Luigi Chiatti durante il processo |
Il 4 settembre 2015 Luigi
Chiatti ha finito di scontare la pena assegnatagli per gli omicidi
commessi, tra il 1992 e il 1993, di Simone Allegretti e Lorenzo
Paolucci, 4 e 13 anni. Chi ha vissuto quei momenti non può
dimenticare l'angoscia, la rabbia il senso di sgomento per delle
morti così insensate. Uno sgomento che brucia anche a distanza di
tanto tempo e che, ora come allora, riguarda anche la personalità
dell'assassino: il geometra Luigi Chiatti, da allora per tutti il
mostro di Foligno, che al processo dichiarava "Se libero
ucciderò ancora". Nel luglio scorso il giudice di sorveglianza,
sulla base di una perizia psichiatrica che valutava Chiatti ancora
"socialmente pericoloso", aveva respinto l'istanza di
scarcerazione dei suoi legali e confermato il dispositivo della
sentenza originaria che prevedeva l'internamento per ulteriori tre
anni in apposita struttura psichiatrica.
Nel frattempo però una
legge del maggio 2014 ha stabilito la definitiva chiusura degli
Ospedali psichiatrici giudiziari, che dovrebbero essere sostituiti
dalle Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza). La
fine dell'orrore giuridico dei manicomi criminali dovrebbe coronare
la pluridecennale lotta contro la segregazione del disagio mentale,
che ebbe la legge 180 come frutto migliore, disattesa poi in varie
modalità di attuazione. Proprio quello che sta avvenenendo anche
ora. Il passaggio da luoghi di pura contenzione, non dissimile dai
carceri, a strutture che al controllo accompagnino le necessarie
misure piscologiche e sociali per favorire il reinserimento dei
detenuti-pazienti, è ancora di là da venire: le Rems dovevano
essere regionali, invece ne esistono per ora solo sei.
Così, quando si è
presentata la questione Chiatti, sono sorte polemiche in gran parte
strumentali. Prima l'allarme per una libertà che non era prevista,
poi l'ansia per la destinazione del geometra ora 47enne. Il 6
settembre Chiatti è stato portato nella Rems di Capoterra in
Sardegna, suscitando proteste e rimostranze, cui si è unito il
sindaco della cittadina sarda che poi ha chiarito che la struttura
prevede una sorveglianza di 24 ore su 24 e che comunque Chiatti vi
resterà solo per tre mesi, dopo i quali dovrebbe essere trasferito
in Toscana.
La stampa umbra ha dato
la notizia con senso di sollievo, e su "La Nazione" del 7
settembre l'assessore regionale alla sanità Luca Bartolini ha
dichiarato: "Luigi Chiatti non tornerà in Umbria. Nella nostra
regione non ci sono al momento strutture adatte ad ospitarlo, ed
anche se ce ne fossero, non potrebbe tornare qui. Sarebbe un
affronto, uno schiaffo troppo grande per le famiglie di Simone e
Lorenzo e per tutta la comunità".
In poche frasi
l'assessore raggruppa un campionario sconcertante di banalità. In
primo luogo perché rivendica quasi come un merito il mancato
adeguamento alla legge, tanto più censurabile per una regione un
tempo all'avanguardia della riforma dell'assistenza psichiatrica.
Quanto all'affronto, non crediamo che il dolore di chi ha subito
certe perdite aumenti o diminuisca a seconda della distanza dal
colpevole, tanto più se questo ha pagato il suo debito con la
giustizia. Soprattutto, questa e tante altre prese di posizione di
questi giorni sottintendono la persistenza di un concetto punitivo e
afflittivo della pena, una specie di desiderio di vendetta che copre
con antiche suggestioni l'incapacità di affrontare seriamente e
civilmente questioni difficili ma ineludibili.
micropolis, settembre
2015
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