Caprino Veronese, Il Platano dei cento bersaglieri |
Se c’è un albero che può essere
considerato il re delle città italiane è il platano. Decora
alberate, viali, giardini, piazze, spunta nei parchi più antichi
quanto nelle residenze storiche, trionfa negli orti botanici, lungo
la sponda dei laghi come nei sagrati dei paesi dell’Appennino.
Ne esistono tre specie. C’è il
Platanus orientalis, quello più antico, importato dai greci e
dai romani, di cui parlavano già Teofrasto e ancor più Plinio il
Vecchio nel dodicesimo libro del suo Naturalis historia,
segnalando che i primi vennero piantati sulla tomba di Diomede, sulle
isole oggi chiamiate Tremiti: qualsiasi platano più vecchio di 300
anni è di questa specie. Più raro è il Platanus occidentalis,
o Sicomoro americano, arrivato Nordamerica, mentre la specie più
diffusa è il Platanus acerifolia o Platanus hybrida,
detto Platanus hispanica, in quanto le due specie erano e
messe a fianco per la prima volta nel corso del XVII secolo in
Spagna.
I due platani più grandi d’Italia si
trovano nel profondo Sud, a Curinga, in Calabria, e nel profondo
Nord, a Caprino Veronese, e sono ovviamente della specie orientalis.
Il tronco del primo ha alla base una circonferenza di 20 metri di
circonferenza e 18 a petto d’uomo: c’è chi dice abbia mille anni
e sia stato messo a dimora da un monaco dell’Eremo di Sant’Elia
nel corso dell’XI secolo.
Il secondo, 15 metri di circonferenza
di tronco, è stato invece messo a dimora nel XVI secolo e si trova
nel Veronese. Si esce a Peschiera del Garda, si costeggia il lago e
si sale verso Lazise e Bardolino, ci si inoltra nelle gentili colline
che conducono a Caprino, lo si supera e si raggiunge frazione
Platano, lungo la costa di un rivo spesso in secca. È un possente
gigante panciuto, rilassato sul tronco, segnalato da un cartello che
sottolinea la monumentalità dell’albero. È chiamato Platano
dei cento bersaglieri poiché nel 1937, durante le manovre
dell’esercito italiano, altrettanti bersaglieri hanno trovato
riparo sotto le sue fronde.
Dal tronco si aprono due colossali
branche che crescono a V, espandendosi in una chioma che supera i 20
metri di altezza. Ho fatto una bella fatica a girarci intorno per
misurare la reale circonferenza, il metro e 30 di altezza qui è
praticamente impossibile da individuare. Ce l’ho fatta, scivolando
quelle cinque o sei volte. Mi sono seduto sulla sua base, ho
aspettato che il sole si inclinasse oltre il profilo delle colline
facendomi brillare addosso quella luce dorata che soltanto in certe
giornate la natura ci regala. Anche i grandi alberi sospirano davanti
a certi spettacoli.
“La Stampa”, 10 agosto 2012
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