Calvino? Le Lezioni
americane. La leggerezza. Il brand dello scrittore, se così si
può dire, è saldamente legato a quel libro postumo, all’idea del
«togliere peso»; del resto, viviamo da vari decenni dentro il mondo
dell’immateriale. E se, invece di lasciarci all’improvviso in
quel settembre del 1985, Calvino avesse potuto terminare le sue
conferenze a Harvard, scrivendo l’ultima, quella sulla Consistency,
dedicata a Bartleby lo scrivano di Melville, quale immagine avremmo
di lui? E se la sua idea di autobiografia senza Io, di cui ci resta
l’abbozzo de La strada di San Giovanni, fosse stata portata
a termine, come lo considereremmo?
Insieme a Pasolini e
Primo Levi, Calvino è il più noto scrittore italiano della seconda
metà del XX secolo. Certamente è ancora uno dei più letti, se è
vero che nelle nostre scuole circola il Sentiero dei nidi di
ragno, unico libro sulla Resistenza che i giovani hanno tra le
mani, e anche la trilogia dei Nostri antenati che sembra
reggere nel tempo, mentre non c’è architetto che non citi Le
città invisibili, il suo capolavoro letterario, anche se sovente
a sproposito. Non si può fare la storia con i se e con i ma,
tuttavia le Lezioni americane hanno prodotto nella vulgata
corrente una distorsione nella percezione del lungo, ampio e
complesso lavoro di Calvino. Le citazioni prevalenti vanno alla
lezione sulla Leggerezza, o al massimo a quella sulla Rapidità,
mentre quasi nessuno richiama Visibilità o Molteplicità, ben più
complesse, e certamente meno cool.
La lezione mai scritta
Il titolo americano delle
Lezioni era più concreto e diretto: Six memos for the next
millennium. Più un post it che una Bibbia del futuro. Calvino
era intenzionato a riscrivere e sistemare i capitoli dei suoi
interventi americani pensando ai lettori italiani. Inoltre, senza la
finale lezione sulla «coerenza» (consistenza o compattezza) è
difficile dare un senso a quello che viene passato come il suo
testamento. A leggere gli apparati che Mario Barenghi ha allestito
nel Meridiano dei Saggi, ci si rende facilmente conto che gli
autori che Calvino avrebbe citato nella lezione mancante erano tutti
personaggi, da Bartleby a Wakefild, che dicevano di no, che
scomparivano, sottraendosi ai legami sociali: lavoro, matrimonio,
residenza. Decisamente le Lezioni americane non hanno giovato
alla comprensione di Calvino, non certo per colpa sua, ma per
demerito di molti lettori, anche colti, che l’hanno eletto a
profeta della leggerezza, là dove lui era invece il cantore da
almeno venti anni del suo contrario: la pesantezza.
La pesantezza
Si è confuso, e si
continua a confondere la leggerezza della scrittura di Calvino,
frutto di un lavoro incredibile, come testimoniano gli autografi, con
l’idea di leggerezza in generale. A partire dal 1968, Calvino ha
cercato di contrastare la pesantezza che era entrata nel nostro mondo
in modo forse definitivo. La nuova pesantezza, che egli cercava di
diradare con l’utopia pulviscolare di Fourier, lascito del suo
Sessantotto, gli era apparsa alla fine dei Sessanta più densa e
consistente di quella degli anni di ferro del comunismo staliniano;
con grande realismo il fantasioso autore del Barone rampante
aveva cercato di contrastare la visione cupa subentrata allora
mobilitando i suoi personaggi di carta, come il signor Palomar, un
Marcovaldo redivivo, con tanto di occhiali, biblioteca di letture e
pensieri da scrittore.
Calvino non può essere
compreso se non si considera che è stato, oltre che uno scrittore,
un intellettuale, il quale pensava il proprio lavoro letterario
tarandolo sull’attualità sociale e politica, mediando
continuamente tra questa e il suo talento e il suo carattere. Non c’è
un libro di Calvino uguale all’altro, per quanto si continui a
considerarlo uno scrittore unitario, o al massimo con due movimenti:
primo e secondo Calvino. Come Levi, Calvino è un poliedro con tante
facce. Certo, la coerenza era uno dei suoi problemi principali, ma
non è solo su questo metro che possiamo oggi valutarlo.
Un doppio metro
Cos’è vivo e cosa
morto del suo lavoro? Vivissimo è il suo libro d’esordio, Il
sentiero, che ha guadagnato con il passare degli anni; anche i
libri della Trilogia hanno una loro vitalità, Il barone rampante
più di tutti. Le città invisibili sono un libro
indecifrabile, misterioso e inafferrabile, che attende ancora i suoi
lettori ideali. Meno efficaci sono invece i libri «realisti» come
La speculazione edilizia o La giornata di uno scrutatore,
per quanto sia uno dei suoi libri che amo di più. La vena
favolistica continua a mantenere vive Le cosmicomiche, sebbene
meno riuscite di altre parti della sua opera, tuttavia anche questi
racconti contengono temi – la biologia ad esempio – che
probabilmente torneranno utili in prossimo futuro.
Calvino non è stato solo
un letterato; la sua valutazione non va compiuta tenendo conto del
valore estetico dei suoi testi, o almeno non solo. Vale per lui, come
per Pasolini e Levi, la considerazione su quanto la letteratura
illumini aspetti decisivi della nostra esistenza, dalla psiche
individuale ai grandi problemi sociali. La sua durata si misura su
questo doppio metro.
La Stampa 13 settembre
2015
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