Seduti da sinistra: Pietro Ingrao, Fausto Bertinotti, Rossana Rossanda. In piedi da sinistra: Lucio Magri, Valentino Parlato, Aldo Tortorella |
"Quando ha compiuto
i cento anni la scorsa primavera, Pietro Ingrao è stato celebrato
come un grande italiano punto e basta. Ma Pietro ci teneva a essere
definito un comunista, e io è così che lo voglio ricordare..."
Rossana Rossanda,
raggiunta nella sua casa di Parigi dalla notizia della morte di
Ingrao, ripensa alla sinistra alle sue spalle, a quel lungo tratto di
storia fatto di conflitti e condivisioni. La cofondatrice del
manifesto fa di Ingrao un ritratto commosso e inedito.
Rossanda,
quale sentimento prova? E un'epoca che si chiude...
"Assolutamente sì,
è un'epoca che con lui finisce ".
Cosa
di Ingrao in questo momento vuole ricordare?
"Il suo modo di
porsi delle domande, gli interrogativi. Talvolta anche esagerati.
Talvolta lo hanno bloccato nelle scelte".
Ingrao disse poi di
essersi pentito di avere votato per l'espulsione dal Pci di voi del
gruppo del "manifesto". Ammise che gli era mancata
"l'immaginazione e il coraggio" per seguirvi?
"Affermò che si
trovò solo nelle battaglia e che noi l'avevamo abbandonato. Non andò
così".
Lei gli rimproverò di
non essere stato abbastanza determinato?
"Si. Penso che
sarebbe stata un'altra strada per il movimento comunista italiano se
lui avesse attaccato il partito di Occhetto di cui non condivise la
svolta. Non che il coraggio gli mancasse ma a prevalere fu la volontà
di proteggere il partito, che per lui non era solo il gruppo
dirigente ma qualche milione di persone che si sentivano
rappresentate. Davvero tutta la storia di Rifondazione comunista
sarebbe stata diversa e forse a sinistra dell'allora Pci ci sarebbe
stata un voce più forte di quella di Garavini e di Bertinotti. Ma
Pietro non lo volle fare".
Cosa era il comunismo
per Ingrao?
"Cosa fosse nei suoi
pensieri non lo so. Dello sviluppo dell'Urss, della Cina e di Cuba
non abbiamo mai parlato, né lui ha scritto nulla. Però va fatta
un'osservazione: la storia del comunismo reale di questi paesi non
l'ha fatta lui come non l'ha fatta nessuno di noi. Se la storia è
andata come è andata, chiunque di noi oggi può dire "forse ho
sbagliato anche a tentare". A Pietro non è venuto mai questo
dubbio, di avere cioè sbagliato anche a tentare".
Della parola comunismo
voleva preservare il valore evocativo?
"Non credo,
piuttosto ritengo che lui pensasse che fosse il solo modo di uscire
da una crisi molto grave della società contemporanea".
Una cosa che vale
anche per lei?
"Per me sì.
Ciascuno alla domanda risponde diversamente. Oggi la gran parte dei
movimenti di base vengono da tradizioni diverse".
Quale episodio le
piace ricordare di Ingrao?
"Ingrao era il punto
di riferimento di una grossa sinistra interna nel Pci negli anni
Sessanta. Era un fronte molto più vasto di quanto non fossimo noi
"eretici" del manifesto, ogni volta che prendeva la parola
era sommerso dagli applausi. Fu così anche nel congresso in cui
tutta la direzione del Pci lo isolò. Fu messo rispettosamente ma
completamente da parte. Mi piacerebbe sapere se Berlinguer, quando
capitò a lui in seguito di trovarsi solo, non si sia chiesto se
aveva fatto un errore grave ad allontanare Ingrao. Perché Ingrao non
era un estremista, ma un uomo politico molto moderno, un riformista
determinato, uno che avrebbe fatto ordine nel partito non camminando
sui cadaveri".
Ma di Ingrao a lei
cosa piaceva?
"Il bisogno di
capire al di là delle formule".
Cosa vuol dire oggi
essere di sinistra?
"Ma cos'è la
sinistra? La bussola dell'uguaglianza non c'è quasi nessuno che ce
l'abbia. Non c'è più una differenza tra una posizione di
centrodestra e una di centrosinistra, Renzi ne è un esempio
folgorante ".
“la Repubblica” 28
settembre 2015
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