Renato Curcio |
Il primo episodio di
lotta armata a sinistra è del 5 ottobre 1970: sequestro
dell’imprenditore Gadolla, a Genova, a opera del gruppo XXII
Ottobre (dal giorno della data di fondazione, nel 1969, per
iniziativa di giovani - come il leader Mario Rossi - iscritti o
provenienti dal Pci). I primi gruppi clandestini sono del 1969. Il
contesto nel quale matura la lotta armata risale ai primi mesi di
quell’anno, dopo gli scioperi (metalmeccanici, edili, chimici) per
i contratti e le tensioni sociali che percorrono tutto l’anno,
conclusosi con la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969). Tale
lotta si manifesta con continuità sino a metà febbraio del 1982,
con lo smantellamento delle Brigate Rosse dopo il sequestro Dozier (i
superstiti delle Br ne dateranno la «ritirata strategica»): una
dozzina d’anni di lotta armata di sinistra sono un fatto unico nel
panorama europeo (le guerriglie basca e irlandese sono altri e
diversi fenomeni).
Tale durata è dovuta a
due ragioni: un parziale insediamento sociale da un lato; e,
dall’altro, la strumentalizzazione da parte di soggetti
dell’establishment, interessati al perdurare di una
situazione di instabilità che sarebbe dovuta sfociare in una
stabilizzazione politica moderata; risultante, tuttavia, di difficile
conseguimento, nelle varie fasi dell’intero periodo.
In questo contesto, fra
tutti i gruppi armati sono le Br a esprimere una continuità che ha
una doppia valenza: da un lato, la più che decennale difficoltà
nell’applicazione di quel progetto di stabilizzazione; dall’altro,
la capacità dell’organizzazione di durare per l’intero periodo,
a partire dai primi volantini con la firma al singolare («Brigata
rossa», nell’aprile 1970, soprattutto nel quartiere popolare
milanese del Lorenteggio, particolarmente nell’anniversario della
Liberazione, il giorno 25) sino al citato febbraio del 1982. Da
allora, per oltre un ventennio, la lotta armata ha continuato a
gravare, come un’ombra, sulla politica, per i misteri non chiariti,
per le polemiche non sopite, per qualche attentato lungo gli anni
Ottanta, sino a ricomparire, in forma sporadica con gli omicidi
D’Antona (maggio 1999) e Biagi (marzo 2002).
In una forma o
nell’altra, come realtà o come preoccupazione, la lotta armata si
presenta come un fenomeno che investe oltre un terzo di secolo della
storia italiana. Un fatto unico, ancora una volta, in Europa e in
Occidente, che sembra perdurare oltre eventi epocali, che cambiano il
mondo, dall’implosione del sistema imperiale sovietico, alla
globalizzazione, all’11 settembre 2001, quando sembra lontanissimo
quell’Estate 1969 (titolo di un opuscolo di Giangiacomo
Feltrinelli, edito nel luglio di quell’anno) nel quale si legge di
«definitivo tramonto non solo del revisionismo, ma anche
dell'ipotesi che si possa compiere una rivoluzione socialista senza
la critica delle armi».
Si può considerare,
questa, la prima enunciazione della inevitabilità della lotta armata
per la «rivoluzione socialista» una prospettiva per il futuro che
(...) riceve un’accelerazione dalla strage di piazza Fontana,
interpretata come una conferma dell'altro saggio di Feltrinelli
Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia,
pubblicato nell'aprile 1968 e poi, con lievi modifiche, nel n.III del
periodico «La sinistra».
L’influenza della
strage sull'evoluzione del Collettivo politico metropolitano,
incubatrice delle future Br, è descritta da Renato Curcio, uno dei
fondatori di entrambi: «Nel Collettivo, con sede in un vecchio
teatro in disuso in via Curtatone, si cantava, si faceva teatro, si
tenevano mostre di grafica. Era una continua esplosione di giocosità
e invenzione. Con la strage il clima improvvisamente cambiò» (... )
Curcio fermato già il
pomeriggio di piazza Fontana, ben conosciuto e rilasciato senza
neanche essere interrogato, è il segno che gli apparati di sicurezza
stanno seguendo la situazione; il salto dal Collettivo all’ipotesi
di lotta armata testimonia di un suo parziale ma esistente
insediamento sociale. Sono, come già detto, i due fattori che
intrecciandosi formano la chiave interpretativa del terrorismo
nostrano, e che, da piazza Fontana in poi, accompagneranno la storia
delle Br.(...)
Ma la lotta armata delle
Br non comincia, «oggi e qui» (...) Occorrerà attendere il
settembre successivo. Le precedono i Gap di Feltrinelli. Già
ricercato, egli lascia l'Italia. Si succedono vari commenti sulla sua
clandestinità, come nel caso dell'Espresso che, in un articolo di
inizio gennaio '70, gli muove una severa critica: «Da 26 giorni la
polizia lo sta cercando. Il suo dovere sarebbe quello di presentarsi
davanti a un magistrato o davanti al questore di Milano, chiarendo
così la sua posizione. C'è chi dice che rifiuta questa soluzione
per il prepotente desiderio di giocare alla rivoluzione. Sarebbe
un'inclinazione assurda e anche pericolosa». (...)
Feltrinelli non si
presenta, assume in clandestinità il nome di Osvaldo Ivaldi (che era
stato di Giovanni Pesce, non si sa «se gli fosse venuto per caso o
l’avesse fatto apposta»). Pensa a basi di guerriglia in Sardegna
(si parla di contatti col romantico bandito Graziano Mesina) e
sull’Appennino, tra Emilia e Liguria; e intanto i suoi Gap,
organizzati da Giuseppe Saba, incendiano a Genova la sede del Psu
(Partito socialista unificato, erede di Saragat) il 24 aprile
(anniversario dell’insurrezione della città contro i tedeschi) e
la sede del consolato degli Stati Uniti (3 maggio). Curcio ricorda
che in quel periodo «una certa “presenza armata” cominciava a
farsi strada nel movimento e spuntavano i primi gruppi armati: come
il XXII ottobre a Genova e i Gap di Feltrinelli». Il quale, nel
numero di luglio del suo mensile “Voce comunista” (che, non a
caso, riprende la testata del giornale della federazione milanese del
Pci degli anni Cinquanta) scrive o fa scrivere: «L’attacco
irregolare (guerra di guerriglia, lotta di popolo) delle avanguardie
armate del proletariato (è parte) dell’esercito internazionale del
proletariato (con) avanguardie strategiche rivoluzionarie (Asia,
Africa, Sudamerica), il grosso delle forze dell’esercito
rivoluzionario (Vietnam e Corea del Nord), la prima riserva
strategica rivoluzionaria (Cina) e il grosso della riserva strategica
rivoluzionaria, la gloriosa Armata rossa dell’Urss e gli eserciti
del Patto di Varsavia».
Si tratta di una visione
che omogeneizza il quadro militare, in realtà molto più variegato,
di quello che allora si definiva «campo del socialismo» e che il
movimento nato dal «Sessantotto» valutava in modo assai più
critico, così come i fondatori delle Br in formazione (Curcio,
Giorgio Semeria, Margherita Cagol da Trento; Alberto Franceschini,
Tonino Paroli e Prospero Gallinari, usciti dalla federazione
giovanile comunista di Reggio Emilia). Trascorre l’estate del 1970,
caratterizzata da un sistema politico instabile, dopo le elezioni
regionali, col Psi ondeggiante tra centrosinistra e alleanza col Pci;
e ottanta delegati di «Sinistra proletaria» si trovano a Pecorile
(sull’Appennino reggiano), per prendere decisioni che lo stesso
Curcio così riassume: «C'era l'esigenza urgente di risolvere le
contraddizioni che erano maturate dentro la Sinistra proletaria dove
gli orientamenti divergevano in modo ormai insanabile (con) la
discussione sulla necessità di passare a nuove forme di lotta più
incisive e clandestine. Una scelta alla quale Margherita,
Franceschini, io e qualche altro compagno eravamo decisamente
favorevoli. Nessuno di noi prese la parola, in mezzo all’assemblea
di ottanta persone, proponendo di passare alla lotta armata; ma tra
alcuni gruppetti ristretti di compagni il tema che circolava era
quello.
Parlammo invece
apertamente della trasformazione del servizio d’ordine in un nucleo
bene organizzato (ma) non con armi da fuoco. Allora si usavano ancora
le molotov, i bulloni, le spranghe. In quel momento il contenuto
concreto della cosiddetta «lotta armata» era modestissimo (...)».
In realtà, il richiamo
alla Resistenza era presente. Le prime armi di Franceschini furono
due pistole dategli da un partigiano (una era una Luger sottratta a
un ufficiale tedesco). Era un richiamo fatto proprio dai Gap di
Feltrinelli, che fonda in piazza Tirana, a Milano, la brigata
gappista Valentino Canossi (un operaio morto sul cantiere, 2
settembre 1970): il gruppo compie un attentato proprio in un cantiere
edile e il 24 ottobre il terzo numero del «foglio di lotta» Il
partigiano gappista minaccia gli imprenditori edili: «Ogni nuovo
morto sui cantieri, ogni lavoratore assassinato sarà vendicato».
L’editore manteneva
contatti coi vari gruppi, allora contigui alla lotta armata, o che ne
discutevano: Lotta continua, Potere operaio, Br (un cui periodico si
chiamava comunque Nuova Resistenza): Feltrinelli intendeva «creare
un Esercito Popolare di Liberazione («Epl - Comunismo e libertà -
Vittoria o morte»), espressione del Fronte popolare di liberazione»,
pur «mantenendo la peculiarità delle specifiche organizzazioni». E
«nel gennaio 1971 Fioroni e Feltrinelli si incontrarono di nuovo,
insieme ai dirigenti di Potere operaio e di Lotta continua, a un
convegno indetto per una possibile unificazione delle due
formazioni». Questa situazione, tra l’autunno ’70 e l’inizio
del ’71, conferma la chiave interpretativa tratta dal 12 dicembre:
Carlo Fioroni è un personaggio ambiguo, forse già allora
controllato dai servizi; il nascente partito armato è sotto
osservazione (come Curcio un anno prima); il progetto di Feltrinelli
abortirà e la sua morte potrebbe segnare la fine della sola
organizzazione che promuove la lotta armata, le Br, il cui primo
attentato (17 settembre 1970) consiste nel bruciare la macchina di un
dirigente -Giuseppe Leoni - della Sit-Siemens (la futura Italtel),
una fabbrica che con la Pirelli e l’Alfa Romeo è una di quelle
nelle quali il partito armato ha insediamento sociale.
Al di là di questa
chiave interpretativa e delle conseguenze della sua morte, il
fallimento del progetto di Feltrinelli (vi possono aver concorso
infiltrati nelle varie organizzazioni extra-parlamentari?) pone un
problema di fondo nell’analisi della lotta armata: in quale
rapporto si dava con l’ipotetica rivoluzione italiana. L’inno di
Lotta continua parlava di«lotta di lunga durata/lotta di popolo
armata/lotta continua sarà». Carlo Feltrinelli (nel libroSenior
Service, ndr) si pone domande e tenta risposte proprie partendo da
quel fallimento. «Ma se la piattaforma strategica proposta (da
Feltrinelli) non verrà mai sottoscritta è perché le differenze
sono più d’una (cromosomi? ’’generazione”? tattica?
autofinanziamento?). Per dirla con Prospero Gallinari, potevano
essere “due concezioni della lotta di classe in atto”, l’una
con una definizione offensiva, l’altra con una definizione
difensiva. Lo schema sarebbe questo: per le Br la costituzione del
partito armato presuppone una lotta di lunga durata, un processo
graduale (alla cinese?) per arrivare al cuore dello Stato. Nel
frattempo: accumulare consenso con la “propaganda del fatto” e
demonizzare il nemico. Nel “terzomondismo» di Feltrinelli
l’analisi è diversa: l’involuzione della democrazia italiana
suggerisce una prospettiva immediata che deve unire le forze in
campo, invitando a partecipare una parte del Pci”. La struttura
militare assume il peso della guerriglia “fuochista”. Per il
brigatista Franceschini la vera differenza tra Br e Gap è proprio
una questione di tempistica: “Feltrinelli era l’unico a pensare
alla rivoluzione in termini contestuali, ora o mai più”. Vittoria
o morte: la Rivoluzione è in pericolo, chi può salvarla?».
Postilla
Lo stralcio dal capitolo iniziale qui
ripreso fu pubblicato come anticipazione su “l'Unità”, il 9
aprile 2004.
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