Ardengo Soffici, Contadini toscani (1907) |
Nel 1999 le Edizioni di Storia e Letteratura di Roma in collaborazione con la Fondazione Primo Conti di Fiesole pubblicarono per la cura di Mario Richter il secondo volume degli scambi epistolari Soffici-Papini (Giovanni Papini - Ardengo Soffici, Carteggio (1909-1915)). Sul mensile “Poesia” n.138 dell’aprile 2000 Silvio Ramat recensì il libro, ricordando il contesto storico (è il tempo de “La Voce”, del futurismo e dell’interventismo), ma più ancora quello psicologico e sottolineandone alcune bellezze (per esempio il racconto di Picasso, o di Medardo Rosso, che Soffici, pittore, fa da Parigi). I due “fratelli”, come amano chiamarsi, si scambiano anche poesiole private di cui la rivista pubblica un campione, tra cui tre sonetti autografi di Papini, recuperati dall’Archivio Soffici e senza data, collocabili nel 1909. Ne trascrivo uno dal titolo La buona educazione, in cui Papini scherza sui suoi modi scorbutici, sintomatico di un lento e inesorabile rientro nell’ordine. Qualche anno prima, al tempo di “Leonardo” (1904-1905), Papini amava definirsi un “un teppista”, uno che ai benpensanti rompeva vetri e coglioni; ora si limita a protestare contro gli eccessi e le ipocrisie del galateo. Non trasgredisce però la grammatica: “qual’è” con l’elisione e l’apostrofo, a quel tempo, coi nomi femminili era concesso. (S.L.L.)
Giovanni Papini |
Ma cosa sono questi complimenti,
questi saluti, inchini e baciamani,
questi uggiosi e vigliacchi infingimenti
buoni per donne, schiavi e cortigiani?
E io dovrei badar tutti i momenti
a questi gesti così buffi e strani?
Piuttosto che aver certi rompimenti
vado a star tra i bifolchi maremmani!
Sa’ tu qual’è la vera educazione?
aver sempre la faccia franca e onesta
e campar senza inganno né finzione.
Se a uno gli vo’ bene gli fo festa
ma poi vo innanzi a tutte le persone
a spalle ritte e col cappello in testa.
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