Il caro amico e
compagno Agostino Spataro, ha pubblicato sul sito che cura -
“Montefamoso” - un articolo che ricorda alcune presenze di Pietro
Ingrao in Sicilia. Si conclude con un rammarico e un appunto franco :
“Infine, una riflessione da compagno a compagno, e con tutto il
rispetto dovuto alla sua esemplare figura, per dire che,
probabilmente, con qualche suo dubbio in meno e qualche scelta decisa
in più, si sarebbe potuto evitare al Pci e alla sinistra un epilogo
così amaro. Ma non tutto è perduto. La sinistra, quella autentica,
risorgerà, anche nel nome del compagno Pietro Ingrao”.
Condivido la riflessione e la “profezia”.
Condivido la riflessione e la “profezia”.
Nell'articolo Spataro fa
riferimento anche a una sua intervista (per l'edizione siciliana di
“Repubblica”), realizzata all'inizio degli anni Duemila, quando il
Consiglio Comunale di Grotte (Ag) volle offrire a Ingrao la
cittadinanza onoraria. L'articolo aveva come titolo I cocci della
sinistra siciliana. Ne ho
recuperato e ne “posto” qui la prima parte. (S.L.L.)
Andrea Camilleri e Pietro Ingrao |
GROTTE, 28 settembre 2001
Oggi alle 18 una seduta solenne del Consiglio comunale conferisce la cittadinanza onoraria a Pietro Ingrao, già presidente della Camera dei deputati. Lo abbiamo intervistato.
Che cosa prova ritornando in Sicilia, a Grotte il paese dei suoi antenati, per parlare della Bandiera degli elettori italiani, il libro di suo nonno Francesco Ingrao, ristampato da Sellerio, a 125 anni dalla prima edizione?
«Provo gioia e timidezza. È gioia grande ragionare su questo nonno, per me favoloso, nella sua città natale. Da fanciullo per me Grotte era il luogo amico da cui giungevano a Natale i dolci rituali e la famosa cassata. Più tardi scoprii le carte, i libri, le note a margine, in cui erano consegnate le passioni ardenti di questo nonno garibaldino e cospiratore, e le traversie che avevano mosso la sua vita. E Grotte si presentò a me come il luogo in cui erano maturate quelle convinzioni generose, quel vincolo con i grandi ideali e rivolte che scuotevano il secolo e l'Europa. Mi sembra un caso di fantasia politica straordinaria quella decisione del Consiglio comunale di Grotte nel 1863 di cambiare nome alla città, per chiamarla "Garibaldi". Che forza di immaginazione c'era in quella proposta, che poi un codino prefetto sabaudo si precipitò a cassare. Perché però provo anche un senso di timidezza? Beh, la Sicilia è terra di leggenda, crocevia delle civiltà mediterranee, straordinario luogo di incontri e scontri fra popoli, culture, religioni. Fa sempre soggezione. Sono venuto in Sicilia molte volte: a parlare in piazza, anche a Grotte, a incontrare dirigenti e popolo, a partecipare a battaglie elettorali, o a convegni di ricerca. Ma sempre con il dubbio di saperne ancora poco, pochissimo dell'urto di classi e di idee che si è sviluppato a livelli così ardenti sotto questi splendidi cieli siciliani. Adesso sono vecchio. E perciò la timidezza, il timore di non sapere è più grande».
Il libro rievoca un periodo di grandi rivolgimenti sociali, di travolgenti ideali, di tentativi insurrezionali, che caratterizzano la prima fase postunitaria in Sicilia. Non trova quantomeno originale questa saldatura realizzatasi fra l'agitazione dei mazziniani in gran parte intellettuali borghesi e massoni, e i primi movimenti anarcosocialisti nati dalla miniera e dal feudo?
«Scorrendo le pagine del pamphlet di mio nonno si incontra subito l'Europa, con le sue rivoluzioni, le sue speranze e le sue profezie. Prendiamo un amico stretto di mio nonno, Saverio Friscia: c'è in lui l'ascendenza mazziniana, il seme massonico e poi l'incontro in qualche modo sorprendente con l'anarchismo di Bakunin. La Sicilia di fine Ottocento è terra dove agisce la straordinaria avventura dei Fasci, segnati contemporaneamente (e tumultuosamente) dalla sete di emancipazione di operai delle città, dalle speranze di masse contadine bisognose di terra, dalle lotte disperate dei reietti delle zolfare. Molte di queste vicende la mia generazione le ritrovò nelle pagine di grandissimi scrittori siciliani: da Verga a Pirandello, a De Roberto - testi su cui la mia generazione, nei fatali anni Trenta, alle soglie della seconda guerra mondiale, cominciò a indagare fonti o ragioni della terribile crisi italiana. Per molti di noi, quei testi siciliani furono libri di formazione».
Il sud resta segnato da pesanti divari. A suo giudizio, si può ancora parlare di una «questione meridionale»?
«In un certo senso sì. Ma la parola "questione meridionale" è un nome e un simbolo di una precisa lettura della storia d'Italia e della specificità meridionale. E gli autori di quella grande e drammatica riflessione e indagine sul Mezzogiorno stanno ben fissi nella nostra mente: da Franchetti e Sonnino, a Giustino Fortunato, a Dorso, sino a Gramsci. Da allora è trascorso un secolo, in cui la rivoluzione industriale ha compiuto invenzioni e svolte incredibili: anche in Sicilia. Usare quelle parole antiche (dobbiamo chiamarle così) può dare l' impressione di un Sud fermo al passato. E non è vero. Sicuramente però c'è da riaprire tutta l'indagine sul Mezzogiorno: e discutere su cosa sono oggi in Sicilia e nel Sud d'Italia il capitalismo globale o la nuovissima era dei computer. E non si tratta solo della mutazione economica in senso stretto. Ognuno di noi ricorda che cosa è stato il rapporto - e l' incontro - con l'Islam per il Mezzogiorno d'Italia, e per la Sicilia in particolare. Perciò si parla oggi dell'Afghanistan, ma anche molto di noi: della civiltà e dell'avvenire del Mediterraneo. In questo contesto tragico sarebbe sciocco non vedere i problemi nuovi (e quelli di prima erano già grandi) che si presenteranno per la Sicilia e per il Mezzogiorno».
A seguito della creazione dell'Unione europea, la questione meridionale si è allargata a quasi l' intera fascia del sud europeo. Che cosa può sperare la Sicilia, soprattutto in vista della creazione, nel 2010, della zona di libero scambio euromediterranea?
«Credo che le nuove istituzioni europee siano essenziali: non solo per quanto concerne l'euro, ma a riguardo delle nuove strutture politiche e sociali che dovranno dare volto alla confederazione europea. Questo è ormai l'ineludibile orizzonte. E invece non già in un angolino, ma nel gruppo dirigente di questo governo c'è una persona come Bossi, che prima ancora di essere un esempio di razzismo è una figura patetica di "localismo". Questa Confederazione europea, che sta faticosamente nascendo, ha, deve avere un interesse enorme a ciò che avviene nel Mediterraneo, nella vicinissima Africa, e nel cruciale Medio Oriente. Torna dunque il ruolo della Sicilia, questa terra centrale rispetto ai mondi, alle civiltà alle lingue diverse che s' incontrano nel Mediterraneo. Al di là delle mie convinzioni pacifiste, è sciocco non capire che insieme con la vicenda dell'Islam, sta già bruciando l'Africa, questo continente lacerato e in grave sofferenza che è dirimpettaio della Sicilia, a un passo dall'Isola. E l'Africa è solo un esempio delle questioni scottanti aperte in ciò che un tempo chiamavamo Terzo mondo. Non credo che tali questioni possano essere risolte con le armi, e con una supremazia arrogante dell' Occidente. La Sicilia non ha avvenire se non si dispone all'altezza di questi nuovi temi globali e di dimensioni ultracontinentali. La "questione meridionale" oggi si pone a questi livelli».
Dopo un decennio di azioni incisive per fronteggiare la grave emergenza della mafia e il clientelismo esasperato, l'Isola sembra volere uscire da questa emergenza con una sorta di cammino a ritroso, votando in massa per il centrodestra. I siciliani sono tendenzialmente conservatori?
«No, non esiste una "natura" o vocazione conservatrice dell'Isola. È vero invece che la destra in Sicilia è stata sempre, e gravemente, in campo: nelle istituzioni pubbliche e legittime e nel terribile mondo occulto delle "mafie". Ma non credo per nulla che ciò dipenda da una specie di genoma politico dei siciliani. È che la Sicilia è un punto chiave anche e proprio per la sua collocazione cruciale fra civiltà. E, diciamolo con la necessaria crudezza, spesso, dolorosamente, la lotta sociale in Sicilia si è incrociata con la lotta armata. Per tutti questi motivi la vittoria piena della destra nelle elezioni regionali brucia. E fa tema urgente: nel senso di questione ineludibile. Ho l' impressione che le forze di sinistra italiane non abbiano ancora misurato bene la gravità allarmante della sconfitta subita in Sicilia. Non voglio fare come un vecchio fastidioso che biascica: "ai tempi miei", ma, in altri anni, quando ci furono vittorie pesanti della destra in Sicilia, la sinistra si mobilitò, e prima di tutto cercò ostinatamente di capire le cause della sconfitta per porvi rimedio. Forse mi sbaglio. Ma questa riflessione spietata sui difetti e sugli errori della sinistra siciliana sinora non c' è stata, o in ogni caso non ha avuto la risonanza necessaria nella nazione. Forse è mancato persino l'allarme».
“la Repubblica” 29
settembre 2001
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