“Scritto e mangiato” è un supplemento gastronomico-alimentare che “il manifesto” realizza di quando in quando insieme a Slow food ed allega gratuitamente al quotidiano. Quello dell’aprile 2007 s’intitolava L’appetito vien viaggiando e si muove su un orizzonte internazionale e intercontinentale, spaziando dai vegetariani del Brasile ai Sioux ai pastori mongoli. Un articolo di Geraldina Colotti, Cuba – metafora, recensisce alcuni libri per ghiottoni colti e appassionati. Riporto l’incipit, che parla di pane. (S.L.L.)
Vastedda sicula |
Per lettori golosi di storie, un giro fra le pagine guidati dall’olfatto. Irresistibile l’odore del pane caldo, che appena sfornato sembra più buono. Il vero buongustaio, però, preferisce “sbocconcellarlo a temperatura ambiente”. Sa bene, infatti, che l’acqua e l’amido con il calore formano la salda, “una sorta di massa gelatinosa che solo raffreddandosi da luogo a una mollica soffice e alveolata, grazie alla progressiva evaporazione dei liquidi”.
D’altronde, la digeribilità del pane aumenta con il suo grado di cottura. Un pane è ben cotto se, battendone il fondo, risuona sonoramente, e se la crosta aderisce bene al resto. E come riconoscere quello a lievitazione naturale dagli altri?
Dalla crosta spessa e dal sapore acidulo, dalla mollica soffice e dalla consistenza, che si mantiene intatta per un’intera settimana. Lo spiega Alessandra Meldolesi nel Libro del pane (Ponte alle Grazie), che offre un quadro storico e antropologico di un cibo millenario, inventato dagli antichi egizi nel 6.000 a.C. Sembra che già nel terzo secolo a.C. i Greci producessero impasti sofisticati, e sfornassero ben 72 tipologie di pane, e che nella Roma di Augusto esistessero 129 panifici. I poveri, però, allora mangiavano solo polenta.
E anche oggi, in certe parti del mondo, a loro restano solo “i circences”. In compenso, nei paesi come l’Italia, alcuni cibi come il pane integrale, che per i nostri nonni costituivano spesso l’unico alimento, oggi sono più cari e ricercati.
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