Sebastiano Vassalli |
Necessità del narrare e
necessità di interrogare il mondo quella di Sebastiano Vassalli, di
sentire il cuore di questa porzione di mondo che ci è toccata: e di
sentirlo nei suoi caratteri più profondi, nella sua sostanza, nei
suoi costumi, in tutto ciò che in essi si è addensato e
aggrovigliato nella lunga storia che ha portato fino al presente. In
questa sua necessità di narrare ha tracciato un vastissimo affresco
dei comportamenti, dell'essere collettivo e individuale degli
italiani, che ha indagato seguendone le vicende nei tempi più
diversi, con una tensione antropologica e un'ansia per il destino,
per ciò che è e per ciò che sarà.
In fondo, nei temi e
nelle storie dei suoi libri (che si sono rivolti fino al passato più
lontano, hanno toccato i momenti più diversi della storia d'Italia,
hanno scrutato le trasformazioni e le derive del presente), egli ha
fornito una formidabile illustrazione, dispiegata in tante figure, in
una molteplicità di gesti, di posture, di torsioni, di passioni, di
sogni e sconfitte, del leopardiano Discorso sopra lo stato
presente dei costumi degli italiani: tra gli scrittori della sua
generazione è quello che ha tracciato la più penetrante, la più
dolente e sofferta, tragica e in qualche tratto grottesca,
«autobiografia della nazione».
Nato nel 1941, ha vissuto
la parabola della vita italiana dagli anni della guerra alle varie
trasformazioni della seconda metà del Novecento, osservando con
acuminata tensione critica il progressivo reificarsi dei modi di
vita, la radicale trasformazione dei rapporti tra gli esseri umani e
dei modi di comunicazione, e contrastando accanitamente
l'evaporazione, la virtualizzazione, la mercificazione della parola e
della scrittura. In questa parabola si è incontrato in un primo
momento con l'orizzonte della neoavanguardia, con il suo spirito più
radicale e distruttivo: e si è trovato a esordire proprio nel 1968,
con la poesia sperimentale di Narcisso, a cui sono seguiti
libri di poesia e di narrativa pieni di furore linguistico,
antipoetico e antinarrativo. Molto presto si è trovato però a
sentire un'insoddisfazione per queste esperienze; e, pur senza
rinunciare allo spirito critico che le animava, ha cercato una
scrittura dotata di più viva e corposa evidenza, più direttamente
incarnata in figure e presenze umane.
Vero e proprio punto di
partenza, quasi sorgente di quella che poi è stata la grande
narrativa «antropologica» di Vassalli, è La notte della cometa
(1984), biografia di un personaggio poeta, poeta e personaggio reale,
Dino Campana, la cui fulminante poesia si accende in una lotta con la
volgarità, l'ipocrisia, la sordida violenza dell'ambiente sociale:
poeta vittima dell'emarginazione, che colpisce la sua brama
dell'assoluto, la sua ricerca di una configurazione «pura» del
mondo, di un'impossibile conciliazione tra l'io e il respiro profondo
e cieco della natura.
Campana viene così ad
essere il primo di una schiera di eccezionali figure di emarginati,
di visionari alla ricerca di un senso assoluto, di un valore
autentico della vita, schiacciati dall'ingiustizia, dalla violenza
del potere e di tutti coloro che ad esso si conformano e si piegano.
L'attenzione al personaggio, alla sua autenticità, non conduce però
ad un'immediata identificazione con esso, ma tocca anche le
contraddizioni in cui egli resta preso, nel tortuoso rapporto con
l'orizzonte storico di cui non può essere consapevole fino in fondo.
Vassalli mostra
particolare cura nel ricostruire questo sfondo storico: e tutti i
suoi veri e propri romanzi storici successivi sono caratterizzati da
un forte senso della distanza storica, da un eccezionale impegno nel
far percepire la specificità, l'alterità di quelle vite di altri
tempi. Proprio da questo senso di alterità, contrario alla
disinvolta attualizzazione su cui si basa l'uso corrente del romanzo
storico, scaturisce la forza polemica delle sue ricostruzione del
passato: polemica contro le storture del presente, che in quelle
lontane radici trovano il sotterraneo fondamento. La notte della
cometa sembra in effetti contenere in sé i primi segni delle
varie e diverse prospettive che poi Vassalli ha tracciato nelle opere
successive, con instancabile continuità, con una forma altissima di
impegno e rigore artigianale. Proprio da questa continuità, dalla
molteplicità dei tempi storici e degli ambienti toccati, scaturisce
la sicurezza di quel suo sguardo antropologico: e suoi i romanzi
storici, con il loro risalire fino all'Italia romana e preromana,
istituiscono un vero e proprio circuito, una sorta di riflesso e di
specchio, con quelli centrati sul presente.
Ma è difficile rendere
conto delle tappe di questa continuità, dei tanti esiti essenziali
che ne sono scaturiti, a partire da un romanzo che contiene anche
vari elementi autobiografici, L'oro del mondo (1987), che si
presenta come un viaggio comico-picaresco nell'Italia dei primi anni
del dopoguerra, tra il vario arrabattarsi di una bizzarra e distorta
umanità, che cerca di imporre i propri modelli di vita al narratore
protagonista, con molti segni della persistenza di un eterno
fascismo.
Con La chimera
(1990) Vassalli è poi risalito al lontano Seicento nella bassa
novarese (il territorio in cui è sempre vissuto), con la terribile
vicenda di una ragazza processata e condannata al rogo come strega;
altra figura di emarginato e visionario, che si crede un nuovo Cristo
ed è in contatto con un misterioso «doppio» di se stesso, nella
campagna bellunese nel passaggio tra Settecento e Ottocento, è al
centro del successivo Marco e Mattio (1992). Tra risalite
verso il passato più lontano e proiezioni verso il futuro (con 3012,
libro del 1995, dove un'umanità alle soglie del quarto millennio,
che sembra vivere felicemente, senza guerre e in compiaciuto
benessere, viene turbata da un profeta che annuncia il ritorno del
Dio degli eserciti), Vassalli ha dato tra i risultati più intensi
degli ultimi anni nei libri in cui ha seguito lo svolgersi nel corso
del tempo della vita di piccole comunità in luoghi appartati (sotto
il monte Rosa), con i molteplici effetti che su di esse viene a fare
la storia del Novecento (Cuore di pietra, 1996, e Le due
chiese, 2010).
Ancora negli ultimi anni
egli si è trovato a considerare non senza angoscia l'esaurirsi del
romanzo come forma, in rapporto all'esaurirsi delle grandi
prospettive, delle utopie e delle speranze del Novecento, e la sua
riduzione attuale a esteriore modello mediatico: e ha puntato anche
sulla forma narrativa breve (specie nel volume La morte di Marx e
altri racconti, 2006). Ma, pur con uno sguardo disilluso sul
destino del romanzo e della letteratura, non si è sottratto a quella
necessità di narrare a cui accennavo all'inizio, anche rivolgendo lo
sguardo, con l'ultimo romanzo Terre selvagge (2014), a
inquietanti migrazioni di grandi masse di popoli (col racconto del
passaggio dei Cimbri e dei Teutoni nella Valsesia alla fine del II
secolo avanti Cristo).
La sua narrativa, d'altra
parte, è stata sempre accompagnata da una diretta e più esplicita
attenzione critica al sistema della comunicazione e a problemi
cruciali della vita italiana, sempre con una disposizione a risalire
alle loro radici, alle situazioni storiche che li hanno determinati:
ultima prova di questa attenzione è il libro recentissimo Il
confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia (ma andrebbero
ricordati tanti altri libri di vario interesse che egli, fuori dal
circuito della grande editoria, ha affidato alla novarese
Interlinea). Scrittore totale, Sebastiano Vassalli, scrittore
necessario: integralmente italiano e «antitaliano», appassionato e
crucciato autobiografo della nostra storia e del nostro presente.
“il manifesto”,
28.07.2015
Nessun commento:
Posta un commento