22.9.15

Il calendario di Numa Pompilio (Plutarco)

Re Numa rappresentato da Pietro Perugino
Affreschi del Collegio del Cambio - Perugia
Numa affrontò anche il problema del calendario, se non criticamente, neppure però con assoluta impreparazione. Durante il regno di Romolo i mesi erano computati in modo irrazionale e caotico: alcuni risultavano di 20 giorni, altri di 35, altri di più ancora. Inoltre non si aveva cognizione della differenza esistente tra il corso della luna e quello del sole; quindi si adottò un’unica norma, che ogni anno consiste di 360 giorni. Numa calcolò invece la differenza tra l’anno lunare e quello solare in 11 giorni, il primo comprendente 354 giorni, e il secondo 365, raddoppiò gli 11 giorni e li aggiunse ogni due anni al mese di Febbraio sotto forma di mese intercalare con 22 giorni, che i Romani chiamano Mercedino. Anche questa correzione avrebbe richiesto però in avvenire correzioni ancora maggiori.
Mutò pure l'ordine dei mesi: Marzo, che era il primo, mise al terzo posto, e primo mise Gennaio, che sotto Romolo era l’undicesimo, mentre Febbraio, già dodicesimo e ultimo, ora si trova secondo. Però molti studiosi dicono che questi due mesi, di Gennaio e di Febbraio, furono aggiunti da Numa: originariamente i Romani avevano un anno di 10 mesi, come ci sono delle popolazioni barbariche che ne hanno di 3; fra gli Elleni gli Arcadi l’hanno di 4, gli Acarnani di 6; per gli Egizi, poi, a quanto si dice, l'anno era formato prima di un mese solo, in seguito di 4. Per questo motivo gli Egizi, sebbene abitino un paese di formazione recentissima, godono fama di essere un popolo antichissimo e sovraccaricano le loro genealogie di un numero inestricabile d’anni: in realtà conteggiano i mesi per anni.
Una prova che l’anno romano originariamente constava di dieci mesi e non di dodici, è rappresentata dal nome dell'ultimo, detto ancor oggi Dicembre: e a provare come Marzo fosse il primo mese, sta il nome dei successivi; il quinto dopo di lui si chiamava Quintile, il sesto Sestile, e cosi via di seguito per ciascuno sino alla fine. Allorché furono posti davanti a Marzo Gennaio e Febbraio, accadde che si continuò a chiamare quinto mese quello che nel computo ora veniva settimo. Del resto era logico che Romolo considerasse per primo mese dell’anno Marzo, consacrato ad Ares, e per secondo Aprile, che prende nome da Afrodite, in cui si fanno sacrifici a questa dea, e al primo giorno le donne si bagnano con una corona di mirto in campo. Alcuni però sostengono che il nome «aprile», il quale ha la consonante tenue e non aspirata, non deriva da Afrodite. Secondo essi Aprile fu chiamato così perchè è il mese in cui la primavera dischiude e fa spuntare i germogli delle piante: e tale è il significato della voce aperio.
Il mese successivo è detto Maggio da Maia, perché consacrato a suo figlio Ermes, e Giugno da Era, o Giunone: c’è però chi sostiene la derivazione di questi nomi dalle età dell’uomo, poiché i Romani chiamavano gli anziani maiores, e i giovani iuniores. I restanti mesi derivano il nome dal posto che ciascuno occupava nell’ordine, e cioè; Quinto, Sesto, Settimo, Ottavo, Nono, Decimo. Solo più tardi Quintile fu chiamato Luglio da Giulio Cesare, il vincitore di Pompeo, e Sestile Agosto dal secondo imperatore, soprannominato Augusto. Domiziano impose ai due seguenti i propri nomi, Domiziano e Germanico, ma ciò durò per poco tempo: dopo il suo assassinio essi ripresero i propri nomi e tornarono a chiamarsi Settembre e Ottobre. Solo gli ultimi due, quindi, conservarono sempre la denominazione avuta all’inizio in base al posto che occupavano.
Quanto ai mesi aggiunti o spostati da Numa, Febbraio significa qualcosa come «purificazione», perché questo è il senso più vicino al suo nome e perché in Febbraio i Romani portano le offerte ai morti e celebrano la festa del Lupercali, affine sotto molti aspetti alla purificazione. Il primo invece si chiama Gennaio da Giano; e se Numa rimosse dal primo posto Marzo, che porta il nome di Ares, a me sembra l’abbia fatto perché desiderava che ovunque il potere civile fosse anteposto a quello militare. Giano fu appunto un semidio o un re, che, secondo la tradizione, strappò gli uomini allo stato felino e selvaggio in cui vivevano, mediante delle riforme politiche e sociali.

Da Vite Parallele, Mondadori 1984 (Trad. Carlo Carena)

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