Armadillo. La "strana allegria delle prede". |
Che cosa lega il saluto pubblicitario di Mike Bongiorno all’Allegria di Giuseppe Ungaretti? Proprio nulla, se solo ricordiamo che il titolo originario di quell’opera, scritta nelle pause della guerra di trincea, è Allegria di naufragi. A meno che non pensiamo di poter rintracciare dietro la faccia tirata a lucido del vecchio superstite della nostra giovinezza televisiva i segni di un personale naufragio, tra rughe cancellate e tinture di capelli assolutamente incredibili. E non conta poi molto se lui stesso non se ne rende conto e se è a sua insaputa che quel suo famoso augurio assume un suono così sinistro. Nell’Allegria di Ungaretti invece c’è la piena consapevolezza - accentuata e resa evidente e necessaria dalla guerra, dalla concreta e quotidiana presenza della morte - che lo slancio vitale, irreprimibile, si confronta costantemente con il dato che “tutto è naufragio, tutto è travolto, soffocato, consumato...”; e, insieme, “la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione” (sono le parole del poeta, che molti anni dopo ripensa alla “stranezza” di quel suo primitivo, ossimorico titolo). E dopo Ungaretti confessiamo che non riusciamo più a concepire un senso di esultanza, di entusiasmo, di allegria se non legato a questa consapevolezza del naufragio: e non, sia chiaro, per togliere qualcosa alla pura gioia dell’attimo, ma se mai per aggiungervi un valore, una profondità. Per questo, probabilmente, non ci rallegra e non ci commuove l’appello all’allegria del vecchio marpione televisivo.
Adesso appare questo piccolo miracolo poetico che è Storie dell’armadillo di Fabio Pusterla: dico “piccolo” perché si tratta di una preziosa, minuscola pubblicazione in poche copie numerate e senza indicazione di prezzo; il lettore appassionato di poesia dovrà pazientare ancora un po’, finché questo splendido frammento confluirà - ne sono certo - nel prossimo libro di poesia di Pusterla, a normale diffusione editoriale. Questo poemetto ci racconta la storia di una creatura che vive e muore “con la strana allegria delle prede”: un’allegria, come quella di Ungaretti, in cui ci rispecchiamo. Lo spunto viene da una notizia secondo la quale l’armadillo sarebbe giunto in terra americana su di una nave casualmente naufragata al largo della Florida. Lì l’animale si sarebbe perfettamente adattato e avrebbe poi intrapreso la sua lenta marcia verso il nord (circostanza confermata da una curiosa legge dello stato del Maine che vieta di possedere armadilli). E l’armadillo “Va perché va,/ perché bisogna andare, perché il mondo/ è grande, il tempo breve...”. C’è da imparare da questo “piccolo animale coraggioso”, che “ora procede, un passo dopo l’altro.
Quasi allegro”. E va verso la sua morte, dopo aver dato però un senso al suo andare: “... i miei passi vaghi/ vanno da qualche parte, queste tane che scavo/ serviranno anche ad altri, con un po’ di fortuna”. Quando è afferrato scoppia a ridere e non solo perché soffre di solletico nel molle ventre, sotto la coda: “Ride l’armadillo mentre mani/ lo trascinano indietro, verso morte o prigionia, verso il fatidico/ bastone che lo attende”. Ride per tutte le cose ridicole che lo sovrastano: l’odio, la violenza, la brama. Potremmo attribuire all’armadillo un pensiero, una speranza che è stata nostra: una risata vi seppellirà. Non è un caso che queste poesie siano nate a contatto con “l’entusiasmo” di ragazzi di una quinta elementare; a noi torna alla mente Leopardi: “Garzoncello scherzoso,/ Cotesta età fiorita/ È come un giorno d’allegrezza pieno,/ Giorno chiaro, sereno...”, dove è già pronta a scattare la trappola. Come dirà Kafka: “La vera via corre su una corda che non è tesa in alto, ma rasoterra. Sembra destinata più a far inciampare che a essere percorsa”. L’importante sarebbe inciampare conservando un po’ d’allegria.
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