Palermo, il Palazzo Chiaromonte detto Steri, a lungo sede del Tribunale dell'Inquisizione. |
Una delle più accorate
pagine del suo diario è quella che descrive e commenta la cerimonia
dell’abolizione del Sant’Uffizio. Una malinconia, un rimpianto,
una pena ad un certo punto incontenibili: e gli traboccano in due
versi di saluto alle insegne dell’Inquisizione che il viceré aveva
ordinato di scalpellare dalla facciata del palazzo. «Croci
gigliate addio, spade addio e ulivi; / non conto fate più, nulla voi
or siete».
Era il 27 marzo del 1782:
giornata nera per il marchese di Villabianca, radiosa per il viceré
marchese Caracciolo. «Je me réserve à la fin, pour la bonne
bouche, de vous dire, — scriveva Caracciolo a D’Alembert -
avec un peu de vanité de ma part, l’abolition de l’Inquisition:
le jour 27 du mois de mars, mercredi saint, jour mémorable à jamais
dans ce pays, pour le roi Ferdinando IV, on a abattu ce terrible
monstre». Pour la bonne
bouche -, e per il marchese di Villabianca era stato
invece un boccone amarissimo.
Quel giorno, tutto che
ricordasse l’Inquisizione, gli inquisitori, gli inquisiti, fece
rogo nel cortile del palazzo: a compiacenza della nobiltà, che
voleva sparisse ogni traccia della sua secolare connivenza con una
così tremenda istituzione; ma non senza piacere da parte del viceré
Caracciolo, che vedeva una specie di contrappasso in quel rogo che
distruggeva il ricordo dei tanti e più atroci roghi che
l’Inquisizione aveva acceso.
Da Cronachette,
Sellerio, 1985
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