Pietro Pinna, classe
1927, è una personalità fondamentale nella storia del pacifismo
italiano ma è anche un temperamento schivo: chi voglia sapere
qualcosa su di lui deve andare a cercare volumi da tempo fuori
catalogo o passare in rassegna le annate della rivista “Azione
Nonviolenta”; il quadro che ne emerge però vale la pazienza
richiesta dall’indagine.
Nato in Liguria da gente
modesta, dopo la poca scuola che l’Italia di allora metteva a
disposizione della sua classe sociale, riuscì a conquistare il
diploma da ragioniere e un posto in banca (ossia realizzare quella
che per tanti nostri connazionali era la massima aspirazione
possibile). Avrebbe potuto trascorrere una tranquilla esistenza da
travet, e invece già nel 1948 trovò il modo di mettersi nei guai:
renitente alla leva, per ragioni di coscienza. Nel nostro paese (e
non solo) l’obiettore di coscienza era un soggetto completamente
sconosciuto, non previsto da norme e leggi: per le forze armate Pinna
diventa un caso imbarazzante di cui si libereranno due anni dopo
dichiarandolo inabile alla leva per “nevrosi cardiaca”, una delle
diagnosi più bislacche mai stilate da un ufficiale medico. È da
questo momento che Perugia entra a far parte della sua esistenza: il
giovane anticonformista entra in contatto con Aldo Capitini, isolato
teorico del pacifismo e profeta della nonviolenza, il quale lo chiama
a collaborare con lui.
Operoso e defilato, Pinna
è stato determinante per realizzare vari progetti di Capitini fra
cui la prima Marcia per la Pace, ha diretto insieme a lui “Azione
Nonviolenta” e, alla morte del filosofo, ha guidato per ben
trent’anni il Movimento Nonviolento; come se non bastasse, nel 1973
si è fatto pure vari mesi di prigione per avere diffuso, il giorno
della Festa delle Forze Armate, un manifesto antimilitarista. Dopo
aver trascorso a Perugia la parte più operosa della sua esistenza,
da alcuni anni a questa parte vive a Firenze in condizioni precarie.
Una personalità così di
spicco non ha mai chiesto onori, ma i rappresentanti perugini del
Partito radicale hanno giustamente ritenuto che il suo nome andasse
almeno iscritto nell’Albo d’Oro dei benemeriti della nostra città
e, dopo un primo positivo sondaggio fra le istituzioni comunali,
hanno affidato l’incarico di presentarne la candidatura al
consigliere di maggioranza Franco Ivan Nucciarelli che si è
gentilmente offerto di fare da tramite.
E qui accade
l’imprevisto: la richiesta viene respinta, nonostante all’inizio
nessuno avesse fatto difficoltà, con la motivazione che Pinna non è
nato né attualmente residente a Perugia.
C’è di che farsi
cadere le braccia: la questione della residenza o nascita non è
affatto determinante (su questo requisito il regolamento comunale è
molto ambiguo), tanto è vero che la benemerenza in passato è stata
concessa ad altre personalità non nate o non residenti nel
capoluogo: e allora perché fare difficoltà? Viene la tentazione di
sfoderare una certa e ben nota retorica, sostenendo che Capitini ed
il suo insegnamento fanno ancora paura ai poteri costituiti e che si
vuole condannare la dottrina nonviolenta ed il pacifismo alla
damnatio memoriae, ma sarebbe un discorso poco convincente; da
tempo sappiamo che i poteri, ufficiali e non, possono impunemente
ignorare qualunque forma di protesta faccia appello esclusivamente ad
istanze morali e non è certo delle idee sovversive, finché restano
idee, che hanno paura. Nel 2003 la più grande ondata di sdegno
antimilitarista mai apparsa al mondo non riuscì ad impedire la
guerra contro l’Iraq; oggi neppure il ricordo dell’esito
sciagurato di quell’impresa può far demordere le maggiori potenze
dal ricorso alle armi; e non c’è un solo politico, per quanto
guerrafondaio negli atti, che non dichiari di stare lavorando per la
pace. Che fastidio può mai dare l’iscrizione di un pacifista
autentico, coerente e schivo in una rassegna di cittadini meritevoli?
Se tutto ciò è vero,
allora forse la spiegazione di questo inaccettabile rifiuto è più
modesta e, verrebbe da dire, anche più triste. I nostri
amministratori sono in crisi di motivazione: sanno di essere stati
nominati da una minoranza di cittadini e, se sono intelligenti, si
rendono conto di contare poco o niente perché le decisioni davvero
importanti ormai si prendono altrove. In una simile fase storica le
energie languono e anche il minimo inciampo diventa un invito a
chiudere la questione e passare ad altro. In effetti, perché stare a
complicarsi la vita? E poi, chi era ‘sto Pinna?
“micropolis”, giugno
2015
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