Margaret Mitchell |
I classici dell’altra
grande Crisi sono due: Furore di John Steinbeck e Via col
vento di Margaret Mitchell. Entrambi la presentano come un
cataclisma scatenato dagli elementi: le tempeste di polvere che
costringono le famiglie di Steinbeck a migrare, il “vento” che
travolge, in una trasparente metafora, il Sud nella Guerra Civile.
Entrambi suggeriscono ambivalenti forme di sopravvivenza.
Furore contiene da
un lato la presa di coscienza ribelle del protagonista Tom Joad;
dall’altro, una sopravvivenza puramente naturale e atavica che
Steinbeck attribuisce alle donne, l’incrollabile Ma Joad e la
fertile Rosasharn, che portano la vita nel corpo in un ciclo eterno
di concepimento, morte, rinascita, parallelo al ciclo dell’acqua
che apre e chiude il romanzo. Tom Joad si prepara a operare nella
storia, ma scompare dalla scena narrativa che resta invece affidata a
una uscita dal tempo storico: così come è venuta, la crisi finirà,
e noi ne usciremo grazie a risorse che per Steinbeck stanno prima
della storia, nella natura e nel corpo. Fra le due forme di
solidarietà che propone – quella classista di Tom e quella atavica
e familista di Ma Joad e sua figlia, noi lettori amiamo e ricordiamo
la prima, ma il romanzo dà l’ultima parola alla seconda.
In Via col Vento,
la sopravvivenza è affidata a una risorsa ancora più atavica: la
terra, in cui Scarlett affonda viso e mani giurando che non avrà
fame mai più. Scarlett è disposta a uccidere, rubare, ingannare,
vendersi. Non ha problemi a sostituire alla schiavitù spazzata via
la modernità dello sfruttamento capitalistico e della feroce
competizione individualistica. Non c’è nessuna solidarietà:
Scarlett, non Ma Joad, è la nostra vera contemporanea. Per Steinbeck
e per Mitchell, l’uscita dalla crisi è l’eterno ritorno.
Scarlett è disposta a cambiare tutto perché tutto perché tutto
quello che conta – il potere, la proprietà - resti come prima. E
Tom Joad rimpiange una perduta solidaristica età dell’oro:
“Eravamo una sola grande anima”, dice. A Woody Guthrie, che ci
scrive sopra una ballata, basta cambiare una parola per rovesciare il
messaggio: “potremmo essere una grande anima”, dice – cioè,
non ritrovare un passato ma costruire un futuro. E Bruce Springsteen,
con il fantasma di Tom Joad al suo fianco, annunciava con molto
anticipo che la crisi non è finita, e che avremmo avuto molto
bisogno di quella solidarietà ribelle. C’è solo da sperare che
quello che ne rimane oggi non sia, appunto, un fantasma.
Sbilanciamoci - inserto
di il manifesto 18.4.2012
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