Eugenio Montale |
Il primo soggiorno
inglese del poeta risale all'agosto del '33, insieme alla Mosca, al
Queen's Hotel di Eastbourne nell'East Sussex. Da lì partono lettere
d'amore a Irma Brandeis (Clizia), appena conosciuta a Firenze.
Seguiranno altri due viaggi oltre Manica nel 1948 da inviato del
«Corriere», con diverse tracce anche nelle poesie e nelle prose.
Il Queen's Hotel di
Eastbourne, sulla costa inglese dell'East Sussex, non sembra cambiato
molto nel corso dei decenni. Le foto in bianco e nero degli anni
trenta e quaranta ritraggono lo stesso maestoso edificio vittoriano
che appare oggi, tirato a lucido e acceso di colori più vividi, su
Booking.com. Inaugurato nel 1880, sorgeva al confine tra la parte
turistica della città e quella abitata in prevalenza da pescatori.
Conserva in parte ancora, come altri grandi alberghi fin de
siècle, l'aura da antico tempio di villeggiatura altoborghese:
il fascino del mondo di ieri.
Tra i suoi illustri
clienti, il Queen's può annoverare anche una coppia di villeggianti
italiani che vi soggiornò nell'agosto del 1933. Lei si chiamava
Drusilla Tanzi (ma tutti la conoscevano con il soprannome di
'Mosca'); lui era Eugenio Montale. Erano partiti da Parigi il 2
agosto, fermandosi dapprima a Londra (erano scesi all'Hotel Ivanhoe
di Bloomsbury, come ricorda Paolo De Caro in un suo volume del 2011:
Quel giorno «troppo folto» di Montale); da lì si erano poi
trasferiti a Eastbourne, che era ed è ancora una rinomata stazione
balneare sulla Manica. Vi sarebbero rimasti fino a metà agosto,
trascorrendo il resto del mese per lo più a Londra.
«Con Montale - avrebbe
detto con malizioso acume lo storico dell'arte Roberto Longhi - siamo
sempre all'ombra di un albergo di lusso». Già in “Arsenio”,
la grande lirica degli Ossi di seppia, compaiono in effetti i
«vetri luccicanti degli alberghi»; ma a rendere plausibile la frase
di Longhi è soprattutto una poesia successiva come «Eastbourne»,
nelle Occasioni, composta probabilmente nel '35 e ispirata proprio
dal soggiorno inglese del '33: «'Dio salvi il Re' intonano le trombe
/ da un padiglione erto su palafitte / che aprono il varco al mare
quando sale / a distruggere peste / umide di cavalli nella sabbia /
del litorale»; «Come lucente muove sui suoi spicchi / la porta di
un albergo / -risponde un'altra e le rivolge un raggio - / m'agita un
carosello che travolge / tutto dentro il suo giro; ed io in ascolto /
('mia patria!') riconosco il tuo respiro, / anch'io mi levo e il
giorno è troppo folto».
Gli studi e i commenti di
Rebay e Contorbia, Nozzoli e De Caro, Isella, Leporatti e de Rogatis
hanno approfondito il contesto e i significati della poesia; decisive
per chiarirne i motivi privati e le implicazioni sentimentali sono
state in particolare le lettere del poeta a Irma Brandeis (la sua
principale ispiratrice, chiamata Clizia nella Bufera e altro),
pubblicate a cura di Rosanna Bettarini, Gloria Manghetti e Franco
Zabagli (Mondadori 2006). «My Dearest Irma - scrive Montale il 7
agosto del 1933, da Eastbourne - sono ancora qui (ma per poco). Lo
spaventoso Bank Holiday [un giorno festivo in cui le banche sono
chiuse; qui Montale, come lui stesso preciserà, si riferiva al primo
lunedì di agosto] è passato e sono ancora vivo (come si può vivere
without you, cioè molto molto molto male)».
La Mosca minaccia
il suicidio
Eugenio e Irma si erano
incontrati per la prima volta meno di un mese prima. Il 15 luglio, la
giovane studiosa americana, aspirante scrittrice giunta in Italia, a
Firenze, per seguire conoscenza e ispirazione, aveva varcato le
soglie del «Vieusseux», la storica istituzione diretta in quegli
anni proprio da Montale (e ancora oggi, nell'archivio contemporaneo
«Bonsanti», che fa capo al «Vieusseux», sono conservate le
lettere a Irma, compreso il biglietto del 7 agosto '33, scritto sul
recto di un foglio di carta intestata del Queen's Hotel). Irma aveva
letto gli Ossi di seppia e voleva conoscerne l'autore;
dall'incontro nascerà una storia d'amore, ma soprattutto scaturirà
la più alta invenzione lirico-sentimentale della poesia italiana nel
Novecento. La felicità degli esiti letterari (il 'canzoniere'
montaliano per Clizia, che attraversa, tra classicismo e maniera,
l'intera opera in versi del poeta) è inversamente proporzionale a
quella dell'esperienza biografica. A Eastbourne, del resto, il poeta
non era con Irma, né sarà quasi mai concesso loro di viaggiare
insieme, di passare insieme tra gli spicchi delle porte girevoli di
un grande albergo (la stessa immagine della poesia delle Occasioni
torna anche in un racconto di Irma Brandeis, A Lady Alone, e
in una prosa montaliana di ambientazione inglese, Baffo e C.).
Montale era con la Mosca, che sposerà molti anni dopo e a cui
dedicherà i versi in morte di “Xenia” (in Satura, 1971,
il libro che segna la rivoluzione dello stile montaliano). La donna,
cui il poeta si era legato qualche anno prima, arrivò a minacciare
il suicidio quando Montale le parlò di Irma (e del resto il poeta
s'illuse, illudendo a lungo la stessa Irma, di potere o volere
abbandonare l'Italia per seguire l'amata, tornata frattanto negli
Stati Uniti). La lingua inglese, che Montale sperimenta nelle lettere
a Irma, diventa quasi un codice di comunicazione privato che lega a
distanza i due corrispondenti; sarà anche per questo che, a partire
dalle Occasioni, si intensifica l'uso di anglicismi e
forestierismi. «You are still my Goddes, my divinity. I prie for
you, for me. Forgive my prose. Quando come ci rivedremo»: nel testo
dell'ultimo biglietto scritto da Montale per Irma (è il giugno del
1981, il poeta morirà pochi mesi dopo) torna l'inglese, insieme al
timore di averlo dimenticato, dopo tanti decenni di lontananza da
lei, da Clizia.
Ma nell'agosto del '33
doveva ancora succedere quasi tutto, quasi tutto sembrava possibile.
Irma non sapeva ancora di Mosca e poteva scrivere queste parole a
Gino Bigongiari, cui era e resterà molto legata, in America:
«Montale è andato a Londra, e mi ritrovo a oziare trasognata sul
suo libro, contro la mia volontà, trovandolo meraviglioso. La
mattina della sua partenza mi ha inviato un appunto e un pacchetto di
sigarette e mi ha fatto ricordare di te» (2 agosto); «Aspetto con
ansia la lettera in cui mi dirai di badare ai poeti, soprattutto
italiani. Perché di certo me lo avrai scritto? Ma io vorrei che il
pericolo fosse più imminente; Montale è andato in Inghilterra, e
torna soltanto a tempo per salutarmi» (7 agosto '33, la stessa data
della lettera del poeta da Eastbourne; cito dal volume che raccoglie
passi diaristici ed epistolari di Irma Brandeis (1905-1990). Una
musa di Montale, curati dall'amica Jean Cook e da Marco Sonzogni,
pubblicati in Svizzera, dalle Edizioni Ulivo di Balerna, 2008).
Passeranno quindici anni
prima che Montale torni ancora in Gran Bretagna. Quasi tutto quel che
doveva succedere era, nel frattempo, successo. Ma quello che pareva
possibile si era rivelato impossibile. La partenza di Irma e i suoi
brevi ritorni in Italia (il poeta e la donna si incontrarono ancora,
e per l'ultima volta, nel 1938); il licenziamento dal «Vieusseux»;
la Seconda guerra mondiale e le trasformazioni sociali, economiche e
politiche preannunciate dal primo dopoguerra; l'uscita delle
Occasioni (1939) e di Finisterre (1943), i libri in cui
Montale sublima la figura di Irma trasformandola in un visiting
angel, in una figura salvifica capace di opporre la forza
inflessibile del suo carattere e i suoi «occhi d'acciaio» (Nuove
stanze) persino alla rovina della guerra; il trasferimento da Firenze
a Milano, per lavorare al “Corriere della Sera”.
In delegazione con
Moravia
Proprio sul “Corriere”
usciranno le cronache e i reportage scritti da Montale in occasione
del suo secondo e terzo viaggio oltre Manica, avvenuti entrambi nel
1948: a marzo (quando incontrerà tra gli altri anche T. S. Eliot) e
a giugno (dal 5 al 17, come si apprende da una lettera a Contini,
scritta poco dopo il rientro in Italia, il 22 giugno). Molti di
quegli scritti confluiranno poi nei due maggiori libri montaliani di
racconti: Farfalla di Dinard (1956) e Fuori di casa (1969, che
raccoglie le prose di viaggio).
A marzo 48 Montale si
reca in Gran Bretagna su invito del British Council, l'ente
britannico per la promozione delle relazioni culturali nel mondo, con
una delegazione di scrittori di cui fanno parte anche Alberto Moravia
e Elsa Morante. In Baffo e C. (aprile '48) si legge: «Ho preso parte
a un recital di poesie di bianchi e negri, a Londra, con Moravia, in
un circolo artistico».
Vent'anni più tardi,
Moravia sarà ancora con Montale, stavolta in occasione di
un'intervista, e il ricordo andrà al viaggio in Inghilterra; ne
danno conto i brani speculari dei due scrittori: «A cena con
Moravia», ora incluso nel «Meridiano» montaliano di Prose e
racconti di Montale (1995) e A cena con Montale, il testo
dell'intervista del '68. Quarto nella disposizione all'interno di
Fuori di casa, il racconto “Baffo e C.” è il terzo
elemento di una suite britannica che ha inizio con la seconda prosa
del libro, “Viaggiatore solitario”
(già in Farfalla di Dinard, con il titolo “Sosta a
Edimburgo”). Quest'ultima e la successiva, “Sbarco in
Inghilterra”, risalgono tuttavia al '46 e rielaborano perciò le
impressioni del soggiorno inglese del '33, cui si fa esplicito
riferimento in “Baffo e C.”:
«“Le mie impressioni” rispondo cercando di ravvivare luoghi
comuni del mio vocabolario, “non sono molto diverse da quelle di
quindici anni fa ..."». «“È appena l'inizio del mio viaggio
retrospettivo, miss Collins. - prosegue il racconto - Le ho detto di
non aver preso appunti, ed è quasi vero. Ma qui, in un pezzo di
carta che mi trovo nel taschino del panciotto, vedo scritto Baffo: e
Baffo era proprio uno di questi pescatori che non pescano. È il nome
che ho dato a uno studente che ho poi riveduto altrove. (...) Era
(...) uno dei duecentomila." “Uno dei duecentomila?" fa
miss Collins estraendo uno specchietto per rimettersi un po' di
cipria sul naso. “Sì, uno dei duecentomila dell'ottava Armata.
Rastrellando l'Italia dal fondo alla cima hanno buttato in aria e
sparso al vento i semi della nostra cultura e della nostra lingua.
Graecia capta, miss Collins, con quel che segue. Non tutti, si
capisce. Ma verranno fuori da quei duecentomila i migliori amici del
nostro paese, in Inghilterra».
Come in molte prose e
poesie montaliane di quegli anni, la guerra fa da sfondo alle
immagini che la memoria conserva, ai barlumi delle 'occasioni'
biografiche; qui però vi si allude da un punto di vista peculiare,
quello dell'intellettuale che osserva quanto l'incontro forzato tra
gli inglesi e l'Italia nella Seconda guerra mondiale abbia
contribuito a rinsaldare i principi di una comune civiltà che
esisteva prima del conflitto e che al conflitto è sopravvissuta, sia
pure nei limiti della perduta preminenza (esplorati da Montale con
lucidità, in quegli stessi anni, in scritti come L'Europa e la sua
ombra, 1949).
Il grandioso Forth
Bridge
La trasferta londinese
del giugno '48 impegnò Montale come inviato del Corriere,
ufficialmente incaricato di fornire tra l'altro corrispondenze di
carattere aeronautico. La British European Airways aveva infatti
rivolto un invito ad alcuni giornalisti italiani perché assistessero
alla «distribuzione della posta fatta regolarmente da un elicottero
in una catena di paesi del Norfolk», con tanto di trasvolata sulla
Manica. La prosa “Grilli folletti e vampiri” (20 giugno) informa
proprio sull'attività delle principali compagnie aeree britanniche.
In altri brani, tra i
quali soprattutto “Paradiso delle donne e degli snob”, Montale
affina invece il suo punto di vista sulla tenuta della civiltà
inglese, tra l'impoverimento dovuto allo sforzo bellico ancora
recente e l'incrollabile «fede nel destino individuale dell'uomo»,
cui tributa un'ammirazione malcelata dietro un'apparente oggettività.
Degli originari intenti del viaggio rimane forse traccia nelle
considerazioni sulla «civiltà dell'uomo meccanico», pervase dal
tipico e a tratti scoraggiante conservatorismo maturato da Montale
nel dopoguerra. D'impostazione più saggistica che narrativa, la
prosa contribuisce però anche a ricostruire il pedigree del «dandy
umanistico» al quale tendono molti protagonisti più o meno
autobiografici dei racconti montaliani. Si tratta spesso di
personaggi paradossali (dal paranoico signor Fuchs al Signore inglese
dell'omonimo racconto, che passa le ferie in Svizzera fingendosi
britannico) le cui vicende hanno spesso un risvolto straniante e
umoristico. Molti di loro manifestano una sorta d'inadeguatezza
rispetto a un modello difficilmente imitabile, perché intimamente
contraddittorio e veramente attuabile solo all'interno della civiltà
anglosassone.
Se Montale auspicava
ancora nel '46 che l'Italia, «dove l'individuo ha dietro di sé una
lunga tradizione di umanità», rappresentasse «anche nel mondo di
domani, una forza indispensabile della civiltà europea»
(“Stranieri”), nel '48 crede ormai che solo la civiltà inglese
renda «l'uomo d'oggi . degno del suo divino sigillo».
L'inettitudine esistenziale che caratterizzava le figure del primo
Montale (come l'Arsenio degli Ossi), attraverso il confronto
con la cultura anglosassone, acquista un tratto storicamente e
socialmente rilevante: l'inetto diventa lo snob, incarnazione
dell'individualismo che Montale oppone alle ideologie della società
di massa.
È un nodo questo che
lega le prose alle poesie montaliane degli anni quaranta e dei primi
cinquanta, che confluiranno nella Bufera; proprio in quel
libro riaffiorano i ricordi dei soggiorni britannici del '48
(sovrapposti a quelli accumulati già nel viaggio del '33),
soprattutto nella serie 'Flashes' e dediche: si tratta dei versi di
“La trota nera” (che ha in esergo il nome della città inglese di
Reading, la stessa dove ha insegnato a lungo Meneghello), “Di un
natale metropolitano” (Londra), “Lasciando un 'Dove'”
(Cattedrale di Ely), “Argyll Tour” (Glasgow), “Vento sulla
Mezzaluna” (Edimburgo). Datati «1948» (ma finiti e pubblicati tra
il '50 e il '56), i brevi 'flash' sintetizzano in chiave lirica i
medesimi spunti sviluppati nelle prose coeve, alternandoli con le
memorie del '33 (presenti soprattutto negli ultimi due testi della
suite britannica).
C'è sempre un 'tu' in
questi versi, come in “Vento sulla Mezzaluna”: «Il grande ponte
non portava a te» (per la cronaca, quel ponte dev'essere il
grandioso Forth Bridge, meraviglia dell'ingegneria e patrimonio
UNESCO, che da Edimburgo porta verso nord, in direzione delle
Highlands). Ma quel 'tu' non è Irma/Clizia: è G.B.H., la giovane
italiana impiegata in un'agenzia di viaggi londinese, evocata in Di
un natale metropolitano; o è già Volpe (Maria Luisa Spaziani),
conosciuta poco dopo (nel gennaio del '49), l'altra importante figura
femminile ispiratrice nella Bufera. Montale invierà infatti a Maria
Luisa Spaziani le stesure di alcuni testi della serie in fieri.
Entrambe - Volpe e la meno nota G.B.H. - sono antitetiche rispetto
all'angelo Irma: più terrene e sensuali, caratterizzate da immagini
nel complesso più concrete e realistiche (un «ricciolo... che si
sfa», «le luci di Mayfair»), talvolta anche molto prosaiche
(«lunghe strida di sorci» e «chiaviche»).
Eppure, rimane in
controluce lo spettro dell'assenza, il pathos della distanza che
pervade il 'canzoniere' di Montale; per effetto, sì, del suo quasi
innato classicismo, ma anche come conseguenza dell'imprinting
sentimentale lasciato tanti anni prima da Irma: appena conosciuta e
subito desiderata nella lontananza, all'ombra di un grande albergo
vittoriano, sulla spiaggia di Eastbourne, nell'agosto del 1933.
alias il manifesto, 9
agosto 2015
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