Ancora ai principi dello
scorso secolo in Lombardia e in Abruzzo venivano istruiti lunghi
processi contro i bruchi che danneggiavano i terreni, si comminava
loro l'anatema canonico e la condanna civile, soprattutto il bando e
l'espulsione sotto minaccia di pene più gravi. Il costume, che a noi
sembra insensato, ha una sua vetusta e ben documentata tradizione
medioevale.
Egberto, vescovo di
Treviri, scomunicò le rondini che con il loro pigolio disturbavano
la devozione dei fedeli nel duomo della città e con gli escrementi
gli insozzavano le vesti e l'altare. Fra il 1685 e il 1770 fu più
volte portato in processione il bastone pastorale di San Magno, che
aveva il potere di allontanare i topi, ratti, scarabei e insetti
vari. Nel 1487 i gran vicari del cardinale vescovo di Autun
ingiungevano ai lumaconi, che avevano invaso la campagna, di
abbandonarla in un determinato tempo sotto minaccia di maledizione.
Nel 1519 il comune di Stelvio, in Tirolo, aprì un processo penale
contro certi topi di campagna che, scavando gallerie, danneggiavano
le messi. Ma perché i sorci potessero dar conto della loro condotta,
furono affidati alla difesa di un procuratore. L'avvocato dell'accusa
presentò una lunga lista di testimoni che attestavano come i danni
prodotti dai topi avessero rovinato i terreni fino al punto che i
mezzadri non avevano potuto pagare gli affitti. La difesa dimostrò
quali benefici avessero portato, invece, rimuovendo il suolo e
distruggendo vermi e altri animali nocivi, e ottenne dal giudice che
la sentenza di bando perpetuo fosse mitigata, concedendosi una
moratoria di quattordici giorni e un salvacondotto ai sorci con figli
piccoli.
Un abbondante
incartamento, che manca della sentenza finale, ci consente di seguire
le laboriose tappe di un processo che nel 1659 il comune di Chiavenna
intentò contro i bruchi, con regolari citazioni, notifiche, bandi
attraverso i pubblici cursori, udienze, dichiarazioni di contumacia,
condanne ed appelli.
Tali usi vennero a
svilupparsi in antiche comunità contadine europee, più raramente
cittadine, anche se la storia celebre del pifferaio di Hamelin
dimostra come nei paesi nordici, intorno al XVI secolo, nelle città
era corrente l'idea che gli animali, dannosi o domestici, avessero
capacità di intendere l'uomo, di obbedirgli o di danneggiarlo.
L'aggressione di
cavallette, di bruchi, di topi, di bestie selvatiche era considerata
normalmente un'intenzionale opera del demonio che in essi si
incarnava: e perciò la chiesa creò un'intera rete di difese rituali
contro di essi, rappresentata da anatemi e scongiuri, o anche da
processi e discussioni giuridiche. Talvolta del processo non v'era
bisogno trattandosi di crimine patente, come nei casi di animali, in
particolare porci, che aggredivano uomini e bambini.
Al rogo venne mandato nel
1266 presso Parigi un maiale che aveva divorato un bambino, mentre il
tribunale di Falaise nel 1386 condannò all'impiccagione una scrofa,
rea dello stesso delitto.
Frequentissimi sono i
processi fondati su accuse di bestialità, fino ad epoca
relativamente recente: al rogo vengono destinato a Montpellier un
mulo e un uomo correi di sodomia; al rogo un mulo e una vacca in
Slesia nel 1681; un uomo e una cagna a Chartres nel 1606, mentre
ancora nel 1750 a Vanvres un sodomita confesso viene mandato a morte
e l'asina correa viene assolta sulla base del certificato di buona
condotta del parroco.
Queste storie di tempi
trascorsi, con tutte le loro implicazioni giuridiche, teologiche e
ideologiche, sono rievocate nel breve, ma eccezionale saggio Animali
al rogo. Storie di processi e condanne contro gli animali nel
Medioevo e nell'Ottocento di Evans (Editori Riuniti, 1989), un
erudito americano morto nel 1917, che studiò in particolare la
storia dei rapporti fra uomo e animale negli anni del suo soggiorno
in Germania.
Evans offre una sintesi
puntuale e vivace, che era stata preceduta in Italia da un
dimenticato libro di Carlo D'Addosio (Bestie delinquenti,
Napoli, 1892), mentre, circa un decennio prima, nel 1881, Cesare
Lombroso, in un suo saggio su II delitto degli animali, pubblicato
sull'Archivio di Psichiatria, esponeva la sua particolare teoria di
una tendenza a delinquere ereditaria in alcuni animali che operano
con premeditazione e violenza.
"talpalibri - il manifesto", 29 dicembre 1989
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