Punta Stilo - La statua in bronzo di Tommaso Campanella |
Dopo dieci anni passati a
Roma, Padova e Napoli, tra conversazioni dotte, letture sterminate e
amicizie stimolanti come quella con il Galilei, nel 1598 il frate
dominicano e filosofo Tommaso Campanella torna in Calabria. L’impatto
con la sua terra d’origine è durissimo: Campanella mostra subito
insofferenza per il clima di chiusura culturale e di dogmatismo
religioso imposto dalla Controriforma, e per il malgoverno spagnolo.
Contro questo stato di cose, dopo neanche un anno organizza una
congiura per liberare la sua regione dal viceré spagnoli e fondare
una repubblica comunitaria e teocratica.
Aveva centinaia di
aderenti e l’appoggio dei turchi quando il complotto fu scoperto.
Ma viene arrestato e, accusato di eresia e ribellione, è rinchiuso
per ventisette anni nelle carceri di Castel Nuovo a Napoli.
Il supplizio di
Tommaso Campanella (a cura di Luigi Firpo, Salerno editrice)
raccoglie i verbali delle torture a cui fu sottoposto il frate
dominicano e i documenti sulla sua prigionia. Si tratta per lo più
di testi già pubblicati da Luigi Amabile nel 1882 che Luigi Firpo ha
annotato.
Il linguaggio piatto e
burocratico dei verbali degli interrogatori e delle torture non ha
ovviamente la forza delle poesie che sullo stesso tema Campanella
scrisse dal carcere, ma ci dà la misura delle atroci sofferenze
della detenzione e del vivere disumano «sotterra, con ferri sempre,
senza veder mai luce né cielo, in luoco bagnato che stilla d’ogni
muro acqua continuamente».
Dai dialoghi notturni tra
il Campanella e il suo vicino di cella frate Pietro Ponzio, riportati
da una spia al servizio degli spagnoli, emerge uno spaccato della
vita dei detenuti. Tra tante sofferenze ed angosce, questo testo
descrive anche momenti di solidarietà tra reclusi, di dolcezza e
persino d’amore. Tommaso Campanella si rivolge al compagno: «O fra
Pietro, perché non opri qualche modo e dormimo insieme, e godemo».
E Pietro Ponzio risponde: «Cor mio te vorria dare vinte basate per
ora».
Seppure distrutto da
quattro mesi di ininterrotte torture, Campanella riesce a non
confessare e a difendersi in qualche modo. Nel primo interrogatorio
nega tutto, sostiene di non aver mai saputo di un complotto in
Calabria. Poi cambia linea: accusatemi — diceva in sostanza — di
profetismo messianico, per aver interpretato alcune premonizioni
naturali e divine come il segno di un cambiamento universale, ma non
per una sterile rivolta anti-papale e anti-spagnola che non mi
riguarda. L’unico modo per aver salva la vita fu infine fingersi
pazzo per un anno intero.
Il supplizio ai Tommaso
Campanella è il segno della solitudine di un uomo in preda a
un’oscura tirannide, del contrasto tra il legalismo gelido dei
giudici e la forte resistenza morale del sacerdote calabrese. È
l’affermazione di un irrinunciabile bisogno di libertà: «Libertà,
mio Dio, bramo e tu non mi ascolti ma volgi gli occhi altrove».
"il manifesto", ritaglio senza data, ma 1985
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