Uno dei più straordinari testi
giuntici dall’antichità classica è, senza dubbio, il Periplo
dei Mare Eritreo. Un anonimo scrittore greco del primo secolo
d.C.(un mercante? un geografo?) vi narra, con dovizia di particolari,
la rotta, i traffici, i sistemi di navigazione impiegati da coloro i
quali partendo dai porti commerciali del mar Rosso toccavano il mare
Arabico, il golfo Persico e gli approdi dell’Oceano Indiano.
Viaggi così lunghi e pericolosi erano
possibili grazie alla conoscenza che i marinai antichi avevano dei
monsoni, in particolare quello sud-occidentale, che inizia in giugno
e finisce in settembre, sfruttando il quale si poteva giungere
facilmente, tenendosi a una certa distanza dalla terraferma, dal mar
Rosso fino alla punta più meridionale del sub-continente indiano.
La scoperta del monsone
Plinio ci dà anche il nome dell’uomo
che aveva compiuto la straordinaria scoperta delle proprietà del
monsone: Ippalo, secondo la felice definizione di Mortimer Wheeler,
«un grande nome nella storia della navigazione».
Il Periplo ci racconta, tra le
altre cose, quali fossero i porti indiani interessati da questo
commercio, il tipo di merci trasportate dai marinai greci e romani
(in primo luogo vino, argento, stoffe e metalli) e quelle importate
in occidente (seta, mussola, pietre dure e, soprattutto, spezie, come
la cannella e il pepe, ingrediente fondamentale della cucina romana).
Da parte loro, i poemi indiani datati tra III secolo a.C. e I secolo
d.C. parlano in più punti dei mitici Yavanas (un nome con cui
venivano indicati indifferentemente Greci e Romani), delle loro navi,
del loro vino «fresco fragrante».
Fin qui le fonti letterarie; si deve
alle straordinarie capacità (e anche alla fortuna) di Mortimer
Wheeler se l’archeologia ha potuto confermare in pieno questo
quadro, aprendo un capitolo della storia delle ricerche, quello del
commercio indo-romano, che ogni anno si va arricchendo di nuove
pagine e intorno a cui si è di recente riacceso l’interesse del
mondo scientifico.
Fin dal 700 erano noti i rinvenimenti
di monete romane in varie parti dell’India; Wheeler, appena
nominato dall’amministrazione inglese direttore dell’Archeological
Survey of India, fece subito un’importante scoperta nel locale
museo di Pondicherry, a sud di Madras, dove alcuni antiquari francesi
aveva depositato materiali provenienti da uno scavo effettuato sulle
rive di un’ampia laguna, in una località chiamata dagli indiani
Arikamedu.
Agli occhi increduli di Wheeler
apparvero frammenti della tipica ceramica da mensa romana di età
imperiale, la terra sigillata, e di anfore vinarie; gli scavi
compiuti ad Arikamedu nel 1945 dovevano portare alla luce altri
frammenti di ceramica romana, materiali locali che ne imitavano
l’impasto e le decorazioni e resti di strutture che Wheeler definì
come magazzini, identificando il sito con il porto di Poduke, citato
dal Periplo.
I Romani in India
Da allora si sono moltiplicati,
soprattutto nel sud dell’India, i rinvenimenti di anfore e di terra
sigillata, databili per la maggior parte nei primi due secoli
dell’Impero, confermando così la fondatezza dei lamenti di Plinio,
che osserva sconfortato come «non vi sia anno in cui l’India
assorba meno di due milioni di sesterzi» e offrendo una valida
spiegazione storica di una delle più straordinarie scoperte della
lunga storia degli scavi di Pompei: una bellissima statuetta indiana
d’avorio della dea della fortuna, Lakshmi, usata come manico di
specchio.
Ma la revisione dei vecchi scavi di
Arikamedi e i più recenti studi sulle anfore dimostrerebbero come il
commercio fosse iniziato almeno due secoli prima dell’epoca in cui
si datano i materiali di Arikamedu. Del resto questo è solo uno dei
quesiti che l’archeologia deve ancora risolvere all’interno della
complessa questione del commercio indo-romano; accanto agli
interrogativi più squisitamente topografici, come l’individuazione
degli altri porti citati dal Periplo (in particolare Muziris,
dove le fonti riportano la presenza di un tempio dedicato ad
Augusto), ve ne sono altri, storici, di grande interesse.
Dobbiamo ancora comprendere, infatti,
quale fosse l’importanza di questo commercio per Roma e chi se ne
occupasse in prima persona (studi recenti si soffermano sul ruolo
cruciale del porto di Alessandria e degli intermediari egiziani,
arabi e forse indiani impegnati nel commercio); ancor più stimolante
è il problema dell’impianto di tale attività sullo sviluppo
socio-economico dell’India meridionale, in cui sistemi «statali»
sono documentati (soprattutto da documenti letterari) proprio nei
primi secoli della nostra era.
Gli ultimi anni hanno visto un enorme
risveglio dell’interesse, in India, per questo argomento, e la
crescente consapevolezza della necessità di un’effettiva
cooperazione con gli archeologi del mondo classico.
In quest’ambito si pone l’iniziativa
della riproposizione, ampliata e aggiornata, di una mostra dal titolo
India and Italy, tenutasi quindici anni fa a New Delhi, con
grande successo. Oggi come allora la mostra è organizzata
dall’Istituto italiano di cultura di New Delhi; le maggiori novità
sono però costituite dall’ampio coinvolgimento di archeologi e
storici indiani e dall’intenzione di farla girare a lungo nelle
maggiori città e università del paese.
I tempi sono decisamente cambiati, gli Yavanas di oggi non vengono più a portare vino o merci preziose, bensì un patrimonio di cultura e di problematiche storiche, soprattutto sul tema della dinamica degli scambi nel Mediterraneo in età romana, più che mai utile per affrontare su basi nuove un fenomeno complesso e articolato come il commercio tra Roma e l’India.
"il manifesto" ritaglio senza data, probabilmente 1988
I tempi sono decisamente cambiati, gli Yavanas di oggi non vengono più a portare vino o merci preziose, bensì un patrimonio di cultura e di problematiche storiche, soprattutto sul tema della dinamica degli scambi nel Mediterraneo in età romana, più che mai utile per affrontare su basi nuove un fenomeno complesso e articolato come il commercio tra Roma e l’India.
"il manifesto" ritaglio senza data, probabilmente 1988
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