Il concorso
cui partecipano le città per diventare “capitali europee della
cultura” assomiglia a miss Italia. Di step in
step (perché non “gradino”?),
cioè di scrematura in
scrematura, il numero delle località pretendenti si va
assottigliando tra un andirivieni di commissari che, spostandosi da
un capo all'altro della nazione designata, prendono le misure alle
città e ai loro progetti. E come nei concorsi di bellezza ci sono i
titoli e i premi di consolazione. Così, tra le cinque città
finaliste, una sola, Matera, ha la
gloria d'essere “capitale europea della cultura 2019” e la gioia
di ricevere i sostanziosi contributi connessi al ruolo; le altre - e
tra esse Perugia - devono contentarsi della fascia di “capitali
italiane della cultura 2015” e di un premio più modesto.
Questa
delle “4 capitali 4” è peraltro cosa aberrante e un po'
ridicola: “capitale” viene da caput, testa,
e un essere a quattro teste ai più sembrerebbe un mostro; ma,
nell'era della competizione globale e della sfida territoriale, le
“sparate” pubblicitarie sono moneta corrente perfino nelle
burocrazie europee. Detto per inciso, ci è capitato di leggere –
sul giornalino di Colaiacovo e Castellini – un titolo sublime:
Brufa capitale dell'arte tra scultura, ceramica e pittura.
Più
significativo del ruolo di “capitalina” è comunque il premio di
consolazione, un milione tondo tondo: 200 mila euro di fondi europei
e 800 mila del ministero della Cultura. Tra gli intenti dichiarati
da chi ha costruito questo baroccheggiante ambaradan c'è di far sì
che i denari servano davvero per la cultura e che almeno una parte,
più che a produrre “eventi” inevitabilmente effimeri, serva a
finanziare infrastrutture durature, ragion per cui sono richiesti ai
Comuni precisi progetti.
Le risorse
assegnate a Perugia scaturiscono in parte dalla progettazione
della giunta Boccali-Cernicchi e del suo team di consulenti guidato
da Bracalente; e a loro si deve lo slogan contadino che avrebbe
dovuto unificare iniziative ed interventi: Seminare il
cambiamento. La nuova giunta ne
ha corretto il senso con una specificazione, Dalla memoria
il futuro, e ha modificato
ampiamente il piano iniziale. Lo slogan risultante resta aereo e
suggestivo, ma sembra affidare il domani di Perugia a un ritorno alle
origini, che ridia vigore agli eredi delle antiche élites,
massoniche o clericali importa poco. Il tutto è cementato da
un'ideologia d'accatto, che trova la sua incarnazione nella vispa
Teresa Severini, assessore e sorella del Consigliere di Stato: un
“peruginismo” senza 20 giugno e senza lotte mezzadrili, senza
partigiani e senza comunisti.
Dal prospetto diffuso
risulta che il milione sarà speso un po' qua un po' là:
150 mila euro per un “Museo del Medioevo” (100 per infrastrutture
e 50 per eventi); 30 mila per rappresentazioni storiche dentro la
Rocca Paolina; 30 mila per un “Museo diffuso per gli strumenti
musicali” e altrettanti per una mostra sulla Grande Guerra.
Continuiamo: 20 mila euro per una rassegna di danza e 50 mila per
concerti nei luoghi d'arte; 15 mila a favore dell'accessibilità del
Pozzo etrusco e 100 mila al teatro Pavone per scenografie innovative.
Qualcosa c'è anche per la biblioteca (L’Augusta è Perusia –
si proclama), che dovrebbe «diventare, da principale
conservatrice delle documentazioni riguardanti storia e cultura della
città, la migliore divulgatrice delle stesse»: 20 mila euro per
infrastrutture e 30 mila per eventi; poi “luci d'artista” sui
monumenti (50 mila); teatro in piazza e musica d'autore (40 mila), il
San Francesco musicato da Messiaen (60 mila), in cui si imita
il canto degli uccelli. Dicono che sarà presentato da giovani
orchestre europee “en plein air”: un tocco di francese
impressionistico non guasta, come non guasta una spruzzatina del
francescanesimo più innocuo, senza polemiche contro la ricchezza e
senza dialoghi con l'Islam.
Si prosegue con le
mostre, tra cui una dedicata a Gerardo Dottori (50 mila euro),
immancabile dato il clima culturale. Sul “giornalino”, in
parallelo con la rivalutazione dell'architettura fascista in città
(un certo Majorca il 22 agosto proponeva una sorta di
pellegrinaggio), è in corso una canonizzazione del pittore futurista
e fascista: l'ultimo articolo (Coppari, 23 agosto) parla di una
ingiusta emarginazione dovuta alla “retorica antifascista”. Non è
da escludere che ci sia lo zampino di Campi, biografo del duce; o del
suo allievo Varasano, presidente del Consiglio Comunale; o di tutti e
due.
Un'altra voce (30 mila
euro per le infrastrutture e 40 mila per gli eventi) ha il titolo
inglese Community Drama, forse
per confondere le idee. Il modello sono i “molti comuni
umbri, che ospitano importanti feste popolari radicate nelle comunità
locali che rievocano modi di vita, usi e costumi”; come dire: “...e
noi faremo come Bevagna!”. Ci si
predispone così alla rievocazione di Braccio Fortebraccio con
relativa sassaiola programmata per il 2016. Per finire una catena di
Sant'Antonio: 50 mila euro serviranno per partecipare a un altro
concorso a premi, finanzieranno il Forum di Associazioni impegnato a
sostenere la candidatura di Perugia come “capitale europea della
gioventù 2020”. Evviva.
Di questo vasto
programma si può dire subito una cosa: i finanziamenti a
pioggia rischiano di far divenire effimero anche l'intervento
infrastrutturale. Avrebbe avuto un effetto più duraturo un uso
mirato del milione: per esempio interventi sulle sofferenze delle
biblioteche e del sistema museale (e ce ne sono), o sui beni
culturali a rischio (e ce ne sono, nell'ampio territorio del Comune).
Forse non si poteva: alcuni interventi innovativi, possibilmente
sorprendenti, sono nello spirito del concorso a premi e le
sollecitazioni clientelari non mancano mai. Tuttavia fra tanta roba
non c'è nulla che si colleghi al 20 giugno e al civismo laico, nulla
che richiami Capitini e la pace, nulla (scuola, piccolo museo, centro
di documentazione) che si connetta a Umbria Jazz, la più
internazionale delle manifestazioni culturali della città, inventata
tanti anni fa dai governi “comunisti” con l'opposizione della
destra più bigotta e retriva.
L'insieme è dunque
frammentario, ma non casuale; dentro le scelte e le omissioni si può
leggere un disegno egemonico, di cui alcuni hanno di sicuro
consapevolezza. Gli antichi ceti proprietari e redditieri, forti del
peso nelle Università e nelle professioni, nelle banche, nei
pubblici uffici e nella rendita immobiliare, inseriti nel ciclo del
cemento e nelle attività mercantili, integrati dai nuovi venuti
cooptati nelle medesime consorterie
(professionisti e burocrati allogeni cresciuti intorno alle
Università e ai pubblici uffici, imprenditori provenienti dal
“contado” o da altre città ecc.), si propongono -
attraverso figure “organiche” al loro mondo - come guida
culturale di una città tornata alle antiche gerarchie sociali e
territoriali.
Riuscirà la vispa
Teresa nel sogno di vestire da damigelle, paggi ed armigeri
le ragazze e i giovanotti che nelle periferie e nelle frazioni hanno
votato per il cambio, riuscirà a coinvolgerli nelle sassaiole
educative? Riuscirà la destra a egemonizzare i ceti
popolari sulla linea della chiusura campanilistica, del medievalismo,
del becerismo dialettale, delle taverne e delle sagre in costume?
Di certo non dipende
dalla debole opposizione. Alessandro Riccini Ricci, coordinatore del
festival dell'Immaginario - Vivalacultura! (la manifestazione si
svolgerà in novembre) in un progetto per Perugia2020 - degno di
attenzione, seppure inficiato dall'abuso dell'aggettivo “nuovo” -
ha inserito qualche idea per l'uso del milione. Propone tra l'altro
una gestione trasparente e partecipata delle risorse del premio, ma
la cosa è stata bellamente ignorata. A sinistra, in città come in
tutta Italia, c'è quasi il deserto. È garantita, infine, la
subalternità di postcomunisti e postdemocristiani del moderato Pd,
che da molti anni gestiscono senza “visione” le politiche
culturali, come strumento per alimentare clientele. Le loro proteste,
anche quando hanno fondamento, appaiono petulanti e risultano
irrilevanti. Ciò nonostante è difficile che la proposta culturale
della destra, così meschinella, oligarchica e retrograda, abbia un
seguito di massa: c'è tanto velleitarismo, tanta incomprensione
della complessità sociale.
"micropolis" settembre 2015
"micropolis" settembre 2015
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