17.7.11

Comunismo eretico e pensiero critico. Un bilancio dal Novecento.

C’è un elemento di ambiguità nell’impresa culturale promossa e coordinata dalla Fondazione Micheletti di Brescia, insieme all’Editoriale Jaca Book sotto il titolo complessivo L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico. In cinque ponderosi (e inevitabilmente costosi) volumi l’equipe diretta da Pier Paolo Poggio, uno storico di grande acume e valore, intende dare conto di personalità, gruppi, movimenti che, nel secolo breve del “socialismo realmente esistente”, hanno tentato una via di trasformazione radicale della società, opponendosi alla corrente dominante tracciata dalla Russia sovietica. Si tratta sovente di “eresie” in senso stretto, cioè di scissioni seguite da scomuniche e da condanne senza appello per tradimento; si tratta in altri casi di percorsi critici “altri” rispetto al “Dio che ha fallito” in Russia e nell’Est europeo, ma che si pongono in forte, concorrenziale contrasto con l’ideologia e la prassi dello stalinismo e del post-stalinismo. E si tratta anche di movimenti che hanno esiti diversi: taluni tentano con enormi difficoltà di mantenere un legame dialettico con il movimento comunista internazionale ufficiale, altri diventano nettamente e francamente anticomunisti fino ad accettare compromessi con quel mondo capitalistico che pure criticano.
Dell’opera, accompagnata da convegni e seminari di approfondimento, sono usciti tra l’anno scorso e quest’anno due volumi, il primo intitolato L'età del comunismo sovietico. Europa 1900-1945, dedicato alle “eresie” storiche e al “pensiero critico” protonovecentesco, il secondo (fresco di stampa) dedicato a Il sistema e i movimenti. Europa 1945-1989. I tre volumi in programmazione per i prossimi anni saranno rispettivamente dedicati a Capitalismo e rivoluzione nella Americhe. 1900-1989; Anticolonialismo e comunismo in Africa e Asia. 1900-1989; Comunismo e pensiero critico nel XXI secolo. L’ultimo volume è, nelle intenzioni, un’apertura al domani, una verifica sulle possibilità di “rifondazione”, si sarebbe detto se qualcuno non avesse bruciato l’ipotesi di una verifica dei fondamenti in una prassi carrieristico-clientelare.
Il volume appena uscito, il secondo (Jaca Book, pp. 860, euro 48), è dedicato alle culture politiche minoritarie che hanno puntato a una trasformazione radicale della società cercando di tenere insieme tanto l'eguaglianza che la libertà. Culture politiche e esperienze spesso messe ai margini sia di partiti comunisti, ma anche dei partiti socialdemocratici.
Così nel volume sono presenti saggi sull'esperienza di «Socialisme ou Barbarie», del situazionismo e su quei filoni di ricerca maturati nei paesi del socialismo reale che, sebbene all'opposizione e repressi dallo Stato, puntavano comunque alla costruzione di una società di eguali e liberi (per esempio Rudolf Bahro, il teorico marxista della Germania est che svolse una critica alla concezione del progresso incentrato sulla tecno-scienza). Interessanti anche i saggi a Louis Althusser, alla «New left» inglese e ai «francofortesi», nonché a quei teorici, come Ilich e Ellul, che non sono mai stati né comunisti né marxisti, ma che hanno comunque fortemente influenzato i movimenti sociali postsessantoteschi. Da segnalare anche la parte dedicata all'Italia e a figure come Montaldi, Basso Panzieri e Timpanaro. Dell’ampia e acuta recensione di Roberto Finelli su “il manifesto” del 9 luglio 2011 riporto qui alcune parti. (S.L.L.)
Lelio Basso
Ben scavato vecchie talpe
di Roberto Finelli
Lo scopo fondamentale di tale amplia mole di lavoro è di sottrarre le «dignità» civili e antropologiche, implicite nell'idea di comunismo, alla sepoltura definitiva cui nell'opinione dei più sono state consegnate con il crollo dell'Unione Sovietica nel 1989 e l'implosione del cosiddetto «comunismo realizzato». E lo vuole fare attraverso la presentazione - sintetica ma nello stesso tempo ricca di categorie, concetti, connessioni storiche - dei pensatori e dei movimenti che durante il Novecento hanno radicalmente criticato sia il capitalismo e la civiltà liberistica da un lato che, dall'altro, il comunismo sovietico e i partiti, anche e sopratutto occidentali, che se ne sono fatti testimoni partecipi e garanti.
Così se il Novecento oggi, nell'opinione più diffusa, alimentata e moltiplicata dai più diversi apparati (dis)informativi, è stato il secolo del comunismo e del suo conclusivo fallimento - e dunque di ogni sua impossibile riproposizione futura - l'opera guidata da Poggio vuole far emergere l'Altro Novecento, cioè quel complesso minoritario di teorici, studiosi, ma anche di movimenti e correnti dell'emancipazione, che, schiacciati tra l'egemonia dello stalinismo e del capitalismo, hanno provato comunque a concepire un'idea e una pratica del comunismo diverse da quelle del movimento operaio ufficiale. Che si sono cioè provati - con molte differenze tra di loro, spesso in modo assai parziale o contraddittorio, in periodi e contingenze storiche assai diverse - a pensare e ad agire un modello di comunismo che fuoriuscisse, in qualche modo, da quella logica di potenza e forza che ha caratterizzato l'agire e il pensare delle forme socio-politiche dominanti il Novecento, e che è riassumibile nel modello conflittuale «amico/nemico».
In tale modello i poli che si contrappongono tra loro, e radicalmente si rifiutano radicalmente quale forme eterogenee di civiltà, a ben vedere sono, non sono opposti, ma identici. Giacché la contrapposizione assoluta li obbliga, ciascuno per suo verso, a militarizzarsi contro l'altro, proiettando ogni forza critica verso l'esterno e vietandosi di usufruire di qualsiasi capacità, e creatività, di autocritica verso l'interno. Per cui, a muovere da quella logica identitaria, non c'è, in effetti, possibilità alcuna di trasformazione storica e di vera emancipazione sociale (…)
Comunismo eretico è quanto s'è provato, in tutto l'arco del Novecento e nella varia configurazione degli autori che vengono iscritti in quella formula, a pensare l'organizzazione, teorica e pratica, di un comunismo che non derivasse il suo agire dai modelli della guerra civile e di classe e della guerra tra Stati (…)
Si pensi ad esempio, per quanto riguarda il comunismo eretico italiano del secondo dopoguerra, a percorsi come quelli di Danilo Montaldi, Raniero Panieri e Franco Fortini: il primo con il suo andare all'esperienza di vita proletaria, alla storia e biografia concreta dei militanti, alla formazione dei gruppi di base, fuori dell'organizzazione burocratizzata dei partiti della sinistra e della loro ricerca di mediazione sociale con i ceti medi; il secondo con la critica della neutralità della tecnica e per un socialismo della democrazia diretta; il terzo alla ricerca di una inclusione possibile nell'orizzonte dell'egualitarismo e dell'universalismo comunista dei valori e delle problematiche dell'esistenza individuale, con la sua insopprimibile emotività, caducità corporea, irripetibilità e mortalità. Voci e percorsi, che non potevano che essere di minoranza estrema, schiacciati e soffocati, com'erano, dal clima della guerra fredda e dagli arroccamenti della logica dicotomica che ne derivava. Dalla quale furono invece pesantemente condizionati molti degli intellettuali, spesso ridotti al rango di propagandisti, che avevano aderito in Italia a un Pci che, a ben vedere, già a metà degli anni Cinquanta, con la neutralizzazione nazionalistica e riformistica dell'opera di Gramsci compiuta dall'abilità di Togliatti, aveva esaurito la sua capacità di produrre una vera egemonia culturale. E che giunsero ben presto a testimoniare le paradossali diagnosi da parte del Pci sulle presunte arretratezze del capitalismo italiano, proprio mentre stava maturando lo sviluppo del miracolo economico, e soprattutto come testimoniò l'atteggiamento sostanzialmente acritico nei confronto dell'Urss, anche dopo la crisi ungherese del '56.
Lo sguardo dei molti curatori che hanno partecipato alla stesura del volume è, come s'è detto, non limitato alla sola Italia, bensì esteso all'intera Europa, in saggi che coprono sia quanto è accaduto sul piano reale delle lotte politiche e dei conflitti sociali che su quello ideale dei convincimenti e delle ideologie, sia nella loro dimensione collettiva di ideologie collettive che nella loro formulazione di filosofie e teorie individuali (…)
Uno degli intenti dell'opera è infatti anche quello di ritornare ad approfondire e a meditare le connessioni che si sono date tra piano reale e piano ideale, tra movimenti sociali e movimenti d'idee, soprattutto quando, come a partire dal '68, le idee del comunismo eretico, e di un complessivo pensiero critico del comunismo dei partiti e degli Stati, escono dal ghetto minoritario in cui le avevano emarginate, almeno per tutto il ventennio postbellico, le ideologie dominanti del liberalismo capitalistico e dello stalinismo, e provano a farsi alimento di comportamenti generalizzati e di massa (…)
Basti pensare alla questione di fondo del perché quei movimenti non siano stati capaci di tradurre la loro protesta, pure prolungata e radicale, in una proposta egemonica di emancipazione e trasformazione sociale.
Del perché cioè quegli anni di mobilitazione collettiva, estesa a pressoché tutti gli ambiti della società, si siano poi rovesciati a partire dagli anni Ottanta nel rifiuto delle ideologie, di ogni ipotesi di cambiamento sistematico e globale dell'assetto sociale, nell'accettazione, con il crollo dell'Urss nel 1989, del capitalismo quale orizzonte unico, per quanto mitigabile, di civiltà. Tanto che di quegli anni di rivolta, come frutto migliore, è rimasto solo il femminismo, con la sua giusta attenzione alle tematiche antropologiche della differenza di genere, ai sentimenti, al corpo, ma con la sua rinuncia strutturale alla politica, quale cultura e ricerca della fuoriuscita dal capitalismo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Si tratterà di un'opera costosa che dovrebbe trovare posto nelle Università e nelle biblioteche pubbliche e messa a disposizione per la consultazione. Si esaminano i socialismi dal loro interno e nelle relazioni tra di loro. Credo che bisognerebbe aggiungere una analisi generale sui condizionamenti che l'accerchiamento capitalistico ha ingenerato in tutti i socialismi conosciuti. Una analisi delle penetrazioni dei servizi segreti, del Vaticano, degli USA nell'opera di costante indebolimento delle strutture della società socialista. Mi sono sempre domandato come mai il regime comunista dell'urss si sia squagliato come neve al sole e non abbia opposto resistenza. Di fatto non c'è stata alcuna resistenza come se tutta la gerarchia fosse costituita da bonaccioni incapaci di usare un'arma. C'è un grande mistero antropologico nel comunismo da scoprire, scoprire da dove è venuta l'immensa ingenuità della conduzione della perestroika e della glasnost.Il modo come è caduto il comunismo è la prova della sostanziale bontà a cui era pervenuto il regime quaranta anni dopo la morte di Stalin
pietro ancona

Anonimo ha detto...

non ho capito quale sia "l'elemento di ambiguità" di cui si parla

Salvatore Lo Leggio ha detto...

L'elemento di ambiguità che può rintracciarsi nell'operazione io lo ritrovo nel mettere insieme il comunismo eretico e il pensiero critico anticomunista (anche di quelli che accettarono sostegni materiali e finanziari dal mondo capitalistico). Ovviamente è solo una mia impressione e potrebbe essere fallace. Aspettiamo di vedere tutta l'opera, soprattutto l'ultimo volume.

statistiche