” e della
“meritocrazia” tanto care ai nostri Governi!
I sindacati “maggiormente
rappresentativi” (che per restare tali firmano qualsiasi tipo di
contratto con la controparte governativa) non hanno protestato. Solo
il sindacato Unicobas Scuola ha sostenuto le proteste dei Docenti
A052, riconoscendo in esse non solo la difesa di diritti acquisiti in
base alla legge, ma anche la tutela della qualità stessa della
Scuola. Ci sono stati ricorsi al TAR (uno dei quali vittorioso),
diffide, sit-in, incontri con i dirigenti del MIUR. Tutto inutile.
Ogni anno lo scempio si ripete nella definizione degli organici e
nell’assegnazione delle cattedre (vedi qui e qui).
Studiare meno,
licenziare tutti
Ultima perla (nera): il
Liceo a quattro anni. Per risparmiare licenziando i Prof. Quando
sarebbe necessario, semmai, estendere l’obbligo scolastico a
diciotto anni. Basti pensare che il presidente degli Stati Uniti
Obama ha appena avviato il progetto inverso a quello di Renzi,
Giannini & Co.: la Scuola Superiore a sei anni (vedi qui).
Superfluo qualsiasi ulteriore commento.
Delitto
preterintenzionale o premeditato? Goebbels docet
È casuale tutto ciò?
Domanda retorica. Si mira in realtà a dismettere il Liceo Classico
così come a smantellare e privatizzare la Scuola Statale. Il Liceo
“non serve” all’alta finanza, che ormai controlla lo Stato e ne
condiziona le scelte. “Non serve” perché non è servo delle
necessità di quel ristretto giro di straricchi che domina il Paese,
l’Europa, il mondo. Il Classico produce menti capaci di pensiero
critico; capaci, cioè, di valutare la realtà; di scegliere secondo
scale valoriali etiche, e non solo economicistiche e mercatistiche.
Di menti simili il grande capitale non ha bisogno, se non per il
ridotto numero dei suoi adepti e dei suoi servi: per allevare i quali
“non serve” un Classico di massa.
Al grande capitale non
torna utile l’esistenza di una Scuola che funga da ascensore
sociale per un gran numero di diplomati. Anzi, se questo numero
crescesse troppo, aumenterebbe il conflitto tra capitale e lavoro.
Meglio, per il grande capitale, se i diplomati hanno un basso livello
di spirito critico; se sono bravi ad eseguire perfettamente un
ristretto elenco di operazioni esecutive che facciano funzionare la
macchina dell’economia asservita al capitale stesso.
I cittadini non devono
conoscere troppo bene la storia; li renderebbe capaci di decifrare le
decisioni dei Governi e di metterle in discussione, senza credere
facilmente alla propaganda oggi imperante: fatta di poche idee,
continuamente ripetute per diventare verità nella mente delle
persone. Come la propaganda di Joseph Goebbels.
I cittadini di domani
devono rassegnarsi ad un futuro di precarietà, di incertezza, di
assenza di diritti. Devono rassegnarsi a lavorare per molte ore in
modo ripetitivo, senza creatività, in cambio di pochi soldi. Come i
lavoratori cinesi, che sono tecnicamente preparati, resistenti alla
fatica, di poche pretese. Come schiavi.
Perché, allora, renderli
troppo colti e capaci di leggere, di scrivere, di ragionare e di
astrarre? Cui prodest? Perché renderli capaci di padroneggiare a
fondo la propria lingua attraverso lo studio delle lingue antiche?
Servirebbe solo a renderli capaci di non farsi imbrogliare da nessun
padrone e da nessun politicante. Perché educare in loro il pensiero
divergente, se è di conformismo e rassegnazione che devono nutrirsi?
Non gioverebbe certo a chi ha in mente il progressivo dominio della
propria élite sulla società. Perché educarli a saper riconoscere
(ed a creare) il bello? Li renderebbe capaci di disdegnare il
consumismo ed i suoi prodotti di infima qualità, massificanti,
spersonalizzanti; li renderebbe capaci di valorizzare la creatività
del genio artistico, la solidarietà, la dignità umana. Tutto ciò,
insomma, che il neoliberismo imperante giudica “inutile” perché
non genera profitto.
Quei poveri ricchi
In fondo c’è da
capirli, Lorsignori. Hanno investito i propri miliardi nella
trasformazione della società a propria immagine e somiglianza;
specialmente dagli anni Settanta, quando fu decisa ed organizzata la
svolta neoliberistica globale. Hanno dilagato, dopo la fine della
guerra fredda, giovandosi in Italia del ventennio berlusconiano e
della sua deregulation economica, mediatica, culturale, sociale,
politica, morale, criminologica. Hanno saputo approfittare della
crisi per rimodellare la società secondo modelli postdemocratici e
postcostituzionali (quando non decisamente reazionari, fascistoidi e
delinquenziali).
Sono a un passo dal
completare l’opera, mettendo le mani sulla Scuola Statale, ultimo
baluardo di pensiero libero, non allineato con il potere e con i suoi
chierici. E della Scuola Statale, della sua libertà culturale, il
Liceo resta ancora il fiore all’occhiello, la punta più avanzata,
nonostante i sabotaggi e la politica di denigrazione continua da
parte dei Governi degli ultimi vent’anni.
I signori che tengono in
pugno il Paese (e il pianeta intero) tentano di consolidare il
proprio predominio per i secoli dei secoli.
L’umanità non deve
quindi conoscere il passato: non deve sapere che sono esistiti altri
modelli di società, altre mentalità, religioni diverse da quella
del dio Denaro; non deve capire che l’attuale modello economico non
è eterno, ma transeunte come ogni altro modello della civiltà
umana; non dev’esser consapevole che lo si può cambiare, che lo si
può abbattere. Deve convincersi che questo sia il migliore dei mondi
possibili, e che la storia sia ormai finita, perché il mondo resterà
sempre quello che è.
Un film già visto
Nella storia è accaduto
già. Ad esempio durante il feudalesimo, quando nobiltà e clero si
spartivano il potere convincendo i popoli che quell’ordine sociale
era voluto da Dio. Ci volle un millennio per sbarazzarsi di
quell’armamentario ideologico. Ci volle un Rinascimento. Fu
necessaria la riscoperta dei grandi scrittori, dei filosofi, degli
artisti, degli scienziati e architetti greci e romani, perché
l’umanità sapesse scrollarsi di dosso le catene dell’ignoranza e
della soggezione, diventando maggiorenne e padrona di se stessa;
compiendo, cioè, lo stesso cammino che compie lo studente del Liceo
Classico, imparando a camminare con le proprie gambe, a lasciarsi
guidare dalla propria intelligenza dopo averla coltivata ed educata
alla luce di una sapienza antica ed intramontabile, fuori dal tempo.
È già accaduto che
l’Italia abbia perso la libertà di pensiero e di creazione
artistica: per esempio alla fine del Cinquecento, quando il clero,
alleato con gli stranieri, soffocò la libertà italiana anche col
controllare la filosofia e la letteratura. Intanto però la libertà
di pensiero, che noi avevamo insegnato al mondo, continuava a
fruttificare: e giunse il secolo dei Lumi, e poi la Rivoluzione
francese, che buttò definitivamente a mare l’antico regime e le
sue sovrastrutture ideologiche. Il nostro Risorgimento, nutrito anche
dei valori rivoluzionari della libertà e dell’uguaglianza, generò
uno stato liberale con molti difetti, ma ispirato comunque dal
desiderio di alfabetizzare un numero sempre crescente di cittadini.
In questo contesto
nacque, fin dal 1859, il Classico. Giovanni Gentile lo trasformò,
suscitando all’inizio gli entusiasmi mussoliniani: era una scuola
di classe, che preparava i ceti dirigenti allo spirito critico e
all’uso consapevole della cultura. Li preparava anche troppo: il
Duce se ne accorse dopo i Patti Lateranensi.
Secondo il dittatore (in
cerca del consenso clericale) il Ginnasio Liceo diffondeva
insegnamenti fin troppo laici e borghesi: la filosofia profumava
troppo di libero pensiero. Inoltre il Liceo generava troppi laureati.
Di qui i molti ritocchi governativi per correggere gli “errori”.
Fino alla riforma Bottai del 1940, che istituiva la Scuola Media,
eliminando i primi tre anni ginnasiali: quella che sarebbe poi
diventata (in seguito alla Legge 31 dicembre 1962 n. 1859) la Scuola
Media Unificata.
Citano Gramsci (ma
l’hanno letto?)
Dopo il fascismo, il
Liceo si è sempre più aperto a quanti volevano elevarsi
culturalmente e socialmente. Dagli anni ‘60 i suoi detrattori
(quelli di una certa sinistra “operaiolatra”) ne criticarono
l’elitarismo culturale, accusando il greco ed il latino di essere
materie “classiste” perché “morte” e “troppo difficili”.
Non avevano evidentemente
letto Gramsci, che nei Quaderni del carcere considera le
lingue classiche strumento di crescita mentale e culturale
imprescindibile. Secondo il fondatore del PCI il confronto col latino
significa «la distinzione e l’identificazione delle parole e dei
concetti, tutta la logica formale, con la contraddizione degli
opposti e l’analisi dei distinti, col movimento storico
dell’insieme linguistico, che si modifica nel tempo, che ha un
divenire e non è solo una staticità. (…) Da tutto questo
complesso organico è determinata l’educazione del giovinetto, dal
fatto che anche solo materialmente ha percorso tutto
quell’itinerario, con quelle tappe, ecc. Si è tuffato nella
storia, ha acquistato una intuizione storicistica del mondo e della
vita, che diventa una seconda natura, quasi una spontaneità, perché
non pedantescamente inculcata per “volontà” estrinsecamente
educativa».
No, non avevano letto
Gramsci: pur citandolo spesso (perché era chic citarlo, a
quell’epoca). Gran parte dei “compagni” degli anni Settanta
sono, del resto, gli ultraliberisti di oggi. Continuano a criticare
il Liceo Classico, ma da pulpiti opposti a quelli da cui lanciavano
le loro omelie tanti anni fa.
Non possumus
Ebbene, noi non possiamo
permettere che solo pochi fortunati imparino ad usare la ragione
attraverso la traduzione di autori latini e greci. Tradurre un testo
greco non è come tradurre un testo tecnico inglese. Infatti la
traduzione da una lingua moderna ha il suo fine in se stessa: si
traduce dal francese o dal tedesco per conoscere il pensiero di un
contemporaneo. Invece tradurre Lucrezio o Sofocle implica il
confronto con una diversità culturale e linguistica a volte estrema;
ove lingua e cultura sono indissolubilmente intrecciate, perché
l’una rimane incomprensibile senza l’altra. Ed è un confronto
che arricchisce e rende umani.
Tutto è perduto (fuorché
l’onore)?
Al momento la situazione
sembra però disperata: le sorti del Liceo sembrano segnate. Lo
strapotere mediatico dell’oligarchia dominante è totale. I Docenti
delle Scuole paiono afoni e rassegnati al proprio destino. Gli
studenti non appaiono intenzionati a difendere un modello di scuola
che richiede impegno, concentrazione, ore di studio. I genitori
cercano per i propri figli una preparazione che li avvii a trovare
rapidamente lavoro; specie in un Paese come il nostro, i cui ministri
affermano che “la cultura non si mangia” e lasciano morire
scuole, musei, biblioteche e monumenti per mancanza di finanziamenti.
Il cerchio sembra ormai
stringersi inesorabilmente intorno al Classico, alla cultura, alla
libertà di questa sciagurata e smemorata Italia. Eppure tutto può
cambiare quando meno ce lo si aspetta. Tante volte è successo nella
storia: chi ha studiato nel Liceo lo sa molto bene.
C’est la lutte
finale
Occorre spostare il
terreno dello scontro. Bisogna ribaltare le accuse pretestuose,
svergognare chi le muove, mettere in luce i suoi secondi fini. È
necessario che i Docenti delle Scuole non siano lasciati soli in
questa battaglia. Devono mobilitarsi i Docenti universitari, gli
intellettuali del mondo accademico, della cultura, delle arti. Solo
così possiamo sperare in un capovolgimento degli attuali rapporti di
forza (vedi qui).
La battaglia per
difendere la Scuola Statale e il Liceo Classico non è una battaglia
di retroguardia; non è la difesa corporativa di uno status quo; non
è la nostalgia del bel tempo antico. Difendere la Scuola Statale
significa difendere un organo costituzionale che contribuisce a
rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese” (articolo 3 della Costituzione).
Quando gli Italiani
saranno consapevoli di questo, il cielo tornerà a colorarsi di rosa,
e la notte sarà finalmente passata.
Dal sito “La poesia e
lo spirito”, marzo 2014
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