5.5.14

Lincoln. Il consumo dei miti (Massimiliano Panarari)

La moda consuma rapidamente i miti che rilancia. E forse così è accaduto anche per Lincoln, la cui immagine variamente rivisitata impazzava negli USA tra la fine del 2012 e il 2013. E tuttavia l'elzeviro che segue è ottimamente esemplificativo delle modalità di consumo dei miti e merita una lettura preferibilmente attenta. (S.L.L.)
Negli Stati Uniti è Lincoln-Renaissance. Questa «mania» di massa è alimentata, in primo luogo, dalla cinematografia, dalla monumentale biografia per immagini di Steven Spielberg al film «gotico» (prodotto da Tim Burton) con il presidente nelle vesti di un cacciatore dei vampiri alleati con i sudisti schiavisti. E certo ha anche a che fare con la predilezione che nutre nei suoi confronti il suo ultimo successore Barack Obama, avido lettore di Team of Rivals (al pari del regista di ET), lo studio sul «genio politico» di Abramo Lincoln scritto dalla storica (e già assistente di Lyndon Johnson) Doris Kearns Goodwin.
Ma il «paradigma Lincoln» si rivela tanto contagioso da unire la cultura pop a quella del management, apparentemente di nicchia, ma in verità altrettanto (se non più) decisiva nell'orientare l'aria e lo spirito di un'epoca.
Donald Phillips - uno dei capiscuola dello studio sulle esperienze e gli stili di comando nella storia - ha suggerito, nel suo Lincoln on Leadership (sottotitolo «strategie esecutive per tempi difficili»), una serie di tecniche e virtù che i manager possono mutuare dal comportamento del vincitore della Guerra di Secessione, come la ricerca della concentrazione mediante le passeggiate (il presidente era solito camminare avanti e indietro per ore lungo i terreni che erano stati teatro di battaglie). Mentre Gautam Mukunda della Harvard Business School usa la «lincolnologia» per intervenire in uno dei dibattiti per antonomasia del management moderno, ovvero se per una grande impresa sia meglio avvalersi di insiders (opinione prevalente prima della crisi finanziaria) o di outsiders. E opta, decisamente, per la seconda figura, di cui Lincoln fu idealtipo (come, in un altro secolo e contesto, Winston Churchill). L'insider, già testato ampiamente e che ha percorso tutta la gerarchia all'interno dell'azienda, si comporterà in maniera prevedibile e, se costretto al cambiamento, lo introdurrà in percentuale modesta e in maniera graduale. Mentre l'outsider è un enigma, e si rivela propenso a mutamenti radicali, come quelli, dice Mukunda, di cui ha un gran bisogno l'economia odierna.

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