Jorge Amado |
Sessant'anni ininterrotti
di romanzi concentrati su un paese, il Brasile, e soprattutto una
città, Bahia, crocevia magico di razze e culture, popolata di
simboli, di antieroi, di emarginati poveri e liberi: il mondo di
Jorge Amado è passato al setaccio nello splendido numero monografico
della rivista «Letterature d'America» [Bulzoni] dedicato al grande
vecchio della letteratura brasiliana, presentato lunedì - con la
partecipazione dello stesso Amado - al Centro de estudos brasileiros.
Sezionati e indagati nei
più nascosti recessi, i personaggi di Arnado appaiono come dotati di
vita propria e si muovono con disinvoltura tra le 160 pagine della
rivista che comprende, oltre a una raccolta di saggi, anche uno
scritto di Arnado - il discorso pronunciato all'università di Bari
in occasione del conferimento della laurea honoris causa nel maggio
dell'anno scorso - e un suo «autoritratto» in forma d'intervista.
Difficile dar conto della
complicata tessitura narrativa o delle infinite articolazioni dei
protagonisti, ma il senso di tutta l'opera è chiaro, ed è quello
della voce data a chi di solito non ne ha. Per dirla con le parole
dello stesso Amado: «Certi critici mi hanno accusato di non essere
altro che un limitato romanziere di puttane e vagabondi. Penso che
sia la verità e sono orgoglioso di essere il portavoce dei più
emarginati fra tutti gli emarginati».
Un'opzione globale, l'ha
definita Giovanni Ricciardi, «che ha prodotto una storia del Brasile
vista dal basso, vista ora con gli occhi romantici e ribelli del
Sergipano e di Neném, ora con lo sguardo incorreggibile e lietamente
debosciato di Vadinho e di Cabo Martim, ora con gli occhi ammiccanti
e ingenui di Gabriele, di Teresa Batista, di Manela». Personaggi
fondamentalmente anarchici che, secondo Mauricio Gomes de Almeida,
non riescono ad inquadrarsi nei limiti angusti della società
istituzionalizzata, nei quali l'allegria è associata alla libertà e
«diventa rivoluzionaria nella misura in cui mette in discussione le
basi repressive e false del detestato mondo borghese». Personaggi
legati dallo stesso filo sia in quelli che Ricciardi definisce i
romanzi dell'allegria - Gabriela garofano e cannella, Due
storie del porlo di Hnhin, I guardiani della notte, Dona
Flor e i suoi due mariti, Teresa Batista stanca di guerra
- sia nei romanzi della passione e dell'impegno Il paese del
Carnevale, Cacao, Terre del finimondo, Messe di
sangue.
L'altro elemento
evidenziato è l'antirazzismo viscerale di Amado: non solo difesa del
diverso ma esaltazione della mescolanza delle razze, del sincretismo
religioso che ha unito nel candomblè i santi cattolici e gli
orixàs africani, tratto specifico del melting pot brasiliano,
e coscienza della ricchezza immensa della fusione tra i diversi, di
quella «cultura mestiça» che nella visione di Amado «è il nostro
contributo all'umanesimo universale».
Una scelta di campo fatta
con largo anticipo sui tempi, nel 1935 con Jubiabà e con il nero
Antonio Balduino che si innamora della bianca Lindinalva, quando
negli stessi anni - nota Giorgio Marotti - «negli Stati uniti il
best seller letterario e cinematografico era Via col Vento e
tutto il mondo si uniformava ai modelli americani quando non li
superava in originalità razzistica».
Il simbolo di speranza è
il mulatto che porta sulla sua pelle il colore dell'Africa e
dell'Europa, dice ancora Marotti riecheggiando le parole dello stesso
Amado «Siamo latini e africani, Bahia è la mescolanza di Lisbona e
Luanda».
Talpalibri de “il
manifesto”, 8 novembre 1991
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