Trovo nel sito de “Il primo amore” tre frammenti di Sergio Nelli, insegnante e scrittore dalla prosa tranquilla ed avvolgente, sotto il titolo Una scarpa sola. Ne riprendo uno, in cui l’immaginazione, cioè l’azione cerebrale sulle immagini, sembra svolgere il ruolo decisivo. La foto che la correda non è di Nelli, ma mia. L’ho trovata in una busta di plastica, in un cassetto materno. (S.L.L.)
Formato tessera
In uno scatolone in soffitta ho ritrovato una bustina di plastica, trasparente da un lato e blu colorata dall'altro, di quelle simili al porta carta d'identità o al portapatente. C'erano quindici foto formato tessera di me nei diversi periodi della mia vita. Alcune le avevo già disponibili ma altre erano inedite e viste così tutte assieme facevano una certa impressione. La prima, che conoscevo benissimo, è una foto che mi feci per l'abbonamento autobus in prima liceo e raffigura un bambino in giacca e cravatta con la bocchina stretta e l'aria perbene. Non ricordo affatto quando, con in braccio il pacco di libri tenuti da una cinghia, la tiravo fuori per mostrarla al bigliettaio. La seconda è sempre una foto d'abbonamento, ferroviario, dove ho i capelli lunghi e un'aria più adulta. Ci sono poi tre pose in cui sembro mio figlio imbruttito. Non sono proprio male, ma insomma non c'è gara. Poi arriva una serie di pose in cui il dato del tempo si misura soprattutto dalla barba e i baffi e da una stempiatura che va espandendosi. I baffi li ho sempre tenuti anche se di diversa lunghezza, la barba invece intera o a pizzetto è apparsa e scomparsa. La documentazione è comunque lacunosa. Ce n'è una di mezzo in cui sembro un terrorista, o un benzinaio scuro, mentre nelle ultime il volto si fa congestionato, più macchiato, la pettinatura scomposta o sconvolta. Manca l'oggi. Inoltre, l'ultima fototessera della serie non ritrae un altro me bensì quello che è stato il mio migliore amico. E' giovane, forse nel suo momento migliore, gli occhi ridenti e i capelli tanto folti da sembrare cotonati. Nel frattempo, ed è un tempo lungo, ci siamo persi di vista.
In uno scatolone in soffitta ho ritrovato una bustina di plastica, trasparente da un lato e blu colorata dall'altro, di quelle simili al porta carta d'identità o al portapatente. C'erano quindici foto formato tessera di me nei diversi periodi della mia vita. Alcune le avevo già disponibili ma altre erano inedite e viste così tutte assieme facevano una certa impressione. La prima, che conoscevo benissimo, è una foto che mi feci per l'abbonamento autobus in prima liceo e raffigura un bambino in giacca e cravatta con la bocchina stretta e l'aria perbene. Non ricordo affatto quando, con in braccio il pacco di libri tenuti da una cinghia, la tiravo fuori per mostrarla al bigliettaio. La seconda è sempre una foto d'abbonamento, ferroviario, dove ho i capelli lunghi e un'aria più adulta. Ci sono poi tre pose in cui sembro mio figlio imbruttito. Non sono proprio male, ma insomma non c'è gara. Poi arriva una serie di pose in cui il dato del tempo si misura soprattutto dalla barba e i baffi e da una stempiatura che va espandendosi. I baffi li ho sempre tenuti anche se di diversa lunghezza, la barba invece intera o a pizzetto è apparsa e scomparsa. La documentazione è comunque lacunosa. Ce n'è una di mezzo in cui sembro un terrorista, o un benzinaio scuro, mentre nelle ultime il volto si fa congestionato, più macchiato, la pettinatura scomposta o sconvolta. Manca l'oggi. Inoltre, l'ultima fototessera della serie non ritrae un altro me bensì quello che è stato il mio migliore amico. E' giovane, forse nel suo momento migliore, gli occhi ridenti e i capelli tanto folti da sembrare cotonati. Nel frattempo, ed è un tempo lungo, ci siamo persi di vista.
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