Domenica scorsa, 17 luglio 2011, in una intervista a “La Stampa”, a spiegare la sentenza del giudice del lavoro di Torino sul contratto separato Fiat a Pomigliano d’Arco era il giuslavorista Pietro Ichino, deputato Pd che fu (insieme all’industriale Calearo, oggi punta di lancia dei cosiddetti responsabili e consigliere personale di Berlusconi) la ciliegina sulla torta nella lista predisposta da Veltroni. L’omino aveva avuto un quarto d’ora di celebrità per un suo libretto contro i pubblici dipendenti, intitolato I nullafacenti, dalla cui protervia qualunquistica – credo – sono scaturite alcune delle trovate e delle invettive del ministro Brunetta. Il piccolo focoso berlusconista – del resto - come Ichino ha bazzicato a lungo l’Ufficio Studi della Cgil e pertanto come lui soffre della sindrome del rinnegato, che obbliga a rinnovare l’abiura con ripetuti attacchi e contumelie. Tutta l’intervista è pertanto tesa a spiegare che, in sostanza, il giudice ha dato torto alla Fiom e alla Cgil e che la condanna alla Fiat per comportamento antisindacale è elemento marginale e ininfluente della sentenza.
Sarà, ma intanto Marchionne usa la sentenza per congelare gl’investimenti promessi per la “Fabbrica Italia”; dice: “Voglio vederci chiaro”.
Sarà, ma intanto Marchionne usa la sentenza per congelare gl’investimenti promessi per la “Fabbrica Italia”; dice: “Voglio vederci chiaro”.
Ichino invece non ha dubbi, nel suo trionfalismo da tifoso dichiara: “Credo che alla Fiat, e a Film, Uilm e Fismic, interessasse più che la parte della sentenza relativa ai diritti sindacali, la parte relativa alla validità dei nuovi contratti... Per questo parlerei più di un 2 a 1 che di un pareggio”.
Una battuta da grand’uomo, degna di passare alla storia. Da ora in poi lo chiameremo Pietro Ichino Due a Uno. C’è anche una suadente assonanza.
Una battuta da grand’uomo, degna di passare alla storia. Da ora in poi lo chiameremo Pietro Ichino Due a Uno. C’è anche una suadente assonanza.
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