Nel sito di “Antimafia
2000” ho trovato questa efficace sintesi della relazione semestrale
DIA, che conferma un grave degrado della politica e dell'economia,
una loro permeabilità altissima alla corruzione e alla collusione.
Ne consiglio la lettura. (S.L.L.)
Tra mafia e corruzione
c'è un “nesso congenito e fortissimo”. A scriverlo è la
Direzione investigativa antimafia che nei giorni scorsi ha consegnato
al parlamento la relazione semestrale. Sull'ala politico-economica di
Cosa nostra, “quella che intrattiene rapporti con i 'colletti
bianchi' e con imprenditori compiacenti ed i cui interessi
convergono, grazie a connivenze e collusioni, con quelli di
rappresentanti infedeli delle istituzioni”, si concentra l'analisi
della Dia. Nel documento si evidenziano tutte le interferenze nella
gestione dei pubblici poteri, “con pratiche di vero e proprio
brokeraggio criminale, finalizzato anche all’illecito sostegno
elettorale di candidati disponibili”. Una saldatura, quella tra
mafia-politica ed imprenditoria, che si “realizza attraverso una
sapiente trama di relazioni occulte”.
Gli investigatori
sottolineano come il trend rispetto al passato sia cambiato. Se in
passato erano le criminalità organizzate a fare pressione su
colletti bianchi ed imprenditori oggi sono questi che “aderiscono
spontaneamente al paradigma mafioso”.
Grazie a professionisti e
manager complici che “procurano appoggi per inserirsi nel circuito
socio-economico sano” la mafia è in grado di “espandere i propri
interessi verso qualsiasi ingranaggio del meccanismo produttivo”.
Affari &
investimenti
Tra i settori più a
rischio contaminazione quello legato “al ciclo di smaltimento dei
rifiuti, settore fortemente in crisi - così viene definito dagli
investigatori - anche per i ritardi accumulati nel tempo rispetto al
recepimento delle direttive comunitarie in materia” con i boss
pronti “ad accaparrarsi le incentivazioni economiche connesse alla
tutela dell’ecosistema”. La Dia individua in questo settore
“l'habitat ideale per infiltrare il sistema economico produttivo”.
Ma gli affari si sviluppano in tutto il territorio nazionale a 360°.
L'indagine denuncia anche
“un'evidente tendenza ad interferire con le procedure di
aggiudicazione di appalti e subappalti di opere e servizi, deformando
le regole della libera concorrenza attraverso l'estromissione
dell'imprenditoria sana, con conseguenze negative per la lievitazione
dei costi di esecuzione e lo scadimento di prestazioni e
realizzazioni non sempre rispondenti ai richiesti standard di qualità
e sicurezza”. Si tratta dunque di un “sistema di corruzione
diffusa” che, insieme alla “progressiva perdita di valori,
contribuisce ad amplificare la vulnerabilità dell'apparato
istituzionale, esaltando
le potenzialità delle organizzazioni criminali di condizionare il
regolare svolgimento dei processi deliberativi e della vita
democratica”.
Per quanto riguarda il
campo degli affari “L’acquisto di beni immobili si conferma il
più tradizionale metodo di riconversione della liquidità”. Poi ci
sono le “false fatturazioni, all’utilizzo di società di comodo,
all’interposizione di prestanome e schemi societari, al
trasferimento di disponibilità all’estero” tutto tramite
complici insospettabili.
“Il binomio
riciclaggio-investimento - scrive la Dia - costituisce il filo
conduttore delle strategie mafiose. Nel tentativo di ammortizzare i
contraccolpi della repressione: con la predilezione verso manovre a
sfondo economico”.
Ovviamente perdurano
anche quegli affari nell'universo del traffico di stupefacenti o
dell'agroalimentare dove recenti inchieste hanno riscontrato una
“maggiore inclinazione a suggellare alleanze e ad intraprendere
collaborazioni sia tra le varie anime di Cosa nostra che con altre
organizzazioni criminali, in particolare con Camorra e ‘Ndrangheta”.
Cosa nostra,
Messina Denaro e il legame tra le famiglie
“Cosa nostra –
prosegue la relazione - nonostante le persistenti difficoltà che è
costretta a fronteggiare costituisce tuttora una 'galassia'
fortemente strutturata e pervasiva, con una spiccata territorialità
nella regione d’origine ed una significativa capacità
'trasversale' di condizionamenti e infiltrazione dei contesti
socio-politico-economici. Quest’ultima costituisce la forma meno
palpabile, ma altrettanto inquinante attraverso la quale si propaga
anche fuori dalla Sicilia per soddisfare i propri interessi
criminali”. Insomma siamo di fronte ad una mafia che, al contrario
di quello che vorrebbero far credere in molti, nonostante i numerosi
arresti è tutt'altro che sconfitta.
Secondo la Dia
“l’ampliamento dell’autonomia e della competenza delle
famiglie, nonché le reggenze non unanimemente condivise potrebbero
preludere ad iniziative di auto-legittimazione, anche con
manifestazioni interne di violenza”. Ovviamente la figura più
carismatica tra i boss in libertà è quella del superlatitante
Matteo Messina Denaro “attorno al quale si coagula il forte centro
di potere di Cosa nostra trapanese”. Nel documento si sottolinea
come “la 'primula rossa' siciliana sarebbe tuttora impegnata,
stando agli esiti dell’operazione Eden II , a stabilire un punto di
equilibrio e di sintesi tra le famiglie trapanesi e quelle
palermitane più forti per porre le basi di una possibile piattaforma
d’intesa”. In particolare sul fronte orientale siciliano si
evidenzia come “la sussistenza di focolai” sia da ricondurre a
“tentativi di alcuni esponenti dei maggiori clan di Catania di
accreditarsi - con fughe in avanti - presso i responsabili dei
mandamenti palermitani più rappresentativi, quali nuovi referenti di
Cosa nostra catanese. In questo clima, un dato da non sottovalutare è
il sistematico rinvenimento nella città etnea ma anche nel resto
della Sicilia centro-orientale, di arsenali di armi, anche da
guerra”. Più in generale, secondo la Dia, “l’asset
verticistico militare consente ancora all’organizzazione di
assorbire l’estenuante fibrillazione interclanica, sebbene
l’ampliamento dell’autonomia e della competenza delle famiglie,
nonché le reggenze non unanimemente condivise potrebbero preludere
ad iniziative di auto-legittimazione, da parte di capi o gruppi alla
ricerca di ruoli di maggiore spessore, anche con manifestazioni
interne di violenza”.
Altro aspetto riguarda
l'attenzione che molte famiglie cercano di mettere sul numero di
ingressi all'interno della consorteria. “Molte famiglie –
scrivono ancora gli investigatori - sembrano propendere per una più
rigida compartimentazione, nell’intento di ridurre al minimo la
dispersione d’informazioni di valore significativo per la
sopravvivenza del sodalizio”, stabilendo “differenziati livelli
di accesso alle stesse”. Del resto è fatto noto che tra i fenomeni
che la mafia più teme nella storia vi è proprio quello dei pentiti.
La potenza della
'Ndrangheta
Nella sua relazione la
Dia conferma la 'Ndrangheta come “tra le più potenti
manifestazioni criminali autoctone, capace di agire con estrema
disinvoltura nei contesti più diversificati con un’accentuata
predisposizione nei confronti di comparti economici, finanziari ed
imprenditoriali”. L’obiettivo perseguito in tal senso dalla
‘Ndrangheta sembra a volte prescindere dalla mera accumulazione di
denaro, prediligendo l’esercizio di forme di potere sui singoli. In
seno all'organizzazione criminale vi è una forte capacità “di
esportare le dinamiche criminali attraverso comportamenti che possono
riproporre il tradizionale modello mafioso anche mediante la
costituzione, al di fuori della Calabria, di nuclei stabili sul
territorio legati, spesso, da vincoli familiari”. “La ‘Ndrangheta
– si legge ancora nel documento -, anche se a differenza di Cosa
Nostra si identifica in un’organizzazione di tipo rigidamente
verticistico, appare protesa, nell’ultimo periodo, nel ricercare
una certa forma di aggregazione attorno a centri di comando più
definiti. Un’organizzazione imprenditoriale non più costituita da
un mero insieme di cosche prive di connessioni tra loro ma una
galassia di centri di potere alla ricerca di possibili sinergie con
consorterie spesso territorialmente limitrofe”. Ed è così che
l'organizzazione criminale calabrese è diventata come un mutante
capace di infiltrarsi nei gangli vitali dell’economia, della
politica, della cultura e della società sfuggendo al controllo dello
Stato. La 'Ndrangheta è riuscita a sfruttare i legami con l’area
grigia, tutto questo senza cambiare le proprie regole o mutare la
propria organizzazione. E' stato confermato il quadro per cui al
vertice della ‘Ndrangheta vi siano articolazioni denominate
“provincia” o “crimine”, sovraordinata ai mandamenti che
insistono sulle tre macroaree della Calabria: quella ionica, quella
tirrenica e il centro.
Fonte principale di
guadagno è in particolare il business del narcotraffico. In questo
settore la criminalità organizzata calabrese è diventata di fatto
“oligopolista” e ad essa si rivolgono anche Cosa nostra e Camorra
per rifornirsi della droga proveniente dal Sud America. Secondo la
Dia i boss calabresi, per l’entità del giro d’affari gestito,
possono essere “a pieno titolo considerati grossisti, alla stregua
di rappresentanti di una multinazionale”. I soldi fatti con il
traffico delle sostanze stupefacenti, poi, sono la cassaforte della
‘Ndrangheta che, però, non dimentica il controllo del territorio.
Quel denaro accumulato con lo stupefacente le cosche, attraverso
operazioni di “money laundering”, riescono a penetrare il
tessuto economico italiano e internazionale, penetrando il tessuto
sociale ed economico nazionale. “La capacità di interloquire con
la politica - si legge ancora nella relazione della Dia - di
rapportarsi ad essa e condizionarne le scelte, consente alla
‘Ndrangheta di spingersi fino al controllo della cosa pubblica,
specie in ambito locale, estendendo la propria influenza in un
contesto sempre più ampio, sino al cuore dell’economia legale”.
Gli investigatori
lanciano un allarme indicando quelle che sono le nuove sfide di
fronte ad una 'Ndrangheta capace di mutare strategia con facilità.
Non viene neanche esclusa la possibilità di "compiere delitti
di maggiore impatto sociale nella province calabresi (i segnali di
maggiore criticità riguardano Reggio Calabria, la Locride, la Piana,
il vibonese, il lametino, le Serre, il soveratese, l’Isolatano, il
Cirotano e la Piana di Sibari), nelle regioni dell’Italia centrale
e settentrionale, nonchè all’estero”. Inoltre “potrebbero
perdurare tentativi, attraverso adepti e contrasti onorati, di
osteggiare le iniziative antimafia, giudiziarie e non, attraverso
mirate strategie mediatiche”.
La Camorra, divisa
e in guerra
Per
quanto riguarda la Camorra la relazione sottolinea come
la criminalità campana sia ancora “capace di esprimere la sua
pervasività su più piani, quello criminale, imprenditore e
politico, diversificando i propri interessi”. I clan controllano il
territorio e confermano la propria leadership in zona soprattutto
attraverso il pizzo presso negozi ed imprese, attività che spesso
finisce per esasperare un’economia sull’orlo del baratro. Ma è
sul fronte dell’organizzazione che giunge qualche novità. Viene
rilevata una “polverizzazione dei clan”, che non ha impedito
l’infiltrazione nel tessuto economico, finanziario e politico, ma
che ha avuto come conseguenza un maggior ricorso alla violenza.
Proprio la “polverizzazione” viene indicata come una delle cause
per la rapida formazione di quelle nuove aggregazioni criminali che
rendono ancora più instabili gli equilibri interni, e che generano
gravi problemi di sicurezza pubblica dando vita a faide come quelle
che si sono verificate negli ultimi giorni. “Il profondo degrado
sociale – spiega la Dia – che connota alcune aree della regione
contribuisce ad accrescere il potenziale criminale dei vari gruppi,
per il consenso che riscuotono nelle fasce più emarginate della
popolazione. Il semplice intervento preventivo di repressione da
parte delle forze dell’ordine è insufficiente per avviare un
virtuoso meccanismo di risanamento socio-culturale complessivo”.
Non è un caso che nel
secondo semestre del 2014 la Dia abbia registrato un aumento dei
ferimenti dovuti ad attentati con matrice camorristica. La presenza
di tanti clan fa sì che, ad eccezione di alcune zone (vedi il
Casertano dove egemoni sono i Casalesi), le alleanze siano in
continua evoluzione.
Antimafia 2000, 9
settembre 2015
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