Un brano dall’autobiografia di Trotzkij, una digressione collocata durante il racconto del drammatico 1917, quando il rivoluzionario è in giro per il mondo. Parla dei suoi figli, del loro peregrinare al seguito dell’esule, del loro imparare e disimparare, un racconto emozionante. (S.L.L.)
La capacità di adattamento dei bambini non ha limiti. Siccome a Vienna eravamo vissuti in un quartiere operaio i nostri ragazzi sapevano benissimo oltre al russo e al tedesco anche il dialetto viennese. Il dottor Alfred Adler diceva che parlavano viennese come un buon vetturino di piazza. Nella scuola di Zurigo dovettero adattarsi al dialetto zurighese che nelle prime classi era lingua d’istruzione. Vi si insegnava il tedesco come una lingua straniera. A Parigi essi passarono al francese e in pochi mesi impararono perfettamente la lingua. Molte volte li invidiai per la disinvoltura con cui parlavano. In Spagna e sul piroscafo non avevano passato neanche un mese intiero. Ma era bastato perché si appropriassero delle parole e delle frasi più comuni. A New York infine frequentarono per due mesi una scuola americana e parlarono un inglese alla buona. Dopo la rivoluzione di Febbraio sarebbero andati a scuola a Pietrogrado, ma la loro non era stata una vita scolastica regolare; così le lingue straniere svanirono dalla loro memoria in meno tempo di quanto non avessero impiegato per entrarci. Essi tuttavia parlavano il russo come stranieri. Spesso scoprivamo con stupore che la loro sintassi russa era un’esatta traduzione dal francese. Però in francese non riuscivano più a costruire le proposizioni. Nel cervello dei ragazzi era impressa quindi, come su un palinsesto, la storia delle nostre peregrinazioni.
Da Leone Trozkij La mia vita, Mondadori, 1961 (prima edizione 1930).
Da Leone Trozkij La mia vita, Mondadori, 1961 (prima edizione 1930).
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