Case
e pensioni. Pensioni e case. Da quanto tempo il dibattito, alla
vigilia di ogni manovra economica, ruota attorno a queste due parole?
Da Dini a Fornero, da Berlusconi (che calò in tv sulla campagna
elettorale 2006 l’asso dell’abolizione dell’Ici) a Renzi (che
sempre in tv ha annunciato la fine dell’attuale Tasi, erede
dell’Imu, erede dell’Ici), niente sembra essere cambiato nelle
priorità della politica nazionale. Nel frattempo c’è stata la più
grave crisi economica dal ’29, sono passati vari governi, tre o
quattro generazioni nuove si sono affacciate alla vita adulta, ma la
lingua batte sempre lì: pensioni e case. Anche se la proprietà
dell’abitazione riguarda pochissimi giovani (il 70 per cento dei
trentenni vive ancora nella famiglia di origine, e meno della metà
delle famiglie con titolare sotto i 34 anni è proprietaria nella
casa in cui vive), e la questione della “flessibilità in uscita”
riguarda, per definizione, solo chi è attorno ai 60 anni. Questa
ossessione non è una cosa di cui il rottamatore Renzi, che si è
fatto vanto della sua attenzione ai giovani, possa andare fiero.
L’abolizione
totale delle tasse sulla prima casa costa tra i 4 e i 4,5 miliardi, e
non c’è un economista pronto a testimoniare su un suo effetto
benefico sull’economia. Anche i più ferventi sostenitori del
taglio delle tasse come unica strada per la ripresa chiedono di
tagliare le tasse sul lavoro, non quelle sulla proprietà. Dal punto
di vista dell’equità, poi, la cosa sta ancor meno in piedi: è
vero che molti proprietari “poveri” saranno sollevati dal peso,
ma lo saranno ancor di più i più ricchi. Nell’ultimo anno in cui
è stata pagata l’Imu sulla prima casa, il 40% del gettito di
quell’imposta è venuto dalle famiglie che stanno ai gradini più
alti della scala sociale, ossia dai due decimi superiori: insomma,
quelli che guadagnano di più (dati da
lavoce.info). Si
potrebbe benissimo riformare la Tasi, erede dell’Imu, e fare in
modo che i proprietari più poveri non la paghino, facendola restare
solo per quelli più benestanti: si troverebbero così risorse, per
finanziare magari altre misure, più efficaci e più eque. E invece
no: tutti quei 4-4,5 miliardi saranno bruciati sull’altare
dell’abolizione della Tasi. Sul quale il governo sacrifica anche
una misura a cui pareva tenere, sponsorizzata anche dal presidente
dell’Inps Boeri: uno scivolo verso la pensione, un modo per
ammorbidire la legge Fornero e far andare via dal lavoro prima un po’
di gente senza con questo abbattere troppo le loro pensioni.
Un
calcolo politico, prima che economico o strategico, spinge in questa
direzione. Ma siamo sicuri che sia un calcolo giusto? E che, senza
gratificare poi molto gli “anziani” pensionandi e proprietari di
case, non faccia invece arrabbiare i più giovani? Questi ultimi si
aspettavano qualcosa, dal governo della rottamazione. E finora hanno
avuto ben poco. Il jobs
act ha cambiato le
regole dei contratti, ma non ha esteso in modo sensibile le tutele
per gli outsider: non si può certo dire che il passaggio da “Aspi”
a “Naspi” abbia allargato l’ombrello dello stato sociale su
tutti gli esclusi. Le partite Iva, accarezzate in campagna
elettorale, hanno dovuto lottare con le unghie e con i denti per
evitare un ulteriore aumento dei contributi, ma non hanno avuto
niente di più. E l’aumento dell’occupazione che c’è stato è
andato tutto a favore dei più anziani: essendo salito, parola
dell’Istat, soprattutto il lavoro tra gli over 50. Il reddito di
cittadinanza, parola d’ordine abbastanza popolare tra i giovani
precari senza alcun welfare, è rimasto nelle retrovie parlamentari,
ben meno considerato di Italicum e riforma del senato. Per non
parlare delle misure per i più poveri – tra i quali ci sono molti
più giovani che anziani: il rischio di povertà, secondo gli ultimi
dati Eurostat, va dal 26,5% tra i nostri giovani tra i 18 e i 24
anni, al 19,8% tra i 25 e i 54, al 15,7% tra i 55 e i 65 anni fino al
14,7% per gli over 65. Anche la lotta alla povertà può attendere:
intanto, parliamo di case e pensioni.
Dal
sito di Roberta Carlini
Commento
pubblicato il 9 settembre 2015 sui quotidiani locali del gruppo
Espresso
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