“Il Ponte”, la prestigiosa rivista fondata da Piero Calamandrei,
ha oggi la sua casa in via Manara a Firenze, all'interno di un
edificio un po' malandato sede di una casa del popolo, un ambiente di
gusto retrò tra una bandiera della Fiorentina e la falce e martello
di un piccolo partito comunista. Prima della breve chiacchierata
sull'edizione fresca di stampa degli Scritti politici di
Capitini, consumiamo in piedi un pranzo frugalissimo nel baretto: una
piadina, in verità eccellente, innaffiata dalla spuma. La ragazza al
banco segue attenta i nostri conversari e chiede spiegazioni sulla
“religione aperta”: noi le raccontiamo dello “sbattezzo” di
Capitini.
Dieci minuti dopo, in redazione, tra scaffali zeppi di libri e
riviste, davanti a una grande scrivania Marcello Rossi racconta:
“Fino al 43 l'antifascismo di Calamandrei conservava un fondo
piccolo-borghese. È dopo il soggiorno ad Amelia, dove si è
rifugiato, che la sua visione comincia a cambiare, specie da quando
ha notizia del figlio Franco comunista e gappista. Ancora di più
cambia nella Firenze liberata del 1945 dove un gruppo di giovani
intellettuali – primo fra tutti Tristano Codignola - ha combattuto
nella Resistenza e spinge per un impegno politico pieno e diretto, in
cui cultura e moralità si mettano al servizio di un'Italia nuova.
Vengono dalla cospirazione antifascista e simpatizzano per il
“liberalsocialismo” di Capitini, integralmente socialista, più
che per quello di Calogero. Più d'uno sceglie di militare nel
partito d'Azione, ma sono lontani sia dal socialismo liberale degli
eredi torinesi di Carlo Rosselli sia dalla liberaldemocrazia di La
Malfa. L'humus è certamente capitiniano”.
Rossi, direttore de “Il Ponte”, è orgoglioso di questa storia,
che spiega l'impegnativa riproposizione in questo 2016 da parte della
rivista e della casa editrice collegata del pensiero di Capitini. Non
c'è solo la ponderosa raccolta degli scritti politici del pensatore
perugino tra il 1935 e il il 1968, ma anche un volumetto della
collana di Classici, distribuito con il numero di gennaio
della rivista, che comprende due scritti del 1968, l'anno in cui la
morte stroncò un'attività resa più febbrile dai grandi movimenti
collettivi che attraversavano il mondo: Attraverso due terzi di
secolo e Omnicrazia: il potere di tutti.
Lanfranco Binni è un po' infastidito dall'uso del termine
“antologia” per la raccolta pubblicata dal “Ponte”:
“Antologia pone l'attenzione soprattutto sulla scelta e su
chi sceglie. Qui l'autore è Capitini e l'itinerario tracciato è
autorizzato dalle sue stesse riflessioni”. Alla mia provocazione
sull'inattualità del filosofo della nonviolenza in questo tempo di
intolleranze, di chiusure, di guerra globale, reagisce dicendo che è
giunto il tempo di recuperare in tutta la sua complessità Capitini
contro le immagini stereotipate e riduttive. Rossi ricorda anche
l'interpretazione di Bobbio, a suo avviso fuorviante, mentre Binni
giudica una vera e propria falsificazione la trasformazione di
Capitini in una icona “pacifista” e “buonista”:“La figura
complessiva di Capitini è quella di un rivoluzionario e la sua
intransigenza come i suoi pensieri lunghi sono una risposta
concreta alla crisi del nostro tempo. Credo che sia esemplare il suo
tenere strettamente collegate l'elaborazione teorica e la pratica
politica nella dimensione dell'esperienza. L'esperienza dei Cos che
richiama e perfeziona le forme novecentesche di democrazia diretta,
di potere dal basso è esempio di costruzione di una nuova socialità
fondata su soggettività fortemente autonome. Il prendere la parola è
un autoformarsi, un farsi centro anche da parte di chi è più povero
di reddito e di risorse. Punto di partenza è una dichiarazione di
estraneità alla realtà data dell'oppressione, è la
noncollaborazione e la nonmenzogna”. Marcello
Rossi, dal canto suo, appare convinto che nel “potere di tutti”
di Capitini si possano trovare indicazioni feconde per rispondere ai
drammatici dilemmi che il Novecento ha lasciato irrisolti e il
millennio nuovo ci ripone intatti, le questioni della pace e della
guerra, del socialismo, della libertà.
Da Perugia – secondo Binni - può venire un aiuto perché il
rivoluzionario della “compresenza” e della “nonviolenza”
possa incontrare le nuove generazioni: “Bisogna mettere a
disposizione le sue opere, i suoi archivi, i suoi luoghi”. Parla
della casa natale di Capitini, della parte della sua biblioteca
allocata a San Matteo degli Armeni e ci dà una bella notizia:
all'archivio di Stato si sta costruendo un portale telematico
dedicato a Capitini: sarà possibile accedere a una gran mole di
testi la cui pubblicazione integrale è quasi impossibile, appunti,
lettere, verbali dei Centri di Orientamento Sociale(COS), una
esperienza di democrazia di base che si sviluppò tra Umbria e
Toscana.
Il tempo stringe. Si va via, alla stazione, e intanto si parla di
persone che hanno hanno avuto rapporti con la rivista, talora
ricordate in numeri speciali in bella evidenza nella sede della
redazione. Marcello Rossi racconta: dei tic di Sebastiano Timpanaro,
della parsimonia di Tristano Codignola, dei contatti con Mario Mineo.
Saranno di questo genere, maestri fuori dalle Chiese, le risorse su
cui dovrà fare affidamento questo tempo sbandato, le “compresenze”
su cui le nuove generazioni conteranno per fondare il tempo
dell'uguaglianza e della libertà? Non so dirlo, ma come dice Binni,
c'è materia per una Quinta Internazionale; forse per una Sesta e
una Settima.
"micropolis", febbraio 2016
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