Rino
Genovese pubblica nel sito de “Il Ponte” questo bel commento, per
molti versi condivisibile. Soprattutto per il finale. L'incapacità
di sguardo lungo e la concentrazione sulle elezioni in arrivo hanno
determinato lo snaturamento dei grandi partiti socialisti d'Europa,
snaturamento che peraltro non ha impedito la sconfitta. Più dubbi ho
sulla proposta, implicita, che Genovese avanza, quella della
riconquista al socialismo dei partiti di sinistra anche nell'Europa
continentale, contro quello che chiama “movimentismo gruppettaro”
e contro le “coalizioni di spezzoni di ceto politico”. In Italia,
per esempio, il PD non è più classificabile come partito di
sinistra ed è impermeabile a ogni discorso socialista. Ma anche
altri partiti, socialisti di nome, hanno queste stesse
caratteristiche (e non parlo solo del residuale PASOK). Credo
necessaria una vera “rifondazione” dal basso e dall'alto, un
processo che ricordi nella sua apertura e nella sua magmaticità la
fondazione, a Genova nel 1892, del Partito socialista dei lavoratori
italiani, un'ampia coalizione sociale che decida di farsi “parte”
politica. (S.L.L.)
Dunque
è ormai chiaro: c’è un’ampia fetta di elettorato di sinistra
che non ne può più della solita minestra centrista-neoliberista
soft. L’elezione di Jeremy Corbyn alla testa del Labour (uno dei
partiti storici del socialismo europeo), con quasi il 60% dei voti,
su un programma contrario all’austerità e a favore di una ripresa
della spesa pubblica, all’interno di una ventata culturale –
vorrei dire perfino prepolitica – socialista, è il segnale che si
aspettava. Senza una riforma dall’interno dei vecchi partiti, con
un semplice movimentismo gruppettaro o con coalizioni tra spezzoni di
ceto politico (come ha dimostrato di essere anche Syriza),
non può essere sviluppata la lotta contro l’austerità europea,
che è oggi la premessa per qualsiasi passo successivo. In fondo la
battuta di arresto di Tsipras è stata determinata da questo: il
leader greco è stato lasciato solo: né gli Hollande né i Gabriel
si sono spostati nemmeno di un millimetro dalle loro posizioni
nient’affatto socialdemocratiche ma semplicemente social-liberali.
Socialismo
versus liberalismo: il confronto a sinistra nel medio periodo sarà
questo. Ed è estremamente significativo che la ventata socialista
provenga dall’isola britannica, con un Pil piuttosto ben messo e
una disoccupazione decrescente, in virtù della estrema
flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro: è un sussulto di
dignità a sinistra, un desiderio di giustizia sociale nella
ripartizione delle risorse, il sogno di un mondo diverso da quello
del mito della meritocrazia per pochi e dell’effettivo sbarcare il
lunario per molti, ciò che si vede nella scelta di Corbyn.
Ma
– si dice – uno come il nuovo leader laburista non potrà mai
vincere le elezioni, e così i conservatori governeranno ancora per
chissà quanti anni. A parte il fatto che bisognerà tenere d’occhio
l’evolversi delle cose (tra parentesi, non è detto neanche che
Corbyn ce la faccia a tenere insieme un partito complesso come il
Labour), il punto non è qui. Per dei socialisti, che pure intendono
governare, vincere le elezioni non è un orizzonte esclusivo. Se per
vincerle devi snaturarti, cancellare la tua identità, allora meglio
perderle e restare all’opposizione. Per quanto tempo? Per il tempo
necessario a costruire, in ciascun paese con diverse modalità,
l’alternativa socialista europea. L’Europa – che i britannici
vi rimangano o ne escano – non può essere quella che abbiamo
conosciuta negli ultimi anni. Dal Labour, come da altre esperienze,
arriva il segnale del cambiamento.
Dal
sito del “Il Ponte”, rivista mensile – 13 settembre 2015
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