Su “La Talpa libri” di venerdì 8 marzo 1991, non casualmente, una pagina intera era dedicata a un breve saggio di Rina Gagliardi sulle protagoniste femminili dell’opera lirica in quattro secoli di melodramma e di libretti musicali. Si tratta di un testo profondo e brillante, che meritava e meriterebbe non solo di essere pubblicato in volume (non mi risulta che sia stato fatto), ma di essere usato nelle scuole, giacché la classificazione di Rina (giornalista e italianista di studi rigorosi) è un formidabile strumento di comprensione di diversi fenomeni storico-culturali.
Qui “posto” la prima parte dello scritto, la premessa di metodo, promettendo agli eventuali (e, certo, pochi) interessati di socializzarne in futuro qualche altro brano. (S.L.L.)
Qui “posto” la prima parte dello scritto, la premessa di metodo, promettendo agli eventuali (e, certo, pochi) interessati di socializzarne in futuro qualche altro brano. (S.L.L.)
Maria Callas nei panni di Carmen. |
Una sacerdotessa dell’antica Gallia (Norma) arde nelle fiamme del rogo in un rito di purificazione/espiazione, ma anche di riconquista dell’amore perduto.
Una ricamatrice tisica (Mimì) si spegne , giovanissima, in una soffitta di artisti spiantati.
Una fanciulla misteriosa e incantata (Mélisande) muore nel dare alla luce una figlia.
Una principessa irlandese del XIII secolo si abbandona, estatica, sul corpo dell’amante e canta un inno di amore e di morte dolce e calmo/sorridente.
Una donna di strada del nostro tempo (Lulù) passa “di bassezza in bassezza” e finisce per mano di Jack lo Squartatore.
Un’ingenua fanciulla abbandonata (Gilda) si sacrifica al posto del malvagio seduttore.
Di quanti ritratti femminili si compone ormai l’opera lirica dopo quattro secoli di vita? Un’infinità certamente. Ma, di certo non è solo, e non è nemmeno principalmente una questione di quantità.
Una ricamatrice tisica (Mimì) si spegne , giovanissima, in una soffitta di artisti spiantati.
Una fanciulla misteriosa e incantata (Mélisande) muore nel dare alla luce una figlia.
Una principessa irlandese del XIII secolo si abbandona, estatica, sul corpo dell’amante e canta un inno di amore e di morte dolce e calmo/sorridente.
Una donna di strada del nostro tempo (Lulù) passa “di bassezza in bassezza” e finisce per mano di Jack lo Squartatore.
Un’ingenua fanciulla abbandonata (Gilda) si sacrifica al posto del malvagio seduttore.
Di quanti ritratti femminili si compone ormai l’opera lirica dopo quattro secoli di vita? Un’infinità certamente. Ma, di certo non è solo, e non è nemmeno principalmente una questione di quantità.
Nei suoi quattrocento anni, appunto, il melodramma muta anche radicalmente per stile, concezione e latitudine, ma conserva una fortissima identità femminile. Nasce con l’Orfeo, che è l’esaltazione delle virtù salvifiche della musica, ma, soprattutto, la mimesi dell’“eterna ricerca” della Donna, della Madre; diventa commedia borghese dominata da una lunga theoria di giovani scaltre e civettuole; si fa pura espressione delle passioni, “degli ingredienti primitivi ed essenziali dell’animo umano”, diceva Bernard Shaw, e poi delle mille irrequietezze dell’anima moderna...; ma resta sempre una “faccenda di donne”, secondo la felice spressione di Catherine Clement.
Attorno a Lei, - minacciata, inseguita, disprezzata, umiliata, idolatrata – ruotano le ragioni profonde del dramma e spesso la sua essenziale verità musicale. Di sicuro (ed è solo l’esempio più autorevole) Mozart scrisse le sue arie più ammalianti (dall’Idomeneo al Don Giovanni) per la voce femminile.
Attorno a Lei, - minacciata, inseguita, disprezzata, umiliata, idolatrata – ruotano le ragioni profonde del dramma e spesso la sua essenziale verità musicale. Di sicuro (ed è solo l’esempio più autorevole) Mozart scrisse le sue arie più ammalianti (dall’Idomeneo al Don Giovanni) per la voce femminile.
Perché? Forse perché “il canto operistico è il linguaggio delle passioni”, come ebbe a scrivere Adorno: l’espressione di “quel che la natura realizza nell’uomo contro ogni convenzione e mediazione”, l’evocazione di quella “assoluta immediatezza” cui l’uomo ha costantemente aspirato.
Quale associazione più “naturale”, allora, tra il Femminile e le Passioni, tra la Donna e l’Eccesso, tra le donne e il melodramma? Non ne hanno forse fatto parte anche, guadagnandosi l’accesso al mito, le grandi creatrici di passioni musicali, le “grandi dive” dell’opera morte giovani (la Malibran, che il padre minacciava di uccidere se non cantava bene) o morte, come Maria Callas, per l’incapacità di sopravvivere alle luci della ribalta?
3 commenti:
la prego, vorrei leggere il resto, sono una lettrice del Manifesto, di cui Rina Gagliardi è stata direttrice, e di La talpa, sono anche una cantante, e questo saggio non lo ricordo , o mi è sfuggito...grazie per averne postato l'inizio
Gentilissima Antonella, sono convinto di aver conservato il ritaglio, ma non lo trove dove dovrebbe essere. Continuerò la ricerca e, se troverò, posterò anche la seconda parte dell'articolo di Rina Gagliardi, che era assai bello. Lei, intanto, provi in biblioteca: in quelle delle grandi città dovrebbe esserci la collezione del "manifesto" e "la talpa libri" penso sia conservata dentro il numero che la conteneva, l'8 marzo 1991. Cordialissimi saluti e bellissimi canti. Salvatore Lo Leggio
Grazie, chissà che non riesca atrovarlo anch'io tra i ritagli, dimenticati, che conservavo gelosamente da ragazza...cordiali saluti
Posta un commento