Nella rubrica Parole in corso di “Tuttolibri”, il supplemento culturale de “La Stampa” il 28 maggio 2011 Gian Luigi Beccaria sotto il titolo Leggere rende liberi procede a un convincente elogio della lettura e all’ostilità originaria del potere (di ogni potere arbitrario) verso i libri. Scrive tra l’altro: “Leggere è progredire. Restif de la Bretonne (1734 - 1806) consigliava di vietare la lettura (e la scrittura) alle donne per limitare loro l’uso del pensiero, circoscrivendolo alle faccende di casa. I proprietari di schiavi temevano che i neri scoprissero, nei libri, idee rivoluzionarie che avrebbero minacciato il loro potere, i padroni delle piantagioni impiccavano gli schiavi colpevoli di aver tentato di insegnare gli altri a leggere, i proprietari delle haciendas messicane (ce lo racconta Carlos Fuentes, in Un temps nouveau pour le Mexique) accoglievano i primi maestri a coltellate, rispedendoli alla capitale dopo averli sfregiati in viso. Nel 1981 in Cile venne proibito il Don Quijote dalla Giunta militare: Pinochet riteneva contenesse un’apologia della libertà individuale e un attacco contro la libertà costituita”.
Ma è un altro brano del suo scrivere quello che ci riconduce agli orrori dell’oggi: “Borges diceva che il vero mestiere dei monarchi è stato quello di costruire fortificazioni e incendiare biblioteche. La storia è difatti un elenco infinito di roghi di libri. L’ultimo è dell’aprile 2003, quando fu saccheggiata la Biblioteca Nazionale di Baghdad, i roghi distrussero l’Archivio nazionale dell’Iraq, 10 milioni di documenti storici ottomani dal valore incalcolabile andati in fumo, gli antichi archivi reali dell’Iraq ridotti in cenere. Con questo incendio l’identità culturale dell’Iraq è stata cancellata. Non si aveva memoria di un simile saccheggio dai tempi dei Mongoli, da quando nel 1258 i cavalieri di un discendente di Gengis Khan erano entrati a Bagdad e avevano gettato tutti i libri nelle acque del Tigri. Tutte storie di immani violenze che si leggono nel libro di Fernando Báez, Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla storia in Iraq, Viella, 2007”.
Ma è un altro brano del suo scrivere quello che ci riconduce agli orrori dell’oggi: “Borges diceva che il vero mestiere dei monarchi è stato quello di costruire fortificazioni e incendiare biblioteche. La storia è difatti un elenco infinito di roghi di libri. L’ultimo è dell’aprile 2003, quando fu saccheggiata la Biblioteca Nazionale di Baghdad, i roghi distrussero l’Archivio nazionale dell’Iraq, 10 milioni di documenti storici ottomani dal valore incalcolabile andati in fumo, gli antichi archivi reali dell’Iraq ridotti in cenere. Con questo incendio l’identità culturale dell’Iraq è stata cancellata. Non si aveva memoria di un simile saccheggio dai tempi dei Mongoli, da quando nel 1258 i cavalieri di un discendente di Gengis Khan erano entrati a Bagdad e avevano gettato tutti i libri nelle acque del Tigri. Tutte storie di immani violenze che si leggono nel libro di Fernando Báez, Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla storia in Iraq, Viella, 2007”.
La denuncia è forte e condivisibile e tuttavia c’è il rischio di un fraintendimento: si potrebbe pensare che la distruzione e il saccheggio della Biblioteca e dell’Archivio di Bagdad siano legato al potere monarchico del rais irakeno cui si attribuiva tutto il male del mondo e che fu poi orribilmente impiccato. Così non è: Saddam Hussein, finché poté, protesse con scrupolo e impegno i tesori librari della sua nazione e quegli incendi, quei saccheggi vanno invece annoverati tra gli effetti collaterali della guerra americana, esattamente come oggi la distruzione del patrimonio archeologico della Libia e in particolare di Leptis Magna non va messa a carico del colonnello Gheddafi ma dei suoi democratici bombardatori.
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