16.9.15

Primavera socialista labour (Rino Genovese)

Rino Genovese pubblica nel sito de “Il Ponte” questo bel commento, per molti versi condivisibile. Soprattutto per il finale. L'incapacità di sguardo lungo e la concentrazione sulle elezioni in arrivo hanno determinato lo snaturamento dei grandi partiti socialisti d'Europa, snaturamento che peraltro non ha impedito la sconfitta. Più dubbi ho sulla proposta, implicita, che Genovese avanza, quella della riconquista al socialismo dei partiti di sinistra anche nell'Europa continentale, contro quello che chiama “movimentismo gruppettaro” e contro le “coalizioni di spezzoni di ceto politico”. In Italia, per esempio, il PD non è più classificabile come partito di sinistra ed è impermeabile a ogni discorso socialista. Ma anche altri partiti, socialisti di nome, hanno queste stesse caratteristiche (e non parlo solo del residuale PASOK). Credo necessaria una vera “rifondazione” dal basso e dall'alto, un processo che ricordi nella sua apertura e nella sua magmaticità la fondazione, a Genova nel 1892, del Partito socialista dei lavoratori italiani, un'ampia coalizione sociale che decida di farsi “parte” politica. (S.L.L.)
Dunque è ormai chiaro: c’è un’ampia fetta di elettorato di sinistra che non ne può più della solita minestra centrista-neoliberista soft. L’elezione di Jeremy Corbyn alla testa del Labour (uno dei partiti storici del socialismo europeo), con quasi il 60% dei voti, su un programma contrario all’austerità e a favore di una ripresa della spesa pubblica, all’interno di una ventata culturale – vorrei dire perfino prepolitica – socialista, è il segnale che si aspettava. Senza una riforma dall’interno dei vecchi partiti, con un semplice movimentismo gruppettaro o con coalizioni tra spezzoni di ceto politico (come ha dimostrato di essere anche Syriza), non può essere sviluppata la lotta contro l’austerità europea, che è oggi la premessa per qualsiasi passo successivo. In fondo la battuta di arresto di Tsipras è stata determinata da questo: il leader greco è stato lasciato solo: né gli Hollande né i Gabriel si sono spostati nemmeno di un millimetro dalle loro posizioni nient’affatto socialdemocratiche ma semplicemente social-liberali.
Socialismo versus liberalismo: il confronto a sinistra nel medio periodo sarà questo. Ed è estremamente significativo che la ventata socialista provenga dall’isola britannica, con un Pil piuttosto ben messo e una disoccupazione decrescente, in virtù della estrema flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro: è un sussulto di dignità a sinistra, un desiderio di giustizia sociale nella ripartizione delle risorse, il sogno di un mondo diverso da quello del mito della meritocrazia per pochi e dell’effettivo sbarcare il lunario per molti, ciò che si vede nella scelta di Corbyn.
Ma – si dice – uno come il nuovo leader laburista non potrà mai vincere le elezioni, e così i conservatori governeranno ancora per chissà quanti anni. A parte il fatto che bisognerà tenere d’occhio l’evolversi delle cose (tra parentesi, non è detto neanche che Corbyn ce la faccia a tenere insieme un partito complesso come il Labour), il punto non è qui. Per dei socialisti, che pure intendono governare, vincere le elezioni non è un orizzonte esclusivo. Se per vincerle devi snaturarti, cancellare la tua identità, allora meglio perderle e restare all’opposizione. Per quanto tempo? Per il tempo necessario a costruire, in ciascun paese con diverse modalità, l’alternativa socialista europea. L’Europa – che i britannici vi rimangano o ne escano – non può essere quella che abbiamo conosciuta negli ultimi anni. Dal Labour, come da altre esperienze, arriva il segnale del cambiamento.


Dal sito del “Il Ponte”, rivista mensile – 13 settembre 2015

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