L'articolo che segue,
scritto in affettuoso dialogo con il mio amico e compagno Fausto
Gentili, è stato pubblicato con un altro titolo, sul finire di febbraio, dal mensile
folignate “Al Quadrivio” (S.L.L.)
Conoscevo il testo,
disponibile in rete, dell'intervento sull'enciclica papale Laudato
si' che Fausto Gentili ha svolto, in dialogo con il Vescovo
Sigismondi, durante una delle conferenze di formazione organizzate
dalla diocesi di Foligno in collaborazione con il Liceo “Marconi”.
Ne vedo ora la sintesi su “Al Quadrivio” e un po' mi rammarico
che per ragioni di spazio sia saltata la chiusa, una riflessione
sincera e appassionata sul mestiere di insegnante oggi, degna della
più ampia circolazione; ma sono contento che la pubblicazione sul
mensile fondato da Piero Fabbri offra un luogo di confronto, e ne
approfitto.
Gentili lamenta che
l'enciclica papale sia poco letta, poco discussa e sostanzialmente
rimossa dal dibattito politico-culturale. Non gli si può dare torto.
Il valutare l'enciclica ecologista alla stregua di un “discorso
della domenica” che guarda lontano e alto, ma che poco ha a che
vedere con le questioni concrete e stringenti della crisi mondiale e
delle tante crisi locali in cui essa si articola, è prassi diffusa
nel ceto politico e nel sistema mediatico; ma anche tra la gente di
chiesa rischia di passare come l'acqua fresca. Se vale per la
contestualizzazione il confronto con la Rerum novarum, si può
dire che, allora, l'impegno ad attuarne i contenuti del clero basso e
alto fu generale e immediato e fu anche per questo che nel giro di
poco tempo nacquero in molte regioni d'Italia e d'Europa leghe
contadine, banche cooperative, associazioni operaie in concorrenza
con i socialisti; ma stavolta non è così.
Se questo può accadere è
anche perché in un “testo a più piani”, in cui si parla di
tutto, dall'acqua agli OGM, dalle decisioni politiche al
ringraziamento del Signore prima e dopo i pasti, non possono mancare
genericità e debolezze. A me debole e scontata pare, ad esempio, la
parte descrittiva dell'enciclica, quella che mette in fila le
problematiche ambientali in una sorta di luogocomunismo
catto-ecologista. E omissivi per opportunismo sono i pochi
capitoletti dedicati alle questioni demografiche, in un testo che,
mentre polemizza spesso contro l'illusione di risorse illimitate,
glissa sull'opposizione cattolica alle politiche e alle pratiche di
controllo della natalità.
Gentili soprattutto
valorizza l'orgogliosa presa di distanza di Bergoglio dai poteri
forti del nostro tempo, che si esprime innanzitutto nel linguaggio
chiaro senza perifrasi ed eufemismi, nella visione drammatica dei
rischi che corre il mondo (dalle catastrofi alle carestie, dagli
esodi biblici alle guerre), nella individuazione dello stretto
rapporto tra il degrado ambientale del pianeta, a tutti i livelli, e
la crescita delle disuguaglianze, chiamate “inequità”; e -
ancora di più - nella denuncia implacabile del dominio universale di
una tecnocrazia il cui criterio fondamentale è la massimizzazione
dei profitti. Utilizzando una categoria gramsciana Gentili chiama
questo “chiamarsi fuori” della Chiesa cattolica “spirito di
scissione”. Non si tratta, in assoluto, di novità: il Papa ha
ragione nel rivendicare (lo fa in molte parti dell'enciclica) la
continuità con il magistero dei suoi predecessori da Leone XIII fino
a Benedetto XVI; è vero tuttavia che mai denuncia era stata
sviluppata con tanta organicità ed efficacia.
C'è tuttavia una
questione, tutt'altro che secondaria, su cui Gentili prende le
distanze dal testo di Francesco. Fin dalla premessa il papa aveva
sottolineato l'idea, già sostenuta dal suo immediato predecessore,
che le ferite dell'ambiente naturale e dell'ambiente sociale hanno
alla base il medesimo male cioè “l'idea che non esistano verità
indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana
non ha limiti”. Questa affermazione è alla base del capitolo che è
cuore dell'enciclica dal titolo La radice umana della crisi
ecologica: la
globalizzazione del “paradigma tecnocratico” è
vista come conseguenza dell'“antropocentrismo deviato” tipico
della modernità. Il bersaglio resta l'Illuminismo che conterrebbe
già nelle sue premesse, il rifiuto del dogma e l'affermazione
dell'autonomia della ragione umana, le sue degenerazioni
tecnicistiche e il delirio di onnipotenza. Gentili ricorda la più
significativa denuncia “laica” novecentesca di queste derive
dell'Illuminismo, la Dialettica dell'Illuminismo di Horkheimer
e Adorno; io mi sarei rivolto a Leopardi. Ma la riconquista laica del
senso del limite non porta Gentili a subire passivamente l'egemonia
del dogmatismo cattolico, che egli chiama eufemisticamente “pensiero
forte”, lo spinge piuttosto a valorizzare quel “relativismo”
che il papa respinge, a rivendicare per esso una dignità almeno pari
a quella che ha l'“assolutismo” per i credenti nel dogma.
Ho lasciato per ultimo il
problema del significato politico dell'enciclica e del suo target.
A chi è rivolta la
Laudato si' e con quale
scopo? Bergoglio esplicitamente si ispira alla Pacem in
terris di Giovanni XXIII e, oltre che ai cristiani e ai fedeli
delle religioni, si rivolge a “tutti gli uomini di buona volontà”
come quel papa aveva fatto. Roncalli vedeva come il moto di
liberazione iniziato con la Rivoluzione russa del 17, al di là delle
degenerazioni della stessa Urss, aveva innescato movimenti di
liberazione: l'aspirazione a un qualche “socialismo” sembrava
accompagnare l'emancipazione dei paesi coloniali e semicoloniali del
mondo sottosviluppato e pareva rafforzarsi anche nei luoghi alti
dello sviluppo; per non tagliare fuori la sua Chiesa non si limitò a
predicare pace, ma la dichiarò inscindibilmente legata alla
“giustizia” e aprì il dialogo con i comunisti e i marxisti,
distinguendo l'errore dall'errante e prospettando forme di
collaborazione.
I credenti a cui con
l'enciclica l'attuale papa si rivolge sono soprattutto quei
cattolici, chierici e laici, che dal magistero giovanneo e dalla
Pacem in terris trassero una spinta all'impegno sociale e
politico, talora esplicitando obiettivi politici di liberazione
socialista: tutta quella galassia di movimenti ecclesiali pienamente
integrati nella chiesa, ai margini di essa, o in dissenso dalla
gerarchia che va dei teologi della liberazione latino-americani ai
preti italiani vicini alle sinistre. Il papa argentino ha visto
questa parte della sua chiesa in prima fila nei movimenti di inizio
millennio contro la globalizzazione neoliberista, ora la vuole con
sé, come truppa d'assalto, nel tentativo di riformare la Chiesa
cattolica e di rafforzarne il ruolo intestandole la rappresentanza
dei poveri e degli oppressi. D'altra parte, se un tempo erano i
comunisti a cercare nel mondo cattolico “indipendenti di sinistra”,
oggi sono i cattolici di Bergoglio a offrire anche una sponda agli
orfani del comunismo, a cercare tra di loro “compagni di strada”
e collaboratori: è a loro come ai militanti laici del No global,
che si rivolge l'enciclica.
Non è perciò casuale che Gentili, che ha un passato limpido di militante e dirigente della sinistra, venga invitato a un progetto di formazione che la Diocesi organizza in collaborazione con un liceo statale. Rientra nella stessa politica il fatto che il cardinale Ravasi con il Consiglio Pontificio della Cultura, organizzi il “Cortile dei gentili”, sede di dialogo tra credenti e non credenti e che annualmente inviti ad Assisi figure di rilievo della sinistra laica. Ogni tanto qualcuno di loro (lo fece Bertinotti, per esempio) dichiara che i credenti avrebbero “una marcia in più”. Si dovrebbe dire l'esatto contrario: che i cattolici, con il loro dogmatismo, i loro preti, la gerarchia che si rigenera per cooptazione, con le loro infallibilità, “hanno un freno in più” nelle battaglie di liberazione e distinguere noi, laici di sinistra, l'errore del cattolicesimo dall'errante cattolico. Quanto al nostro amico e compagno Fausto Gentili ha forse usato (scusate il bisticcio) qualche gentilezza di troppo con gli “erranti” con cui dialogava, ma è tuttavia riuscito a tenere il punto, a non vendere l'anima. Con i tempi che corrono è già tanto.
Non è perciò casuale che Gentili, che ha un passato limpido di militante e dirigente della sinistra, venga invitato a un progetto di formazione che la Diocesi organizza in collaborazione con un liceo statale. Rientra nella stessa politica il fatto che il cardinale Ravasi con il Consiglio Pontificio della Cultura, organizzi il “Cortile dei gentili”, sede di dialogo tra credenti e non credenti e che annualmente inviti ad Assisi figure di rilievo della sinistra laica. Ogni tanto qualcuno di loro (lo fece Bertinotti, per esempio) dichiara che i credenti avrebbero “una marcia in più”. Si dovrebbe dire l'esatto contrario: che i cattolici, con il loro dogmatismo, i loro preti, la gerarchia che si rigenera per cooptazione, con le loro infallibilità, “hanno un freno in più” nelle battaglie di liberazione e distinguere noi, laici di sinistra, l'errore del cattolicesimo dall'errante cattolico. Quanto al nostro amico e compagno Fausto Gentili ha forse usato (scusate il bisticcio) qualche gentilezza di troppo con gli “erranti” con cui dialogava, ma è tuttavia riuscito a tenere il punto, a non vendere l'anima. Con i tempi che corrono è già tanto.
Da "Al Quadrivio", Anno 4, n.19, Foligno febbraio 2016
1 commento:
Grazie Salvatore, un commento prezioso.
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