Capri 1910. Esuli russi. Bogdanov e Lenin giocano a scacchi, Gorkij osserva |
Ho deciso di raccontare a questo punto di Aleksèj Maksimovic Peskov, ossia di Maksìm Gorkij. Avevo conosciuto quest’uomo alto dai capelli a spazzola, un poco curvo, con gli occhi celesti, dall’aspetto molto forte, fin dal 1915 nella redazione di “Letopis”. Prima di aggiungere altro è doveroso dire che Gorkij mi salvò la vita più volte, si fece garante per me di fronte a Sverdlov, mi offrì del denaro quando ero deciso a morire, e tutta la mia vita a Pietrogràd la passai in mezzo a istituzioni create da lui. Scrivo questo non per tratteggiare una caratteristica dell’uomo, ma solo come un passaggio della mia biografia. Andavo spesso in casa Gorkij. So stare allo scherzo, mi piacciono gli scherzi altrui e a casa Gorkij si rideva molto. Vi regnava un umore particolare, come un atteggiamento condizionale verso la vita, un ironico non riconoscerla. Gorkij ha scritto in Vita Nuova un articolo su quell’ufficiale francese che in battaglia, vedendo decimato il proprio reparto, gridò: “Morti, alzatevi!”. Era un francese e credeva nelle belle parole. E, poiché nelle battaglie molti, impauriti, si sdraiano a terra e non riescono ad alzarsi sotto le pallottole, successe che i “morti” si alzarono davvero. Bellissima la fede dei francesi nell’eroismo. Noi invece morivamo bestemmiando. Tanto noi che i francesi abbiamo paura del ridicolo, ma noi temiamo anche l’enfasi e l’eleganza sentendoli ridicoli. Ed è per questo moriamo ridendo.
La vita di Gorkij è stata una lunga vita; fu il solo degli scrittori russi a saper introdurre in Russia l’eleganza degli eroi di Dumas, e nelle sue prime opere i suoi morti sorgevano.
Il bolscevismo di Gorkij è un bolscevismo ironico, senza alcuna fede nell’uomo. Non intendo per bolscevismo l’appartenenza al partito: Gorkij non vi fu mai iscritto.
Non si possono condurre i morti all’attacco, ma si può formarne delle cataste e sistemare fra queste i vialetti, e ricoprirli di ghiaino. Un popolo può essere organizzato. I bolscevichi erano convinti che il materiale non ha importanza, conta la forma che gli si dà, e hanno giocato l’oggi, disposti a rimettercelo, hanno giocato le vite per vincere la posta della Storia.
Volevano pianificare tutto, il sole che doveva sorgere in orario, il bello e il brutto tempo che doveva essere preordinato in cancelleria.
L’anarchia della vita, il suo substrato incosciente, il fatto che l’albero sa come crescere – sono tutte cose che essi non capiscono.
La proiezione del mondo sulla carta non è un errore fortuito dei bolscevichi. Fin dall’inizio essi avevano creduto che la formula combaciasse con la vita, che la vita sarebbe sostanziata dall’opera “spontanea” delle masse, ma sempre secondo una formula.
Queste parole, come rinoceronti e mammut fossilizzati, si affastellano oggi nella Russia, e sono tante! “Opera spontanea delle masse”, “potere locale”. E l’ittiosauro: “pace senza annessioni né riparazioni”. Ma i bambini ridono dei mostri crepati e non ancora marciti.
Gorkij fu un bolscevico sincero.
Da Viaggio Sentimentale, De Donato editore, Bari, 1966, pp.228-230.
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