L'articolo che segue, del
1993, è insieme recensione di un libro sulla Pechino degli anni 50,
prima ancora della Rivoluzione culturale, e rievocazione di un caso
di censura editoriale. (S.L.L.)
"Le forme si
dissolvono". Sono le forme della vecchia Cina, raccontata da
Edoarda Masi, maoista della prima ora, sinologa e insegnante
all'Istituto orientale di Napoli. Nel 1957, poco più che trentenne,
ottenne una borsa di studio per un soggiorno di un anno a Pechino. Ne
venne fuori un diario in cui l'autrice, oltre a narrare la vita nel
campus e l'esperienza scolastica, si soffermava sulla condizione
degli intellettuali - docenti, studenti e scrittori - sottoposti al
sospetto e alla repressione della nomenklatura cinese. Era il tempo
della cosiddetta campagna contro gli elementi di destra: la grande
apertura politica e culturale seguita ai fatti di Ungheria metteva in
crisi la burocrazia, che cominciò a escogitare soluzioni di
trasferimento dai centri intellettuali verso i campi periferici della
fatica manuale. Edoarda Masi e i due compagni italiani che la
affiancarono nell'avventura pechinese, furono i primi studenti
approdati in Cina dall'Europa occidentale dopo il 1949. L'esperienza
fu sconvolgente, tanto più per chi, come loro, aveva cullato il
sogno maoista come la possibile alternativa tra il socialismo
sovietico e il capitalismo rampante occidentale. Ma intanto si
allungavano le liste di nomi con fregi rossi e oro affisse agli albi
dell'Università , erano i nomi dei "xiafang",
coloro a cui l'amministrazione centrale imponeva, come malcelata
punizione, l'immersione "nella base" proletaria. Senza
questa premessa non sarebbe possibile spiegare la bocciatura che il
diario di Edoarda Masi subì, al ritorno in Italia dell'autrice,
presso un editore come Einaudi.
Se si aggiunge che il
libro viene pubblicato solo adesso da Feltrinelli, con il titolo
Ritorno a Pechino (pagg. 205, lire 30.000), non si può negare
che siamo di fronte a un caso insolito nell'editoria italiana. Che
cosa accadde dunque nel lontano 1958, quando Edoarda Masi decise di
affidare il suo diario all'autorità di Franco Fortini? Accadde che
Fortini, consulente della casa editrice torinese, sottopose il
manoscritto al comitato editoriale, sollecitandone la pubblicazione.
Si formarono subito due schieramenti: quello, minoritario, di Fortini
e Raniero Panzieri (che sarà, dopo la militanza socialista, il
fondatore dei "Quaderni rossi") e quello "istituzionale".
I nomi che aderirono a quest'ultimo fronte sono arcinoti e nel 1958
dovevano essere più o meno gli stessi di quelli che cinque anni dopo
avrebbero rifiutato l'inchiesta di Goffredo Fofi sugli immigrati
meridionali a Torino: da Bobbio a Bollati, da Calvino a Davico, a
Venturi, a Vivanti, allo stesso Giulio Einaudi, ai più
"possibilisti" (almeno nel caso Fofi) Mila, Solmi, Strada.
Edoarda Masi commenta, nel primo capitolo di Ritorno a Pechino,
la tormentata vicenda editoriale del suo diario: "fu bloccato da
alcuni intellettuali Pci: da un pezzo avevano smesso di credere che
'la verità è rivoluzionaria'. O forse lo credevano e proprio per
questo la temevano".
Non è difficile intuire
le ragioni del rifiuto, visto che il libro avrebbe offerto
un'immagine della Cina poco allineata rispetto alle idee circolanti
nella sinistra europea. Fatto sta che Edoarda Masi rinunciò del
tutto a pubblicare il suo diario: "Sapevo che, nelle condizioni
imposte dalla guerra fredda, dare quel testo a un editore
anticomunista avrebbe significato passare dall'altra parte del
fronte. Decisi di condurre la mia critica per altre vie. Seguii il
consiglio di Panzieri, trattare in forma saggistica il tema della
Rivoluzione cinese - approfondire la problematica che essa rivelava e
imponeva al mondo, con le sue contraddizioni manifeste e gli esiti
drammatici". "Le forme si dissolvono", dunque.
Nel capitolo iniziale di
Ritorno a Pechino (che curiosamente esce ora come il Diario
1960 di Fofi) la palude cinese viene rivisitata a trent'anni da
quel primo viaggio: "la vecchia Cina resta come folklore
impoverito o monumento archeologico museizzato, sempre più scisso
dal presente... Gente smarrita, privata di identità e di speranza,
che fa le cose per imitazione. Dietro la maschera, sembra il vuoto".
Ma nel suo nucleo centrale, il diario (in terza persona) ha
l'andamento del romanzo, in cui al di là degli incontri
semiclandestini con gli studenti del posto e tra le appassionate
discussioni e riflessioni politiche, affiorano i paesaggi, le luci, i
pomeriggi invernali, le notti fredde, i sentieri di fango, le
botteghe dell'antiquariato, i cieli senza luna che coprono la città.
Corriere della Sera, 29
aprile 1993
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