Antonio Panizzi |
Nel
1851 il « Dipartimento Libri Stampati » del British Museum acquistò
un uomo destinato a sorpassare per importanza tutti coloro che
avevano lavorato fin allora nel museo: fu Antonio Panizzi, il più
grande dei bibliotecari.
Dopo
la sua fuga da Modena, dove era stato condannato a morte, sostò a
Liverpool e venne poi a Londra, dove fu introdotto da H. F. Cary,
studioso di cose italiane e traduttore della Divina
Commedia alla sala di
lettura del British Museum, frequentata da un nuovo gruppo di
emigrati (liberali italiani in esilio), tra i quali si trovava
Gabriele Rossetti. Fu così ch’egli poté constatare
l’inadeguatezza della biblioteca, alla quale era destinato a dare
in seguito scopi completamente nuovi.
Durante
i primi tempi della sua carica si dedicò al difficile compito di
trovare un posto per i vari materiali della biblioteca, preparando
dei nuovi cataloghi soddisfacenti. Invitato nel 1835 ad esprimere il
suo parere di fronte ad un apposito comitato d’inchiesta, Panizzi
offrì la più convincente tra le varie testimonianze, rivelando
l’incuria con cui era stata amministrata finanziariamente sin
allora la biblioteca del museo. La nazione, secondo la dichiarazione
di Panizzi, non aveva fatto quasi niente per la biblioteca, mentre
tutti gli altri dipartimenti avevano ricevuto attenzione e sussidi.
Panizzi seppe porre il dito sulla piaga : «L’opinione pubblica si
sofferma soltanto su uno degli scopi pei quali il British Museum è
stato istituito, quello, cioè, d’essere un luogo di mostra.
Disgraziatamente, nei riguardi del suo obbiettivo più nobile ed
importante, che è quello d’essere un centro per il progresso
dell’istruzione, per gli studi e le ricerche, il pubblico sembra
pressoché indifferente». Circa la questione della scelta dei libri
egli dichiarò : «Se le cose dipendessero da me, direi che sarebbe
meno importante per la biblioteca possedere dei libri moderni usuali,
che avere dei volumi rari, di tiratura ridotta, di grande mole e di
alto prezzo, che non possono esser trovati altrove da persone cui non
è dato accedere a grandi collezioni private. Per quanto concerne i
libri, voglio che lo studente povero abbia le stesse possibilità del
più ricco cittadino del regno di soddisfare la sua curiosità, di
approfondire le più intricate indagini; sostengo che il governo
abbia il dovere di offrirgli a questo riguardo l’assistenza più
liberale ed illimitata».
Nel
1836 Panizzi fu nominato bibliotecario in capo; la sua carica durò
dieci anni. Quale amministratore di una biblioteca non ha mai avuto
rivali. Trovò una biblioteca di 115.000 volumi stampati, senza
contare la King’s Library. Questa biblioteca non soltanto era di
poca importanza, paragonata alle più grandi di Europa, ma era anche
un cumulo caotico di donazioni, utile senza dubbio agli studiosi di
storia, ma non tanto utile quanto avrebbe potuto essere se si fossero
acquistati i libri con metodo, e assolutamente inutile per gli
studiosi di cose riguardanti il mondo moderno. Per i libri occorre un
catalogo e per un catalogo tutto un codice di regole. Le regole di
Panizzi costituirono il primo codice completo che sia mai stato
ideato. Inoltre, seppe provvedere spazio per i volumi e posti per i
lettori su una scala sino allora mai immaginata. Nel raccogliere i
libri, nel disporli sugli scaffali, nel catalogarli, nella
disposizione della sala di lettura, i criteri che noi usiamo
oggigiorno furono di sua invenzione.
Il
carattere di Panizzi fu cavalleresco, cioè combattivo e generoso.
Niente avrebbe potuto essere più estraneo alla flemma britannica:
farlo entrare nel tranquillo museo, fu come un tentativo di sistemare
un vulcano italiano in un giardino olandese. In questioni di denaro
fu decisamente disinteressato. Seppe farsi delle amicizie sincere non
soltanto tra le personalità politiche e sociali di Londra, ma anche
nella società commerciale di Liverpool, dove a quell’epoca Hazlitt
scrisse nel suo Table
Talk che niente del
genere era possibile; gli uomini trovano il prossimo diverso, a
seconda delle differenze insite nella loro stessa natura. Ma Panizzi
perdeva la pazienza di fronte alle persone incompetenti, soprattutto
quando la loro incompetenza era unita a furberia e ad arroganza.
Senza dubbio fu persona anche troppo sensibile, come risulta da
quanto scrisse ai suoi colleghi all’epoca in cui abbandonò la
carica: «Se ho mai dato alcuno motivo di rammarico, ne sono
sinceramente dispiacente, e spero si voglia riconoscere che sono
stato sempre influenzato soltanto dal senso del dovere».
I
bibliotecari in capo che gli succedettero, alcuni dei quali di
capacità non inferiori alle sue, hanno avuto minori possibilità di
compiere opera costruttiva: le linee generali da seguirsi erano state
tracciate da Panizzi. È con ragione che il British Museum tiene il
suo nome in grande onore.
Da
“Eco del mondo”, n.12 Agosto 1947 Editoriale Domus – Milano
estratto
da The library of the
British Museum, Allen
& Unwin
Editori, Londra 1946
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