I riti di passaggio
di Arnold Van Gennep, un classico dell’antropologia (1909) che
viene ripresentato ora nell’«Universale scientifica Boringhieri»
(o forse presentato per la prima volta in italiano, a cura di
Francesco Remotti, pagg. 216, lire 5.000) è un piccolo libro, ma
contiene una concezione globale della società e dell’esistenza
umane, basata sulle separazioni: dei luoghi, dei sessi, delle età,
delle famiglie, dei gruppi, delle funzioni. Per non parlare dei
passaggi fondamentali che separano la vita dell’individuo dalla
pre-vita e dalla post-vita: nascita e morte.
Van Gennep, i cui meriti
di ricercatore sono legati a monumentali opere sul folklore francese,
in etnologia si è limitato a mettere in ordine dati raccolti da
altri, ma egli può essere ben considerato tra gli inventori di
grandi sistemi teorici fondati su un semplicissimo concetto
unificatore, in base al quale si può spiegare qualsiasi fenomeno.
Tale era per lui il «momento di passaggio», che in qualsiasi
cultura, primitiva o meno, è accompagnato da riti speciali.
Cultura è appunto
coscienza dei passaggi e della necessità di sottolinearli con i riti
che loro corrispondono: il passaggio materiale che collega il dentro
col fuori, cioè le porte della casa e della città, le frontiere del
territorio; i riti della partenza e del ritorno; i riti
d’aggregazione dello straniero al gruppo o alla tribù e i riti di
separazione che comprendono la vendetta e la guerra; i riti che
accompagnano la gravidanza; il parto, l’ingresso dell’infante
nella comunità, circoncisione o battesimo; i riti di pubertà e
d’iniziazione, le ordinazioni sacerdotali, le incoronazioni, le
affiliazioni a società segrete o a corporazioni professionali, e
relative esclusioni o scomuniche; i riti del fidanzamento o del
matrimonio, nonché del ripudio e del divorzio; e il complesso
rituale delle cerimonie funebri.
A ogni passaggio, o quasi
a tutti, corrisponde una zona di margine, o marca di confine, fuori
dallo spazio e dal tempo, considerata come sacra o come impura, tabù:
la soglia, il saluto, la gravidanza, il fidanzamento, il lutto.
Se si aggiungono i riti
agricoli di passaggio stagionale e quelli che accompagnano le fasi
lunari, le rivoluzioni dei pianeti e le ricorrenze zodiacali, vediamo
che il sistema dei passaggi connette la vicenda umana al cosmo, in un
disegno universale caratterizzato dalle linee marcate che lo
attraversano, da discontinuità e strisce divisorie.
Separazione tra i
sessi
L’immagine più
suggestiva di questa concezione del mondo è data dalle grandi porte
monumentali che nell’Estremo Oriente s’innalzano isolate, senza
che apparentemente comunichino con nulla. Questi portici isolati «non
soltanto sono diventati dei monumenti indipendenti, di un proprio
valore architettonico (portici delle divinità, degli imperatori,
delle vedove ecc.), ma sono stati addirittura utilizzati —
perlomeno nello shintoismo e nel taoismo — come strumenti
cerimoniali (si vedano i riti dell’infanzia). Questa evoluzione dal
portico magico al monumento sembra essere stata la stessa dell’arco
di trionfo romano: infatti il trionfatore doveva separarsi,
attraverso una serie di riti, dal mondo nemico per poter rientrare,
passando sotto l’arco, nel mondo romano; in questo caso il rito di
aggregazione consisteva nel sacrificare a Giove Capitolino e alle
divinità protettrici della città».
Di questo universo di
differenze che circondava gli uomini dell’antichità e delle
società che egli chiama «semicivilizzate», Van Gennep, scrivendo
agli inizi del nostro secolo, parla già come di un mondo perduto, in
un’epoca che va verso l’uniformità e l’indifferenziazione.
Nella società moderna (dal Rinascimento in poi) egli vede cresciuta
solo la separazione tra il sacro e il profano, che nelle fasi
anteriori si mescolavano in ogni funzione dell’esistenza
(continuano a esser necessari per esempio riti speciali per passare
dallo stato di laico a quello di sacerdote); mantenuta la separazione
tra classi, categorie, professioni, ma solo su basi economiche e
d’istruzione (senza che le aggregazioni, i mutamenti di stato
sociale siano più segnati da particolari rituali) e non più
circoscritta localmente per quel che riguarda l’uniformità dei
gruppi; vede attenuata la separazione tra i sessi e pure la
solidarietà tra gli appartenenti allo stesso sesso, sancita (nelle
società primitive) da periodi di esclusione dei maschi e delle
femmine.
Scrivendo negli ultimi anni della Belle Époque, egli mette tra le separazioni in via di cancellazione anche le frontiere tra Stati «visibile solo sulle carte, nelle quali viene marcatamente segnata». Ma anche se per noi questo rimane un sistema di linee divisorie ancora ben concretamente vigente, dobbiamo convenire che è sempre più artificiale, in quanto le nazioni confinanti tendono sempre più a somigliarsi.
Scrivendo negli ultimi anni della Belle Époque, egli mette tra le separazioni in via di cancellazione anche le frontiere tra Stati «visibile solo sulle carte, nelle quali viene marcatamente segnata». Ma anche se per noi questo rimane un sistema di linee divisorie ancora ben concretamente vigente, dobbiamo convenire che è sempre più artificiale, in quanto le nazioni confinanti tendono sempre più a somigliarsi.
Nel mondo delle società
di massa in cui viviamo, la prospettiva è un po’ cambiata
dall’oggi in cui Van Gennep scriveva, ma le correzioni non cambiano
il discorso di fondo: tra i sessi la crescente spinta all’uniformità
non esclude la solidarietà sessista; tra le età è cessata la
separazione gerarchica e il sistema delle iniziazioni e aggregazioni
all’età adulta, ma si è fissata una cultura giovanile come zona
separata e stabile (anche in termini di mercato); alla distanza
economica tra le classi, sempre molto forte, corrispondono orizzonti
culturali sempre più omogenei; aumenta sempre, invece, il divario
tra le aree geografiche dei «meno evoluti» (per usare il vecchio
vocabolario) e la metropoli
(mentre nel mondo
preindustriale la coscienza della propria diversità autoctona era
gelosa e fiera da ambo le parti e il disprezzo dell’altro era
reciproco).
Ma non è delle maggiori
o minori differenziazioni e separazioni che stiamo parlando, ma
piuttosto del fatto caratteristico di oggi che nessuna separazione si
configura più come consacrata da un rituale, anzi, si direbbe che
non sopporti più nemmeno le giustificazioni ideologiche. Segno che
esse sono avvertite come intralci non funzionali che la coscienza ha
già allontanato come aspetti negativi ed eliminabili.
Forse è proprio perché
questo mondo dei passaggi ci appare sempre più lontano, che ci
sembra di comprenderlo perfettamente: ogni situazione di crisi vi era
incasellata tra linee nette, istituzionalizzata e in qualche modo
esorcizzata, ma proprio per questo riconosciuta nel suo effettivo
valore di crisi; mentre il nostro mondo, in cui i passaggi sono
sfumati, stemperati o minimizzati, si configura come uno stato di
crisi diffusa e continua.
Leggendo Van Gennep non
possiamo far a meno di domandarci per ogni avvenimento della nostra
vita quotidiana o delle nostre esperienze fondamentali, quali «riti
di passaggio» inconsci o impliciti siamo portati a compiere:
certamente ci sono, li pratichiamo continuamente anche se non
sappiamo riconoscerli come tali. A pensarci bene, è tutta la nostra
epoca che viene abitualmente definita come «epoca di transizione» o
«di passaggio»: passaggio verso cosa non si sa, o si sa sempre
meno. Non manca la tendenza a considerare sacra la condizione di
transizione e di crisi. Ma così facendo, in assenza d’un dentro e
d’un fuori da cui o in cui passare, il passaggio sacralizzato
diventa stabile e senza alternative, e usurpa il culto che gli è
tributato in quanto passaggio.
Bestie sacre
Prendiamo le porte:
viviamo nell’epoca delle chiavi, ognuno di noi gira con un mazzo di
chiavi appeso alla cintura come un carceriere; delle porte oggi
contano solo le serrature, il sistema che ci assicura il mantenimento
materiale dei possesso; ed è scomparso il significato simbolico
della soglia custodita da statue di grifoni o di sfingi o di dragoni
alati o altre bestie sacre, come all’entrata delle case degli
Egizi, degli Assiro-Babilonesi e ancor oggi dei Cinesi. I mostri
custodi delle porte potevano esserne considerati un attributo
perenne; la nostra assurda vita di portatori di chiavi ci appare come
un rimedio di fortuna a una condizione d’emergenza, pur sapendo che
non ci sono alternative possibili.
Van Gennep, per dimostrare che la porta principale delle case, consacrata da riti speciali e orientata in direzione favorevole, aveva le prerogative spirituali di margine tra il mondo esterno e quello familiare, mentre per gli usi impuri come l’uscita dei cadaveri (e delle donne nei periodi considerati impuri) erano usate le finestre o uscite secondarie, aggiunge, con ammirevole candore: «Di qui la preferenza dei ladri a entrare da aperture diverse dalla porta».
Van Gennep, per dimostrare che la porta principale delle case, consacrata da riti speciali e orientata in direzione favorevole, aveva le prerogative spirituali di margine tra il mondo esterno e quello familiare, mentre per gli usi impuri come l’uscita dei cadaveri (e delle donne nei periodi considerati impuri) erano usate le finestre o uscite secondarie, aggiunge, con ammirevole candore: «Di qui la preferenza dei ladri a entrare da aperture diverse dalla porta».
"la Repubblica", 28 luglio 1981
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