Maggio, a Bologna, da
quasi due lustri, ormai, significa anche Anaf. Infatti.
l’Associazione nazionale amici del fumetto organizza qui,
annualmente, le sue «72 ore del fumetto», quasi sempre sul finire
di questo mese.
I «raduni» dell’Anaf
non assomigliano, interamente, alle rassegne critico - espositive che
si tengono a Lucca, a Prato, a Treviso. Tra le «nostalgie» dei soci
fondatori quarantenni — divenuti ormai cinquantenni col trascorrere
delle varie «72 ore» — la diversa qualità e quantità della
merce «amatoriale», l’onesta dedizione di autentici e
disinteressati cultori del medium, negli appuntamenti fissati
dall’Anaf si insinua un’atmosfera da «vecchia guardia»
fumettistica, non priva di un suo fascino sottile e, a volte,
scarsamente resistibile. Quest’anno, l’Anaf aveva in serbo una
sorpresa che merita di essere segnalata. Essa tocca problemi e
suscita domande di cui intendo pubblicamente riferire, anche se, in
alcune occasioni, si approssima a motivi e a temi che ho sempre
relegato nella mia sfera più privata. E’ un numero speciale de “Il
fumetto”, il trimestrale edito dall’Anaf e riservato ai soci. Il
grosso fascicolo è interamente dedicato a Paperino, e appare come
una sintesi di tutto quanto è oggi presente negli approcci migliori
stabiliti con i personaggi dei comics, al punto che, anche i limiti
del tentativo, concorrono, in fondo, a renderlo piacevole e
stimolante.
Vorrei subito accennare,
velocemente, ai difetti della pubblicazione, per soffermarmi poi, con
più attenzione, a considerarne i pregi. Gli ingredienti negativi,
reperibili in tutti i prodotti offerti dall’Anaf — e qui alludo,
naturalmente, agli interventi critici, non alle ristampe di vecchi
autori e alla ricerca di comics inediti o nuovi — possono
riassumersi in un globale atteggiamento autoprotettivo, che spinge
gli autori di gran parte degli articoli pubblicati, a valersi di un
linguaggio spesso modesto e approssimativo, quasi temendo di dover
accettare gli esiti di un accadimento, inevitabile quanto opportuno,
verificatosi da tempo nell’ambito degli studi dedicati ai fumetti.
Le letture interpretative, pertinenti e approfondite, sono, è vero,
ancora abbastanza rare, ma non mancano, ormai, opere e autori che
hanno costituito irrinunciabili punti di riferimento per l’intero
settore della grafica, dell’illustrazione e del fumetto. I critici
Anaf continuano, invece, in troppe occasioni, ad esprimersi usando un
fraseggio adatto a un circolo di buoni amici, i cui affetti sono
consolidati dalla pratica di un hobby caro a tutti i membri del
sodalizio, e dalla gelosa custodia di etichettate manie, un tempo
individulamente coltivate e ora gelosamente riservate al piccolo
gruppo di conoscenti, lietamente afflitti dalla stessa nevrosi.
Fortunatamente, gli
effetti deleteri di un simile atteggiamento, pur rendendosi evidenti
anche nello «speciale» dedicato a Paperino, appaiono drasticamente
ridimensionati dalla cura filologica, dallo scrupolo archivistico,
dalla fresca capacità di abbandonarsi alla ricerca e all’indagine,
ovvero dai numerosi pregi che valorizzano il fascicolo. Al quale va
comunque attribuito il merito di presentare Paperino in una luce
nuova e ambigua, aggiungendo non pochi attributi alla definizione di
un personaggio che, dopo questa rivisitazione, appare non doversi più
provare, dopo quelle ricavate, come onestamente riconoscono i
redattori dello «speciale», dalla lettura del buon libro di
Marovelli, Paolini e Saccomano, Introduzione a Paperino, edito
da Sansoni nel 1974, in cui il grande Donald, dopo la disavventura
toccatagli nel 1972, ad opera di Dorfman e Mattelart, veniva
affrontato con la cura e con l’intelligenza che gli sono
interamente dovute. Infatti, Come leggere Paperino, edito da
Feltrinelli, conteneva unicamente il riflesso della ideologica
presunzione di Dorfman e Mattelart, mai minimamente interessati a
capire davvero Paperino, e solo decisi a soffocarlo con invettive
spesso pretestuose, e ad assegnargli compiti e responsabilità non
convalidate da autentiche letture, da confronti, da fondate
interpretazioni.
Il Paperino che esce
dallo «speciale» rivela di possedere una genealogia più ramificata
e corposa di quelle solitamente abbozzate dai suoi studiosi. La
godibilissima pubblicazione dell’inedito Donald Duck in Mistery
of the Swamp mostra, ad esempio, come la versatile e misteriosa
vena creativa di Carl Barks si sia sempre nutrita delle radici,
insieme colte e popolari, che si riconoscono in una specifica
tradizione americana, ma abbia anche attinto al fiabesco e alla
produzione fantastica di singoli, importanti autori. L’episodio si
svolge nelle Everglades, le paludi maledette che costituiscono uno
dei topoi geografici più amati dai disegnatori di fumetti:
recentemente ci si è trovato a lottare anche Doting Doug, lo
stralunato eroe creato da Cubbino per “Bliz”. Ma, anche se non
credo che esista in questo senso una diretta e dimostrabile
correlazione, in Mistery of the Swamp, si avverte un
indeterminato alone di Tolkien, se non altro nella presenza dei
bizzarri Qnasuti, creature vicinissime alla figuralità complessiva
del Signore degli Anelli.
Da una simile sponda,
tuttavia, Paperino, rimbalza fino a quella in cui lo colloca Giulio
C. Cuccolini, con la consueta, accuratissima capacità di cercare e
trovare le più riposte e complesse ascendenze dei comics. E’ un
Donald arruolato a tempo pieno nei servizi di propaganda
dell’esercito americano della seconda guerra mondiale, quello che
Cuccolini ricostruisce. Il papero soldato, il nemico beffardo di
Hitler, esperto in vari armamenti, diventa poi, nella più curiosa e
anticipatrice delle linee consequenziali immaginabili, il subdolo e
geniale visitatore delle repubbliche sudamericane, un individuo
pericoloso, tanto in pace quanto In guerra.
Con l’inarrivabile
maneggevolezza e l’incalcolabile duttilità che lo caratterizzano,
Donald appare come un inquietante modello per possibili strumenti di
persuasione occulta, non ancora verificati in tutta la loro
pericolosità e potenzialità. (In questo spazio avrebbero dovuto
utilmente scavare Dorfman e Mattelart, sempre rispettando, tuttavia,
la specifica profondità del personaggio, in relazione al medium di
cui è un protagonista).
Sulla familiare e urbana
schizofrenia di Paperino, tutto o quasi si è detto; molto meno ci si
è soffermati, invece, sulla sua contraddittoria apertura al mondi
geograficamente più lontani dal proprio e letterariamente più
complessi.
Se Paperino può
disputare, a un vicino bizzoso, un palmo di cortile o l’uso di una
pompa per l’acqua, con toni e con tempi che contengono tutto il
male di vivere del nostro secolo, se non esita ad affrontare agenti
delle tasse, viaggiatori di commercio, i nipoti, lo zio, e la sua
inguaribile ed eterna «fidanzata», con gli occhi e con i tic di chi
sembra del tutto perduto, di lui, tuttavia, non dobbiamo disperare.
Donald può lasciare l’anatomica precisione con cui elabora la sua
dolente diagnosi sulla società americana, e immergersi in un sogno
collettivo di cui narra i frammenti, valendosi della cauta e poetica
sapienza di un raffinato antropologo. Foscolo Donati offre agli
appassionati lettori di Paperino, nel suo contributo allo «speciale»,
una accurata raffigurazione del «west spagnolo» descritto da Carl
Barks. Così, negli episodi famosi: Il segreto delle sette città
e Paperino nel tempo che fu, lo vediamo stagliarsi, lieve e
sereno, sullo sfondo delle rovine inconoscibili delle città indiane
dei canyon, mentre insegue le ombre degli antichi avventurieri
spagnoli, ridefinendo una porzione dell’immaglnario americano su
cui ben pochi hanno detto cose più intense e struggenti. Inutile
citare, a questo punto, film assai noti come L’asso nella manica
o quasi sconosciuti come Gli amanti della città sepolta:
dell’«antenato» indiano, nascosto sotto le pietre e sotto le
polveri delle antiche città, dello spagnolo avido e sprezzante,
censurato invano dall’ottimismo puritano del pionieri, hanno
parlato in tanti.
Io rammento un volume, da
troppo tempo sparito, La casa del professore, di Willa Cather,
in cui questi temi venivano affrontati con cauta, allusiva passione,
non dissimile da quella di cui Carl Barks dà continua testimonianza,
nelle sue storie del west arido e sabbioso, scenario adatto a
conservare i misteri storico-antropologici che lo attraggono con
tanta insistenza. A questi livelli, naturalmente, l’alto e il basso
letterario non possono certo far valere la propria incerta identità
e neppure le ragioni con cui, per solito, li si divide. Nel pantano
delle Everglades, uno degli Gnasuti non può esimersi dal dire,
guardando Paperino e i nipoti: «Sono i primi esseri umani che vedo
da quando Ponce De Leon fu qui, nel 1513. Come sono cambiati!».
Dal cortile del tragico suburbium di una qualunque, tipica città, fino alle paludi della Storia rimossa e sempre riaffiorata, Paperino sta «nelle vene dell’America», come poche altre leggende, come i miti, più rilevanti e complessi.
Dal cortile del tragico suburbium di una qualunque, tipica città, fino alle paludi della Storia rimossa e sempre riaffiorata, Paperino sta «nelle vene dell’America», come poche altre leggende, come i miti, più rilevanti e complessi.
il manifesto, ritaglio senza data, ma maggio 1981
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