8.9.15

Quei divini bizantini (Lidia Storoni)

L'immagine della basilissa Irene,
unica imperatrice della storia bizantina
nella Basilica di Santa Sofia a Istambul
La storia, l'ha detto anche Elsa Morante, è un tessuto di cupidigia, astuzia, ferocia; capi di governo e popoli vogliono essere soggetti e non oggetti di storia, intrecciano trame, inventano precedenti fatidici e augusti destini per giustificare alleanze, tradimenti e guerre; dietro espressioni usuali nei libri scolastici, come politica espansionistica, vittoria schiacciante e gravi perdite si nascondono milioni di rantoli, cancrene, orribili agonie. La sequela monotona di orrori si scorge attenuata se si tratta d'un breve periodo; ma emerge in tutta la sua crudezza se si affronta un millennio di eventi, come avviene a chi legge il recente massiccio volume edito da Einaudi, Bisanzio, di Alain Ducellier e altri (traduzione di Ernesto Garino, pagg.430 più bibliografia e indici). È la storia della città da quando cessò di chiamarsi Bisanzio e dell'impero di cui fu capitale Costantinopoli, benché poi tutta la civiltà che ne deriva continuò ad ispirarsi al nome primitivo. Nel 326, Costantino ne tracciò il perimetro come guidato da una voce soprannaturale. Si fermò solo dopo esser salito su sette colli e ne fu ridisceso; al centro dell'ippodromo, arengo indispensabile, comunicante con il palazzo imperiale, collocò la colonna serpentina presa a Delfi; sotto di essa, dicono gli storici bizantini, sotterrò due cimeli di diversa natura: il meteorite nero che rappresentava la Madre degli Dei e aveva procurato ai Romani la vittoria di Zama e il paniere nel quale Gesù aveva operato il miracolo della moltiplicazione dei pesci: simboli delle sue due religioni, Roma e Cristo.
Con la costruzione della nuova capitale si avverava l'evento previsto e paventato da secoli, da quando si era sospettato Cesare e poi Antonio di voler trasferire la capitale ad Alessandria, Tito a Gerusalemme. La città fu inaugurata nel 330; ma già un secolo dopo Teodosio II dovette fortificarla; lo fece materialmente con le mura tuttora visibili e moralmente con il Codice, che raccoglie le leggi dal 313 al 438. Ancora un secolo e Giustiniano legherà il suo nome alla grandiosa operazione di raccolta, selezione e revisione di tutta la legislazione precedente e della giurisprudenza relativa; con Sofia sul Bosforo e S. Vitale a Ravenna l'architettura cristiana, sovrapponendo una cupola alla pianta cruciforme, espresse lo slancio mistico dei popoli più che non lo facesse la forma razionale della basilica romana.
Tra la miriade di avvenimenti politici, religiosi, economici e militari che si verificarono in quel punto della terra, scelto per la sua posizione strategica come scolta contro i barbari delle steppe, gli autori di questo grosso volume hanno cercato di mettere in evidenza un filo rosso coerente e cioè l'ideologia che ha sostenuto l' impero d'oriente sin dagli inizi: dalla fondazione di Costantinopoli, infatti, e ancor più dopo il sacco di Roma (410 d.C.) e dopo la caduta dell'impero d'occidente (476 d.C.), il regno bizantino ha visto se stesso ed ha voluto porsi non come successore di Roma ma come suo continuatore, direi anzi come modello compiuto di essa.
La divinizzazione del sovrano, reggitore supremo dell'universo, l'aveva già incoraggiata Augusto, pur presentandosi come primo cittadino, legalmente investito di cariche costituzionali; nel IV secolo era un fatto compiuto. Finita ormai la legittimità politica del consenso popolare, non restava che teorizzare quella soprannaturale.
Quel concetto coincideva con la fede in un unico Dio, di cui l'imperatore appariva emanazione terrena. Quell'ideologia smisurata faceva del sovrano l'alter ego di Dio e di conseguenza il suo potere doveva essere unico, indivisibile ed esteso al mondo intero. L'imperatore non era più, come dichiarava ancora Galla Placidia nel V secolo, obbediente alle leggi, egli era la legge.
Naturalmente, quel regno, riflesso di quello celeste, era governato volta a volta da uomini inetti, vili o feroci, funestato da terremoti, pestilenze, locuste, brigantaggio, dilaniato da eresie e sopratutto dissanguato da guerre incessanti; ma persisteva l'assioma dell'incomparabile perfezione e inviolabilità di esso. Minacciato da ogni parte, l'impero bizantino fu impegnato in una perenne guerra difensiva: lo squilibrio tra i mezzi materiali di cui disponeva e l'idea di dominio universale che lo informava era stridente, così come lo era l'asserita divinità del sovrano e la pochezza della sua persona. Nonostante la tentata riconquista da parte di Giustiniano che in un ventennio (535-555) ridusse l'Italia un cumulo di macerie nel VI secolo l'occidente era perduto: l'Italia devastata, l'Europa frantumata nei regni barbarici, che l'imperatore si ostinava a considerare suoi umili delegati. Successivamente Ostrogoti, Vandali, Unni, Longobardi, Slavi, Avari, Persiani, Bulgari, Russi, Magiari, Normanni, Serbi e infine Turchi si presentarono ai confini, si insinuarono all'interno, si impadronirono via via delle isole e dei territori; nell'VIII secolo, gli animi furono divisi dallo scisma degli iconoclasti: l'imperatrice Irene, la sola donna che portò il titolo di imperatore di Roma, per reprimere quella corrente non esitò a far accecare il proprio figlio, ma salvò l'arte cristiana.
A ogni pagina affiorano storie di massacri, episodi atroci: un capo bulgaro si serviva per bere del cranio dell'imperatore Niceforo, ucciso in battaglia. Vediamo via via gli imperatori d'oriente sottostare alla supremazia della Chiesa, al dominio spirituale dei monaci, favorire o combattere i Crociati, arbitrare i concilii, barcamenarsi tra Genova e Venezia, Pisa e Amalfi, tra il re di Francia e il papato.
Dopo aver retto a tante tempeste, anche l'albero maestoso trapiantato da Roma si schiantò nel maggio del 1453. L'imperatore Costantino XII era morto nell'estrema difesa della città assediata per terra e per mare; non vide il saccheggio e il massacro. Maometto II il Conquistatore entrò trionfante nella città. Alcuni anni fa è uscita nella collana della Fondazione Lorenzo Valla (edizione Mondadori) una raccolta di resoconti scritti da testimoni: sono agghiaccianti. Dalla sponda opposta del Bosforo, dalle navi si udivano gli urli degli uomini impalati lungo le rive; i soldati scatenati stupravano le donne, per sfregio, sugli altari delle chiese; poi, l'intonaco coprì i mosaici delle volte, la mezzaluna prese il posto dei crocifissi divelti. Su tutta l'area occupata dai Turchi (che arrivarono al Mare Jonio nel 1460) i cristiani furono massacrati, i monumenti devastati o distrutti: è la Storia.


“la Repubblica” 27 gennaio 1989

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