15.5.14

Liceo classico. Chi ne vuole la morte e perché (Alvaro Belardinelli)

Gita in Lussemburgo di una classe del Liceo Classico Annibale Mariotti;
il Preside  Francescaglia e un gruppo di partecipanti davanti alla Cattedra di Strasburgo

(foto tratta da Archivio della Memoria Condivisa . Comune di Perugia)
Il Liceo Classico sta al neoliberismo come un eretico alla Controriforma. Per questo qualcuno vorrebbe bruciarlo come Giordano Bruno. È oramai un coro quello dei sedicenti “esperti” che pontificano sulla “crisi” del Classico. Tutti costoro, più o meno ipocritamente, sottolineano l’importanza delle materie umanistiche per la formazione dell’individuo; salvo poi indicare (con soddisfazione) nel calo delle iscrizioni (dimezzate in sette anni) la dimostrazione che ormai il Liceo avrebbe fatto il suo tempo. I più decisi detrattori militano (guarda caso) nelle fila di Confindustria.

Processo iniziato, rogo già pronto
Vediamo un rapido elenco delle accuse che si possono ascoltare nei convegni e leggere sui giornali. Il Liceo Classico sarebbe una scuola “vecchia”, “chiusa all’alternanza scuola-lavoro”, “estranea alla realtà lavorativa”, “lontana dalla realtà”; praticherebbe una “grammaticità fine a se stessa”, perché “privo di laboratori linguistici”; produrrebbe il “retoricismo” che affligge la burocrazia italiana; sarebbe “anacronistico” nella sua divisione in Ginnasio e Liceo; insegnerebbe “a leggere ma non a scrivere”, non avendo “laboratori letterari”.
Ma c’è di più: “promette, senza dare risultati concreti”; “non fa studiare le connessioni tra fatti storici”; è “utile solo per fare citazioni in latino e non studiare matematica”; “non fa più il lavoro che svolgeva mezzo secolo fa, quando aiutava a mettere in relazione i testi con il mondo circostante, costituendo un ponte tra umanesimo e scienza”.
E poi ancora: “negli ultimi test OCSE-PISA gli studenti del Classico sono risultati quelli meno capaci di risolvere problemi e persino quelli meno dotati di competenze letterarie”; “non prepara in economia e in matematica”; impartisce “insegnamenti passatisti ed aristocratici”; “sancisce le disuguaglianze”; “sterilizza la creatività individuale mediante una didattica trasmissiva e nozionistica, soffocandola attraverso un filologismo ed un cognitivismo privi di metodo scientifico”.
La superiorità del Classico sarebbe dunque soltanto presunta: perfino il dato incontestabile, secondo cui gli studenti universitari più bravi provengono dal Classico, sarebbe dovuto al fatto che “al Classico si iscrivono i figli delle classi dirigenti”: non, quindi, ad un valore aggiunto dal Classico stesso.
Accuse discordanti, ma concordi nella brama di condannare.
Le soluzioni proposte? “Togliere il latino”! Istituire un “Liceo Classico applicato”! Oppure un Liceo “Scientifico-Classico” (magari con il greco opzionale)! Del resto, il Liceo Classico insegnerebbe contenuti “belli sì, ma inutili”! Mentre, oltre all’“inutile”, esiste anche l’“utile”! E quale sarebbe l’“utile”, se non il (dio) Profitto? Quale, se non il (dio) Mercato?
Insomma, il Liceo Classico non deve più esistere perché “non serve”. O meglio, “non serve” alla “realtà”. Intendendo, per “realtà”, il “Mercato” e l’“Utile”.

Dogmi spacciati per argomentazioni
Opinioni rispettabili. Ma pur sempre opinioni. Ammantate di (preteso) rigore scientifico, ma in realtà fondate su dogmi. Dogmi molto simili a quelli di qualsiasi religione.
Non è forse un dogma, infatti, quello secondo il quale il calo delle iscrizioni dimostrerebbe che il Liceo è superato? È vero che gli iscritti al Liceo sono oggi ridotti a 30.000 in tutta Italia (circa il 6% del totale degli iscritti alle Superiori), ma questo dimostra che il Liceo è fuori moda; non che sia “inattuale” o “inutile”.
Stupisce la protervia con cui si abusa delle circostanze per attaccare un’istituzione gloriosa, che continua a fornire alle Università italiane (e straniere) gli studenti migliori. Infatti, i laureati con voti superiori ai 105/110 (quelli che trovano più facilmente lavoro) provengono per lo più dal Liceo Classico: e sono laureati in Agraria, Ingegneria, Economia, Architettura, Medicina ed altre facoltà scientifiche. Come si fa, allora, a sostenere con tanto granitica certezza che il Classico è “inutile”, “avulso dalla realtà lavorativa”, “non al passo coi tempi”?

«Ma» dicono alcuni, «i diplomati con maturità classica sono più bravi già in entrata, perché provengono da famiglie “bene”». Altro pregiudizio, facilmente smontabile. Lo dimostra il fatto che, soprattutto negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, il Liceo ha sfornato migliaia e migliaia di diplomati di estrazione proletaria e piccolo-borghese (tra cui il sottoscritto) privi delle basi culturali familiari di cui disponevano gli studenti che si iscrivevano al Liceo negli anni Trenta (figli di avvocati, medici, magistrati, notai e diplomatici). La loro promozione sociale, opera di un Liceo Classico che degli ascensori sociali è tuttora il principe, è un fatto indiscutibile.

Le calunnie di chi ignora
L’accusa di essere una scuola finalizzata alla “grammaticità” (e che non insegna “competenze”) non sta in piedi. Per verificarlo basterebbe che alcuni tronfi soloni mettessero piede, almeno una volta, in un’aula scolastica (cosa che evidentemente non fanno dal lontano giorno del proprio diploma). C’è ignoranza o malafede in questo tentativo di disinformare l’opinione pubblica? Insegnare come 60 anni fa, oggi non sarebbe possibile, perché gli allievi sono troppo diversi, distratti, privi di requisiti culturali minimi; il che toglierebbe a chiunque (anche al più attardato ed autolesionista degli insegnanti) la fantasia di dedicarsi al “cognitivismo”, al “filologismo”, al “nozionismo” ed al “trasmissivismo”.
Tutti i Docenti sono consapevoli (se non altro perché “di necessità virtù”) che le nozioni sono strumenti e non finalità; che i contenuti sono utili per sviluppare capacità, non per imporre erudizione; che finalità della Scuola è insegnare a ricercare autonomamente, non versare nozioni nelle teste dei discenti come benzina in un serbatoio.
Come si potrebbe, d’altronde, perseguire ancora il nozionismo, in una Scuola ridotta come la nostra, con classi-pollaio di 32 alunni, in edifici fatiscenti e malsicuri, con cattedre frantumate dall’accorpamento di materie e classi di concorso, con il “risparmio” come unico criterio guida? L’accusa di nozionismo può venire solo da chi non conosca la realtà attuale della Scuola (o finga di non conoscerla).

Diffamazioni grottesche
Che poi il Classico non insegni le connessioni tra fatti storici e culture è semplicemente ridicolo. Se c’è un tipo di Scuola in cui si va in profondità nello spiegare i fatti storici, quella Scuola è il Liceo, che lo fa persino linguisticamente. Nessuno come un bravo studente del Classico può fare della comparazione linguistica uno strumento di conoscenza storica, filosofica, antropologica. Nessuno può capire la storia greca e romana meglio di uno studente del Liceo Classico, che penetra concetti come “democrazia”, “politica”, “oligarchia”, “tirannide”, “isonomia”, “parresia”, “civitas”, “ius”, “humanitas”. E nessuno può capire la storia contemporanea meglio di chi ha compreso quella greca e quella romana.
Falso anche che il Liceo non prepari i giovani al metodo scientifico. Come attestano i Docenti universitari delle facoltà scientifiche, solo i migliori diplomati del Classico posseggono una mentalità scientifica vera: solo loro sanno osservare con rigore e attenzione i dettagli, estrapolarne induzioni, discernere costanti e variabili, individuare soluzioni. Solo loro sanno utilizzare questo procedimento per la risoluzione di qualsiasi problema, dopo aver acquisito le conoscenze tecniche specifiche. Tutto ciò è frutto del lavoro di traduzione dei classici e degli studi storico-filosofici. Altro che nozionismo. Altro che quiz.

Chi è fuori dalla realtà?
Singolare, peraltro, che si attribuisca al Classico la colpa della scarsa conoscenza della realtà da parte dei suoi studenti. I detrattori del Liceo dimenticano che nel 2008 la cosiddetta “riforma” Gelmini ha tolto alla geografia metà del suo monte ore nel Ginnasio, portandola da due ore settimanali a una, ed accorpandola alla storia (in un monstrum epistemologico che i collaborazionisti ribattezzano “geostoria”). Ora i Docenti devono insegnare (in tre ore settimanali) storia e geografia insieme, valutando gli allievi con un voto unico, e scegliendo se sacrificare un quarto del programma di storia o metà del programma di geografia. È colpa del Liceo se le cose non funzionano più come prima?
E, già che ci siamo, vediamo un po’ di ricordare gli altri bastoni messi fra le ruote del Liceo dalla stessa Gelmini, inventrice del “tunnel dei neutrini” nonché prestanome dell’ex Ministro dell’Economia Tremonti, il quale con un sol colpo di rasoio amputò alla Scuola italiana ben otto miliardi di euro (con la legge 6 agosto 2008, n. 133).
Per tagliare questi otto miliardi, tutti gli ordini di Scuola subirono riduzioni di ore e di insegnamenti. Però, per dare l’impressione che dietro i tagli ci fosse un impianto culturale, le ore settimanali assegnate alle materie tecnico-scientifiche (disegno tecnico, astronomia, biologia, matematica, scienze naturali, fisica) furono aumentate in alcuni indirizzi, ma diminuite in altre, secondo le norme del gioco delle tre carte (sempre efficace nel Paese di Acchiappacitrulli per rimescolare le acque ed ingannare i semplici).
L’insegnamento delle scienze naturali, prima impartito nel Classico solo al triennio, venne esteso al biennio ginnasiale: vale a dire imposto a scolari di quattordici-quindici anni, sprovvisti della preparazione chimica, matematica e fisica necessaria per capire le scienze naturali stesse. Ben lo sanno i Docenti di questa materie, che dal settembre 2010 (data di entrata in vigore della rovinosa “riforma”) faticano molto per ottenere dagli alunni partecipazione e risultati. Così, però, il Governo di allora poté orgogliosamente vantarsi di aver reso il Liceo più “moderno”.

Sotto i colpi di Gelminator
Eppure la “gelminizzazione” ha inferto danni ancor più gravi. Paradossalmente nel Ginnasio sono state colpite proprio le cattedre della classe di concorso A052 (“Italiano, latino, greco, storia, geografia nel Liceo Classico”). All’italiano è stata scippata un’ora a settimana: un’ora su cinque significa il venti per cento in meno. Riduzione radicale, che certo non facilita il completamento dei programmi. Per di più il MIUR ha pensato bene di riformulare i programmi stessi: accrescendone i contenuti! Perciò ora i Docenti di quinta ginnasiale devono, oltre ad ultimare il programma ordinario, insegnare ai quindicenni anche la poesia italiana delle origini (precedentemente insegnata in prima liceale).
In realtà questi tagli orari sono serviti a licenziare un bel po’ di Docenti (per ora solo precari). Infatti il taglio delle ore di italiano e di geografia ha provocato la riduzione delle cattedre A052 (“Materie letterarie, latino e greco nel Liceo Classico”) a 16 ore settimanali (dalle 18 precedenti), consentendo l’espulsione di un precario ogni nove.
Per di più la riduzione a 16 ore delle cattedre di lettere nel Ginnasio, unita all’obbligo per i Docenti di effettuare 18 ore settimanali di insegnamento in classe (senza ore a disposizione della scuola per sostituire i colleghi assenti) ha comportato lo spezzatino delle cattedre e la fine della continuità didattica (nonché l’impossibilità di sostituire gli assenti per malattie brevi).
Oggi nel biennio ginnasiale, dove un tempo le materie letterarie erano insegnate da un solo Professore (o al massimo da due) i quattordicenni si ritrovano tre insegnanti, a volte quattro (uno d’italiano, uno di latino, uno di greco, uno di “geostoria”), che cambiano classe quasi ogni anno, in barba all’esigenza di continuità didattica.
Insegnare il greco con un metodo diverso rispetto al latino è pura follia. Sono discipline diverse, ma assolutamente complementari, e servono a generare quella conoscenza omogenea del mondo classico che è base imprescindibile per capire il mondo contemporaneo.
Alla luce di tutto ciò, ci si meraviglia ancora che gli studenti del Classico siano meno bravi e che le iscrizioni siano calate?

Demolizione controllata
Ma non è ancora tutto. Un altro espediente è stato escogitato per minare le fondamenta del Liceo. Infatti i Professori della classe di concorso A052 (“Materie letterarie, latino e greco nel Liceo Classico”) sono sempre più costretti all’insegnamento del solo greco, oppure relegati a insegnare non più il greco, ma le altre materie letterarie, fuori dal Classico. Sì, perché ad insegnare le altre discipline letterarie nel Ginnasio, dal 2011, vengono autorizzati anche i Docenti di Lettere non abilitati all’insegnamento del greco; ossia quelli della classe A051 (“Materie letterarie e latino nei Licei e nell’Istituto Magistrale”), pesantemente falcidiata dai tagli spacciati per “riforma” della Scuola pubblica.
Per risolvere il problema dei tanti soprannumerari della A051 (moltiplicati dalla feroce diminuzione di ore per materie fondamentali come italiano e latino negli altri Licei), il MIUR ha elaborato la solita operazione aritmetica, semplicemente spalmando sul Ginnasio gli Insegnanti non abilitati per il Ginnasio, in competizione con quelli della A052: i quali posseggono invece il titolo di studio e l’abilitazione previsti. Alla faccia della neologistica “premialità” e della “meritocrazia” tanto care ai nostri Governi!
I sindacati “maggiormente rappresentativi” (che per restare tali firmano qualsiasi tipo di contratto con la controparte governativa) non hanno protestato. Solo il sindacato Unicobas Scuola ha sostenuto le proteste dei Docenti A052, riconoscendo in esse non solo la difesa di diritti acquisiti in base alla legge, ma anche la tutela della qualità stessa della Scuola. Ci sono stati ricorsi al TAR (uno dei quali vittorioso), diffide, sit-in, incontri con i dirigenti del MIUR. Tutto inutile. Ogni anno lo scempio si ripete nella definizione degli organici e nell’assegnazione delle cattedre (vedi qui e qui).

Studiare meno, licenziare tutti
Ultima perla (nera): il Liceo a quattro anni. Per risparmiare licenziando i Prof. Quando sarebbe necessario, semmai, estendere l’obbligo scolastico a diciotto anni. Basti pensare che il presidente degli Stati Uniti Obama ha appena avviato il progetto inverso a quello di Renzi, Giannini & Co.: la Scuola Superiore a sei anni (vedi qui). Superfluo qualsiasi ulteriore commento.
Delitto preterintenzionale o premeditato? Goebbels docet
È casuale tutto ciò? Domanda retorica. Si mira in realtà a dismettere il Liceo Classico così come a smantellare e privatizzare la Scuola Statale. Il Liceo “non serve” all’alta finanza, che ormai controlla lo Stato e ne condiziona le scelte. “Non serve” perché non è servo delle necessità di quel ristretto giro di straricchi che domina il Paese, l’Europa, il mondo. Il Classico produce menti capaci di pensiero critico; capaci, cioè, di valutare la realtà; di scegliere secondo scale valoriali etiche, e non solo economicistiche e mercatistiche. Di menti simili il grande capitale non ha bisogno, se non per il ridotto numero dei suoi adepti e dei suoi servi: per allevare i quali “non serve” un Classico di massa.
Al grande capitale non torna utile l’esistenza di una Scuola che funga da ascensore sociale per un gran numero di diplomati. Anzi, se questo numero crescesse troppo, aumenterebbe il conflitto tra capitale e lavoro. Meglio, per il grande capitale, se i diplomati hanno un basso livello di spirito critico; se sono bravi ad eseguire perfettamente un ristretto elenco di operazioni esecutive che facciano funzionare la macchina dell’economia asservita al capitale stesso.
I cittadini non devono conoscere troppo bene la storia; li renderebbe capaci di decifrare le decisioni dei Governi e di metterle in discussione, senza credere facilmente alla propaganda oggi imperante: fatta di poche idee, continuamente ripetute per diventare verità nella mente delle persone. Come la propaganda di Joseph Goebbels.
I cittadini di domani devono rassegnarsi ad un futuro di precarietà, di incertezza, di assenza di diritti. Devono rassegnarsi a lavorare per molte ore in modo ripetitivo, senza creatività, in cambio di pochi soldi. Come i lavoratori cinesi, che sono tecnicamente preparati, resistenti alla fatica, di poche pretese. Come schiavi.
Perché, allora, renderli troppo colti e capaci di leggere, di scrivere, di ragionare e di astrarre? Cui prodest? Perché renderli capaci di padroneggiare a fondo la propria lingua attraverso lo studio delle lingue antiche? Servirebbe solo a renderli capaci di non farsi imbrogliare da nessun padrone e da nessun politicante. Perché educare in loro il pensiero divergente, se è di conformismo e rassegnazione che devono nutrirsi? Non gioverebbe certo a chi ha in mente il progressivo dominio della propria élite sulla società. Perché educarli a saper riconoscere (ed a creare) il bello? Li renderebbe capaci di disdegnare il consumismo ed i suoi prodotti di infima qualità, massificanti, spersonalizzanti; li renderebbe capaci di valorizzare la creatività del genio artistico, la solidarietà, la dignità umana. Tutto ciò, insomma, che il neoliberismo imperante giudica “inutile” perché non genera profitto.

Quei poveri ricchi
In fondo c’è da capirli, Lorsignori. Hanno investito i propri miliardi nella trasformazione della società a propria immagine e somiglianza; specialmente dagli anni Settanta, quando fu decisa ed organizzata la svolta neoliberistica globale. Hanno dilagato, dopo la fine della guerra fredda, giovandosi in Italia del ventennio berlusconiano e della sua deregulation economica, mediatica, culturale, sociale, politica, morale, criminologica. Hanno saputo approfittare della crisi per rimodellare la società secondo modelli postdemocratici e postcostituzionali (quando non decisamente reazionari, fascistoidi e delinquenziali).
Sono a un passo dal completare l’opera, mettendo le mani sulla Scuola Statale, ultimo baluardo di pensiero libero, non allineato con il potere e con i suoi chierici. E della Scuola Statale, della sua libertà culturale, il Liceo resta ancora il fiore all’occhiello, la punta più avanzata, nonostante i sabotaggi e la politica di denigrazione continua da parte dei Governi degli ultimi vent’anni.
I signori che tengono in pugno il Paese (e il pianeta intero) tentano di consolidare il proprio predominio per i secoli dei secoli.
L’umanità non deve quindi conoscere il passato: non deve sapere che sono esistiti altri modelli di società, altre mentalità, religioni diverse da quella del dio Denaro; non deve capire che l’attuale modello economico non è eterno, ma transeunte come ogni altro modello della civiltà umana; non dev’esser consapevole che lo si può cambiare, che lo si può abbattere. Deve convincersi che questo sia il migliore dei mondi possibili, e che la storia sia ormai finita, perché il mondo resterà sempre quello che è.

Un film già visto
Nella storia è accaduto già. Ad esempio durante il feudalesimo, quando nobiltà e clero si spartivano il potere convincendo i popoli che quell’ordine sociale era voluto da Dio. Ci volle un millennio per sbarazzarsi di quell’armamentario ideologico. Ci volle un Rinascimento. Fu necessaria la riscoperta dei grandi scrittori, dei filosofi, degli artisti, degli scienziati e architetti greci e romani, perché l’umanità sapesse scrollarsi di dosso le catene dell’ignoranza e della soggezione, diventando maggiorenne e padrona di se stessa; compiendo, cioè, lo stesso cammino che compie lo studente del Liceo Classico, imparando a camminare con le proprie gambe, a lasciarsi guidare dalla propria intelligenza dopo averla coltivata ed educata alla luce di una sapienza antica ed intramontabile, fuori dal tempo.
È già accaduto che l’Italia abbia perso la libertà di pensiero e di creazione artistica: per esempio alla fine del Cinquecento, quando il clero, alleato con gli stranieri, soffocò la libertà italiana anche col controllare la filosofia e la letteratura. Intanto però la libertà di pensiero, che noi avevamo insegnato al mondo, continuava a fruttificare: e giunse il secolo dei Lumi, e poi la Rivoluzione francese, che buttò definitivamente a mare l’antico regime e le sue sovrastrutture ideologiche. Il nostro Risorgimento, nutrito anche dei valori rivoluzionari della libertà e dell’uguaglianza, generò uno stato liberale con molti difetti, ma ispirato comunque dal desiderio di alfabetizzare un numero sempre crescente di cittadini.
In questo contesto nacque, fin dal 1859, il Classico. Giovanni Gentile lo trasformò, suscitando all’inizio gli entusiasmi mussoliniani: era una scuola di classe, che preparava i ceti dirigenti allo spirito critico e all’uso consapevole della cultura. Li preparava anche troppo: il Duce se ne accorse dopo i Patti Lateranensi.
Secondo il dittatore (in cerca del consenso clericale) il Ginnasio Liceo diffondeva insegnamenti fin troppo laici e borghesi: la filosofia profumava troppo di libero pensiero. Inoltre il Liceo generava troppi laureati. Di qui i molti ritocchi governativi per correggere gli “errori”. Fino alla riforma Bottai del 1940, che istituiva la Scuola Media, eliminando i primi tre anni ginnasiali: quella che sarebbe poi diventata (in seguito alla Legge 31 dicembre 1962 n. 1859) la Scuola Media Unificata.

Citano Gramsci (ma l’hanno letto?)
Dopo il fascismo, il Liceo si è sempre più aperto a quanti volevano elevarsi culturalmente e socialmente. Dagli anni ‘60 i suoi detrattori (quelli di una certa sinistra “operaiolatra”) ne criticarono l’elitarismo culturale, accusando il greco ed il latino di essere materie “classiste” perché “morte” e “troppo difficili”.
Non avevano evidentemente letto Gramsci, che nei Quaderni del carcere considera le lingue classiche strumento di crescita mentale e culturale imprescindibile. Secondo il fondatore del PCI il confronto col latino significa «la distinzione e l’identificazione delle parole e dei concetti, tutta la logica formale, con la contraddizione degli opposti e l’analisi dei distinti, col movimento storico dell’insieme linguistico, che si modifica nel tempo, che ha un divenire e non è solo una staticità. (…) Da tutto questo complesso organico è determinata l’educazione del giovinetto, dal fatto che anche solo materialmente ha percorso tutto quell’itinerario, con quelle tappe, ecc. Si è tuffato nella storia, ha acquistato una intuizione storicistica del mondo e della vita, che diventa una seconda natura, quasi una spontaneità, perché non pedantescamente inculcata per “volontà” estrinsecamente educativa».
No, non avevano letto Gramsci: pur citandolo spesso (perché era chic citarlo, a quell’epoca). Gran parte dei “compagni” degli anni Settanta sono, del resto, gli ultraliberisti di oggi. Continuano a criticare il Liceo Classico, ma da pulpiti opposti a quelli da cui lanciavano le loro omelie tanti anni fa.

Non possumus
Ebbene, noi non possiamo permettere che solo pochi fortunati imparino ad usare la ragione attraverso la traduzione di autori latini e greci. Tradurre un testo greco non è come tradurre un testo tecnico inglese. Infatti la traduzione da una lingua moderna ha il suo fine in se stessa: si traduce dal francese o dal tedesco per conoscere il pensiero di un contemporaneo. Invece tradurre Lucrezio o Sofocle implica il confronto con una diversità culturale e linguistica a volte estrema; ove lingua e cultura sono indissolubilmente intrecciate, perché l’una rimane incomprensibile senza l’altra. Ed è un confronto che arricchisce e rende umani.
Tutto è perduto (fuorché l’onore)?
Al momento la situazione sembra però disperata: le sorti del Liceo sembrano segnate. Lo strapotere mediatico dell’oligarchia dominante è totale. I Docenti delle Scuole paiono afoni e rassegnati al proprio destino. Gli studenti non appaiono intenzionati a difendere un modello di scuola che richiede impegno, concentrazione, ore di studio. I genitori cercano per i propri figli una preparazione che li avvii a trovare rapidamente lavoro; specie in un Paese come il nostro, i cui ministri affermano che “la cultura non si mangia” e lasciano morire scuole, musei, biblioteche e monumenti per mancanza di finanziamenti.
Il cerchio sembra ormai stringersi inesorabilmente intorno al Classico, alla cultura, alla libertà di questa sciagurata e smemorata Italia. Eppure tutto può cambiare quando meno ce lo si aspetta. Tante volte è successo nella storia: chi ha studiato nel Liceo lo sa molto bene.

C’est la lutte finale
Occorre spostare il terreno dello scontro. Bisogna ribaltare le accuse pretestuose, svergognare chi le muove, mettere in luce i suoi secondi fini. È necessario che i Docenti delle Scuole non siano lasciati soli in questa battaglia. Devono mobilitarsi i Docenti universitari, gli intellettuali del mondo accademico, della cultura, delle arti. Solo così possiamo sperare in un capovolgimento degli attuali rapporti di forza (vedi qui).
La battaglia per difendere la Scuola Statale e il Liceo Classico non è una battaglia di retroguardia; non è la difesa corporativa di uno status quo; non è la nostalgia del bel tempo antico. Difendere la Scuola Statale significa difendere un organo costituzionale che contribuisce a rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (articolo 3 della Costituzione).
Quando gli Italiani saranno consapevoli di questo, il cielo tornerà a colorarsi di rosa, e la notte sarà finalmente passata.


Dal sito “La poesia e lo spirito”, marzo 2014

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