Siamo ormai in molti a
sostenere (suscitando, ovviamente, non poche opposizioni e pareri in
contrario) che a metà del secolo scorso, negli anni Cinquanta e
Sessanta, c'è stata, nella storia dei paesi a capitalismo avanzato,
una frattura, un grande salto epocale, che ha trasformato
radicalmente i rapporti economici tra i soggetti in campo, i modi
della produzione, le tecniche della distribuzione e della
comunicazione, le abitudini e concezioni di vita, le culture, i
nostri immaginari. Il quadro della periodizzazione storica ne è
uscito trasformato: un primo lungo periodo, iniziato con il salto
epocale della «modernità» tra Sette e Ottocento, proseguito nel
secolo «breve» del Novecento (nel quale va a ricollocarsi anche la
rivoluzione freudiana) e un secondo periodo, inaugurato dopo la metà
del Novecento, a cui abbiamo convenuto di dare il nome di
«postmodernità».
Di fronte a un
cambiamento di tale portata, che ha avuto conseguenze profonde sui
nostri modi di pensiero, sulla nostra percezione del tempo e dello
spazio, sul nostro stesso essere e atteggiarci nel mondo, e che ha
provocato grandi trasformazioni in gran parte dei nostri paradigmi
culturali, come si pone la psicoanalisi? E’ un interrogativo al
quale sono già stato sollecitato a rispondere in occasione
dell’uscita di un numero speciale della rivista «Psiche»
intitolato Il secolo della psicoanalisi che fu seguito da una
pubblica discussione, a Padova.
La constatazione di un
fatto storico di grande rilievo, da sola rende vacue tutte le
operazioni che ragionano in termini di «centenario», di «secolo
della psicoanalisi», e simili. Non c’è dubbio, mi pare, che la
psicoanalisi, come movimento di pensiero e ambizioso progetto di
liberazione della vita umana dal dolore e della civiltà dai suoi
traumi originari e dalle sue persistenti storture, sia stata una
delle espressioni più autentiche della ’modernità’, non a caso
nata in quello straordinario laboratorio che è stata Vienna (accanto
a Parigi e Londra, e in gara con esse) all’inizio del Novecento.
Il soggetto che viene
posto al centro del lavoro analitico è, per ipotesi e per
definizione, un soggetto modernamente forte, nonostante le interne
lacerazioni e frammentazioni provocate da pulsioni profonde e da
repressioni e censure provenienti le une e le altre da elementi
strutturalmente e conflittualmente costitutivi della sua stessa
soggettività. Il soggetto si pone come obbiettivo di comprendere
quelle pulsioni e censure e trovare un equilibrio su un piano di
forza e maturità superiore. La storia di sé che costruisce si
presenta certamente sotto la forma di un modello narrativo lineare e
totalizzante, quella che, con il linguaggio di Lyotard, possiamo
chiamare una «grande narrazione» e che molte delle filosofie ed
epistemologie contemporanee hanno messo in discussione. Possiamo
anche aggiungere che mentre la psicoanalisi, nel corso di questo
secolo, si è consolidata come pratica clinica, ha prodotto un
ventaglio molto ampio di scuole, saperi, riforme e controriforme, ha
offerto modelli di metodo interpretativo e nuclei di conoscenza a una
quantità di altre discipline, tuttavia sembra non avere realizzato
sino in fondo il suo obbiettivo più ambizioso: quello di contribuire
(al pari di altri grandi slanci e progetti della modernità) a un
reale avanzamento della ’civiltà’ umana. Come per quegli altri
progetti, lo slancio è rimasto sospeso a mezz’aria. E ora, anche
per la psicoanalisi si pone il problema se sia possibile recuperare
quello slancio e quei progetti rimasti in sospeso, e in che modo,
dentro la nuova condizione che ci è data.
Certo, bisogna
riconoscere che la psicoanalisi, proprio perché così fortemente
connotata e radicata nella modernità, ha conservato intatto un suo
nucleo forte di impegno epistemologico e conoscitivo. Investita, come
gran parte delle altre attività e discipline, dai processi di
mercificazione che hanno largamente trasformato la nostra cultura
(provocando, appunto, una sua riduzione a merce) ha ceduto molte
frange e accettato qualche compromesso, ma molti ne ha rifiutati; nel
complesso ha resistito bene.
Il soggetto che ora
l’analista ha di fronte non è più lacerato o frammentato, forse
neppure più stratificato come con metafora archeologica sosteneva la
psicoanalisi classica, forse neppure sdoppiato e contraddittorio come
con una metafora matematicologica e biologica sosteneva Ignacio Matte
Bianco. È un soggetto debole e sfuggente, ha molto meno profondità
e spessore, sembra quasi appiattito sulla sua superficie, che diventa
per lui come un sottile specchio in cui si contempla come Narciso; è
immesso in una rete di esperienze e percezioni veloci e multiformi,
anch’esse deboli e passeggere. Anche il suo corpo è cambiato: è
un aggregato di parti che fanno capo ciascuna a una medicina e una
cosmesi diversa e specializzata, sostituibili attraverso i trapianti,
manipolabili e modificabili attraverso la chirurgia plastica. Il suo
corpo può ogni giorno prendere una forma diversa, assumere un look
secondo la moda o la bizzarria del suo proprietario. Il mercato dei
corpi e delle cliniche che li manipolano li trasforma in un insieme
scoordinato di protesi e feticci. I gabinetti di ricerca delle
industrie farmaceutiche, quelli più artigianali che producono le
sostanze stupefacenti, mettono a disposizione del corpo pillole
miracolose che trasformano le sue sensazioni, controllano le sue
euforie e depressioni.
Le trasformazioni nel
modo della produzione e nei rapporti fra produzione e consumo hanno a
loro volta cambiato in forma radicale il mondo del lavoro e le forme
dell’alienazione, e anche il rapporto tra lavoro e tempo libero: il
nuovo soggetto, in molti dei lavori che fa (compresi quelli sempre
più numerosi e differenziati appartenenti al terziario, alla
comunicazione, all’intrattenimento, all’industria culturale)
appare al tempo stesso molto più direttamente coinvolto nel processo
della produzione e molto più isolato e parcellizzato dentro una rete
ampia e inafferrabile di rapporti impalpabili, dentro una microfisica
di relazioni, dati ed elaborazioni immateriali. Inoltre, il rapporto
del nuovo soggetto con le strutture di potere (quelle della famiglia,
quelle sociali) è anch’esso dominato da forze incontrollabili ed
eterodirette. Il potere, secondo la diagnosi di Foucault, ci produce
e però è sempre fuori dalla nostra presa: la metafora che esprime
questa improvvisa mancanza di punti di orientamento e di presa è
quella dell’impressione che non sia il cane a muovere la coda, ma
la coda a muovere il cane.
La storia si riduce, per
questo nuovo soggetto umano, a un perpetuo presente, senza gli
insegnamenti del passato e senza le speranze del futuro. È, per
usare l’espressione di Althusser, «un processo senza soggetto».
La vita di relazione, quella degli affetti, ne risulta trasformata.
Le ideologie, che erano anch’esse, nella loro forte capacità
strutturante dei comportamenti individuali e collettivi, una delle
caratteristiche principali della modernità, non sono, come spesso si
sente dire, «finite», ma sono state sostituite da un’unica
ideologia uniformante, omologante, potentemente silenziosa:
l’ideologia della fine delle ideologie.
Ebbene, mi domando, può
la psicoanalisi continuare a usare i suoi strumenti interpretativi e
a praticare i suoi obbiettivi di decifrazione, ricostruzione,
reintegrazione nella vita di relazione di un soggetto che vive in
questa nuova condizione? Detto altrimenti: è possibile che degli
strumenti di analisi creati, messi a punto e affinati per operare in
una determinata condizione storico-sociale, vengano applicati a una
situazione storico-sociale radicalmente diversa?
In favore di una risposta
positiva stanno due considerazioni: 1) quegli strumenti costituiscono
un modello euristico forte ma anche molto flessibile, come è
dimostrato sia dalle esperienze del maestro viennese, che ha
proceduto continuamente per ripensamenti, revisioni, aggiunte, sia,
paradossalmente, dalla storia tumultuosa e spesso rissosa delle
scuole psicoanalitiche, che si sono scontrate per anni e decenni
proprio sui problemi del mantenimento ortodosso del modello o delle
tante proposte di revisione; 2) capita a volte che la storia del
pensiero e della scienza producano strumenti conoscitivi che sembrano
nascere in un momento di distacco, di presa di distanza -Kenneth
Burke avrebbe detto di «perspective by incongruity» - rispetto ai
problemi e alle situazioni della contingenza storica in cui sono
stati creati, e acquistare quindi un valore probabilmente non
assoluto e totale, ma potenzialmente molto esteso e forte, e
un’applicabilità a situazioni storiche molto diverse.
Questo credo si possa
dire del modello di interpretazione freudiano della vita psichica
dell’uomo e anche, nonostante le caducità storiche e le molte
trasformazioni intervenute, anche del modello marxista di
interpretazione della vita economica e sociale (anch’esso prodotto
tipico della modernità, anch’esso messo in discussione a seguito
della trasformazione postmoderna).
La forza del modello
freudiano e di quello marxista credo stia nel fatto che entrambi
hanno un referente esterno alla pura dialettica del rapporto fra
momento storico da interpretare e soggetto interpretante, l’uno
nella densa realtà della vita psichica, l’altro in quella della
vita sociale, entrambe fornite di una lunga storia e di una certa
autonomia.
Devo aggiungere
un’avvertenza. Quei modelli freudiano e marxista di cui qui parlo
sono strumenti complessi, flessibili, dotati di forti potenzialità
ermeneutiche: non sono e non vanno ridotti al rango di metodi. L’idea
del metodo come una utility intercambiabile, acquistabile nel
grande super-mercato dei metodi, applicabile a piacere alle più
diverse situazioni, secondo le circostanze e un pragmatismo
abbastanza banale, è un’idea molto diffusa, perfettamente
congeniale all’ideologia dominante nell’età postmoderna. La
psicoanalisi può dare un contributo importante, con il suo
distanziamento prospettico, di comprensione della nuova condizione di
vita e dei nuovi soggetti sociali, in un mondo che sembra
apparentemente molto facile da capire e però è straordinariamente
complesso e sfuggente, solo se mette a disposizione tutto l’insieme
delle sue capacità e procedimenti interpretativi, senza irrigidirsi
e semplificarsi in questo o quel metodo, mostrandosi fedele a se
stessa e al tempo stesso molto flessibile.
“il manifesto, 24
agosto 2000
Nessun commento:
Posta un commento