Henri Noel Brailsford (1873 -1958), scrittore e giornalista, fu un
sostenitore del Labour Party inglese, impegnato in molte battaglie di
libertà, inclusa l'indipendenza dell'India (era amico personale di Gandhi e Nerhu). Fu, tra l'altro, autore di un importante libro sulla Russia sovietica (1920-1927) e direttore del “New Leader”. Il testo che segue è la trascrizione
di una conversazione radiofonica diffusa dalla BBC nei primi mesi del 1948. (S.L.L.)
Fu uno strano complesso di eventi quello che portò Lenin e Trotsky a Londra nel 1907, ed una fortunata occasione quella che mi mise in contatto con essi.
Che
mondo diverso era quello di quarant’anni fa! Regnavano ancora tre
imperatori. Era certo un’età più umana di quella odierna, ma
sopravviveva ancora un dispotismo crudele. Nella nostra ingenuità,
parecchi di noi immaginavano che quella degli Czar fosse l’ultima e
la peggiore tirannide che affliggesse l’umanità, e noi
desideravamo vederne la fine.
A
quel tempo i marxisti erano divisi in due partiti in contrasto: i
menscevichi credevano che nella Russia retrograda la lotta per la
libertà dovesse seguire la via segnata dalla rivoluzione inglese e
francese. Anzitutto lo Czarismo doveva essere abbattuto per mezzo di
un’alleanza coi liberali, appartenenti alle classi medie e
superiori; in seguito, in una repubblica democratica, i lavoratori
avrebbero condotto la lotta per realizzare il socialismo. I
bolscevichi, sotto Lenin, respingevano sprezzantemente l’idea di
un’alleanza col liberalismo, e credevano che, con l’aiuto dei
contadini, gli operai potessero procedere immediatamente alla
rivoluzione sociale.
Io
conobbi parecchi membri di questo partito, che vivevano esuli a
Londra. Uno di questi era Ivan Maisky; un altro era Fedor Rothstein,
un abile giornalista, che partecipava con me alla redazione del
vecchio “Daily News”, ora divenuto il “News Chronicle”.
Questo
Fedor Rothstein una mattina del maggio del 1907 entrò nel mio
ufficio con un aspetto preoccupato ed ansioso; e mi fece trasalire
con la richiesta di trovargli immediatamente chi o regalasse o
prestasse la somma di 500 sterline. Il partito socialdemocratico
russo - mi disse - ne aveva bisogno e non poteva aspettare un giorno
di più. Egli mi dichiarò che il partito si trovava riunito a
congresso a Islington, un suburbio settentrionale di Londra. La
seduta durava da tre settimane; ora era quasi terminata ed in qualche
modo i trecento delegati dovevano raggiungere la Russia; ma il
partito non aveva un soldo in tasca. Il mezzo più economico era la
via per mare e 500 sterline costituiva la somma più ridotta per
effettuare il ritorno.
Un
milionario alla riscossa
Dopo
questo fortunoso viaggio alla ricerca del diritto di libera
discussione non è da stupire se i mezzi finanziari di questo
avventuroso partito fossero esausti. Che cosa restava da fare? Io non
potevo offrire personalmente le 500 sterline; ma, dopo breve
riflessione, pensai che c’era un personaggio, che era in grado di
farlo. Joseph Fels era un milionario eccentrico e generoso, che aveva
guadagnato il suo danaro in America con una fabbrica di saponi
comuni. Egli era nato in Russia, e nella sua giovinezza dalle terre
dei pogrom contro
gli ebrei era sbarcato a Nuova York. Io da parte mia pensavo che egli
avrebbe dovuto sentire un senso di solidarietà per quei ribelli, che
erano sbarcati sulle nostre rive.
Non
che Fels fosse un socialista; egli era un convinto seguace di Henry
George, il quale era dell’opinione che tutti i problemi del mondo
si risolverebbero felicemente solo che si volesse adottare l’imposta
unica sul reddito fondiario. Comunque Fels non era una persona di
idee limitate e non aveva dimenticato la sua avversione per la
tirannia degli Czar. Cosi ci portammo, io e Rothstein, all’ufficio
di Fels nella City. Egli ci ricevette molto cordialmente, ci ascoltò
pazientemente, e vide con soddisfazione che gli si presentava un
ottimo mezzo per usare il superfluo della sua ricchezza.
Noi
fummo presto sulla nostra strada per Islington, dopo aver riscosso il
denaro alla banca di Fels. Il partito teneva il suo congresso in una
rozza costruzione temporanea fatta di lamiera ondulata, conosciuta
come la Chiesa Socialista. Fummo fatti salire sulla galleria. Al
piano terreno sotto di noi Lenin stava parlando ad un uditorio che
ascoltava affascinato. Aveva iniziato il suo discorso la sera
precedente; l’aveva interrotto circa a mezzanotte, per riassumerlo
poi il mattino seguente; ora - era circa l’una pomeridiana - stava
avviandosi alla conclusione.
Piuttosto
piccolo, ma di taglia quadrata, egli spirava un’impressione di dura
forza; la sua testa di fattezza tartara dava l’impressione di un
formidabile potere di concentrazione. Parlava con grande facilità,
senz’ombra di sforzo. Sebbene io allora conoscessi poco il russo si
capiva che il suo era un discorso ragionato, senza retorica e senza
effetti sentimentali e patetici. Tratto tratto tuttavia lanciava
frizzi, senza dubbio contro i suoi oppositori, che sollevavano
l’ilarità generale. Finalmente egli si sedette, manifestamente
soddisfatto, perché col suo discorso era riuscito nell’intento di
spezzare irrimediabilmente in due parti il partito socialdemocratico
russo. Il solco tra menscevichi e bolscevichi non riuscì più a
colmarsi e, dopo la rivoluzione d’ottobre, il partito di Lenin
lasciò cadere il suo vecchio nome e si chiamò comunista. In questo
congresso ad Islington, tenuto nei giorni neri della reazione e della
persecuzione, Lenin, come il Gedeone biblico, fece la scelta di
quelli di cui poteva fidarsi e respinse gli altri. La sua sembrò la
tattica di un fanatico; ma gli eventi mostrarono che questo fanatico
era anche un realista, dotato di uno strano dono di previsione.
Quando
Lenin si sedette, gli uditori si divisero in gruppi. Evidentemente si
era diffusa la notizia tra i delegati che c’erano degli amici nella
galleria, che avevano portato il denaro che occorreva loro. Uno dopo
l’altro, i capi salirono a porgere i loro ringraziamenti. Per primo
si presentò Plekhanov, il capo dei menscevichi, a quel tempo il più
famoso dei socialisti russi. Egli era originario da una famiglia
aristocratica, ed io ricordo ancora con piacere i suoi modi gentili
ed il perfetto francese col quale ci ringraziò.
Trotsky
sopraggiunse dopo. A quel tempo non apparteneva a nessuna delle due
fazioni, ma capeggiava un piccolo gruppo, propenso alla
conciliazione. Era un bell’uomo, vigoroso ed eretto, che si muoveva
con spedita sicurezza, ed era chiaramente uno dei capi. Egli espresse
il ringraziamento del suo gruppo in un fluente e cordiale tedesco.
Ringraziamenti
per il prestito
Frattanto
al piano terreno Lenin, circondato da un gruppo di amici, stava
muovendosi verso la scaletta di ferro, che portava alla galleria.
Essi scherzavano tra di loro e finalmente spinsero sulla scala la
robusta ed orsacchiuta persona del loro capo. “Che cosa stanno
dicendo?” mi chiedevo con un cero stupore. “Compagno, avete
sistemato bene le cose. Bravo; e ringraziate .quel vecchio borghese
bizzarro, che ci ha tratto d’impaccio, proprio nel momento
opportuno”. Dicevano questo o qualcosa di simile. Questi furono i
nostri contatti con Lenin. Egli non pronunciò una vera e propria
forma di ringraziamento; ma disse poche parole in tedesco, piuttosto
bruscamente. Quindi si sedette accanto a Fels.
Fu
steso intanto un documento nel quale il partito riconosceva di aver
ricevuto un prestito, che si impegnava a pagare dopo la vittoria
della rivoluzione. Lenin lo firmò. Quando si alzò per partire, Fels
gli cacciò nelle mani uno dei suoi opuscoletti di propaganda
sull’imposta unica. Dal corso della storia posteriore della Russia
io deduco che egli non sia riuscito a convincere Lenin.
Grazie
al denaro di Fels la maggior parte dei delegati ritornò sana e salva
in Russia; tra questi Stalin, che allora era una delle figure più
giovani e di minor rilievo. I capi rimasero esuli e sparsi
nell’Europa occidentale. Essi continuarono a discutere la tattica
della rivoluzione accanitamente tra di essi, in opuscoli e periodici,
che essi introducevano di contrabbando nella Russia. Sette anni dopo
scoppiò la prima guerra mondiale, di cui Lenin si servì assai bene
come di strumento per la rivoluzione. Dieci anni dopo quell’oscura
conferenza di ribelli e di esuli senza soldi, i lavoratori di
Pietroburgo spazzarono via lo Czar di tutte le Russie dal trono,
s’impadronirono del Palazzo d’inverno sotto il comando di
Trotsky, e fondarono sotto la guida di Lenin quel governo sovietico
che dura ancor oggi.
Quello
stesso partito di senza soldi, che aveva preso in prestito il prezzo
del viaggio di ritorno da Joseph Fels, si ricordò del suo debito,
nel giorno della vittoria. Nell’intervallo di tempo era morto il
gentile e generoso prestatore; ma le 500 sterline a lui dovute furono
pagate alla sua vedova.
In
“Eco del mondo”, edizione italiana periodici Mondadori, n.21,
maggio 1948
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