Parigi, La tomba di Julio Cortazar al Cimitero di Montparnasse |
«Eravamo come voi,
sarete come noi»: è l’iscrizione posta all’ingresso di tanti
cimiteri, memento mori per chi osa dimenticare il suo destino. Ma
perché quel “noi” scomparso insiste per avere una voce? La
verità è che i morti ci parlano. E i vivi, lo mostrano i riti
sepolcrali nati con l’umanità, si rivolgono ai cari estinti,
rendendo loro omaggio con fiori o con superalcolici (ogni tanto una
bottiglia di assenzio compare sulla tomba di Julio Cortazar, a
Montparnasse). Del legame tra vivi e morti, soprattutto quando si
tratta di grandi autori, è convinto l'olandese Cees Nooteboom, che
in Tumbas. Tombe di poeti e pensatori (Iperborea 2015) ha raccolto
trent’anni di viaggi cimiteriali. Per ogni defunto, un pensiero e
l’immagine del sepolcro, immortalato dalla fotografa e compagna
Simone Sassen. «Ogni visita alla tomba di un poeta», dice
Nooteboom, «è un dialogo in cui le risposte precedono quanto noi
possiamo dire. È un paradosso e per questo sei venuto qui: per
riascoltare quelle parole nel silenzio della morte... Chi è convinto
della sua immortalità, ci crede davvero. Per questo a Collioure,
accanto alla tomba di Antonio Machado, c’è una cassetta per la
posta».
Corrispondenza
corrisposta: c’è chi sogna la settimana bianca e chi, come
Nooteboom, fa la valigia per visitare i camposanti – e a pensarci
bene, non è così assurdo staccare dalle ordinarie fatiche
viaggiando sui luoghi del riposo eterno e magari eleggendo a guida (o
a Caronte) proprio Tumbas. La scelta va dal sacro Mount Vaea sulle
isole Samoa dove giace dal 1894 Robert Louis Stevenson (per lui i
capi del villaggio aprirono un sentiero nella foresta pluviale fino
alla vetta che abbraccia il Pacifico), al nuovo cimitero ebraico di
Praga, in cui Kafka anche da morto deve sopportare il padre, sepolto
con lui (per fortuna a far compagnia a Franz c’è anche l’amico
Max Brod), alla Parigi del Père Lachaise e del troppo spesso
dimenticato Thiais, luogo dove infine sostano, dopo l’esilio di una
vita, Paul Celan e Joseph Roth.
Il turismo sepolcrale ha
radici lontane, ma rinasce ora, è il caso di dirlo, a nuova vita,
tanto che nel 2001 a Bologna è sorta l’Asce, Association of
Significant Cemeteries in Europe, rete europea che lega i cimiteri di
interesse culturale. Della European Cemeteries Route, mappa elaborata
dall'organizzazione all'interno della Cultural Route of the Council
of Europe, non fa parte (ma merita ugualmente una visita) il Cimitero
allegro di Sapanta in Romania, designato Patrimonio Unesco: qui negli
anni ‘30 un artista locale, Stan Ioan Patras, ha iniziato a
dipingere le tombe con scene della vita del defunto, accompagnate da
poesie spesso ironiche («Coloro che amano la buona grappa / Come me
patiranno / Perché io la grappa ho amato / Con lei in mano sono
morto»).
E l’Italia dei
Sepolcri? Una ricerca del 2014 fatta dalla Jfc, società di
consulenza turistica, segnala come in Europa a emergere con 192
cimiteri di potenziale interesse (il 55,2% del continente) sia il
nostro Paese, incapace, anche in questo ambito, di valorizzarsi. È
infatti la Spagna a guidare la classifica con 21 cimiteri sfruttati
turisticamente sui 29 potenziali. Secondo l’indagine, nel 2013 sono
state circa 45 mila le visite ai nostri cimiteri (13% gli utenti
stranieri), ma con una gestione virtuosa del settore, in pochi anni,
90 siti nazionali potrebbero coinvolgere 400 mila visitatori italiani
e 7 milioni di residenti nei Paesi di origine anglosassone.
Tuttavia, anche in Italia
si osserva un risveglio del business legato al sonno eterno. I grandi
cimiteri intensificano le attività legate alla fruizione culturale
dei propri spazi. Su tutti svetta Staglieno a Genova, da sempre sito
prediletto dai viaggiatori. Ma anche i Monumentali di Torino e di
Milano, la Certosa di Bologna, il Verano di Roma si stanno
organizzando. «I gestori dei cimiteri sono i primi ad aver sentito
la necessità di valorizzare questi complessi», dichiara Daniele
Fogli, responsabile di Sefit, associazione nazionale di categoria,
«oltre che per i servizi che offrono all'utenza al momento della
sepoltura, anche per le opere contenute».
Da parte loro, operatori
e associazioni culturali inventano escursioni di ogni tipo. Con il
progetto La civetta di Torino (www.lacivettaditorino.it),
per esempio, Manuela Vetrano propone dal 2012 una riscoperta del
Monumentale piemontese: «Il cimitero, aperto nel 1829, è un museo a
cielo aperto a tutti gli effetti», dice Vetrano a pagina99. Vetrano
propone vari percorsi, «da quello generico pensato per chi non
conosce il cimitero alle visite tematiche storico-artistiche. Si
tratta di esperienze che hanno un ottimo riscontro da parte del
pubblico, che spesso ritorna per approfondire meglio». Da parte sua,
Valeria Celsi, guida turistica milanese creatrice di un blog
sull’arte funeraria (ipercorsidartefunerariadivaleria.blogspot.it),
offre itinerari nel Monumentale lombardo, che contiene opere di
artisti di fama internazionale come Medardo Rosso o Lucio Fontana e
che, afferma Celsi, «esprime la città ottocentesca che lo edificò:
monumenti imponenti e sculture sofisticate, specchio del desiderio di
emergere della società borghese di allora».
La seconda vita dei
cimiteri italiani può essere anche uno spettacolo teatrale o un
concerto di musica barocca, ma alcuni non hanno bisogno di eventi per
valere un viaggio. Come San Michele a Venezia: l’isola, dal 1837
dominata dai morti, è un luogo di rara bellezza dove rileggere i
Cantos di Pound davanti alla tomba del poeta, ragionare con
Brodskij di Dolore e Ragione, e per caso incontrare Igor
Stravinskij. O come quello di Merna, vicino a Gorizia, diviso nel
1947 dal nuovo confine tra Italia e Jugoslavia: il braccio
schizofrenico del Trattato di Parigi ha letteralmente tagliato i
sepolcri dei defunti, che in alcuni casi si sono trovati con i piedi
in uno Stato e la testa nell’altro.
Ma se ci sono cimiteri
italiani in cui il turismo straniero non conosce crisi, questi sono
gli acattolici: qui la percentuale di visite cresce fino a toccare il
68%, ed è composta soprattutto da statunitensi (24,5%), inglesi
(18,9%) e tedeschi (15%). Uno dei più seducenti è quello che Roma,
sempre in bilico tra intolleranza e umanità, ha riservato a partire
dal 1716 agli stranieri non cattolici, aprendo poi con moderazione
agli italiani. Si trova a Testaccio, ai piedi della Piramide di Caio
Cestio. Ieri le osterie losche e il vocio dei Magazzini Generali,
oggi la confusione di una zona alla moda: varcato il cancello in una
stradina laterale si trova la pace, e la morte non è terribile. Tra
pini, cedri e cipressi i turisti vengono a visitare Keats, Shelley,
Gramsci e le sue ceneri, e tante altre celebri anime in esilio.
Il segreto, però, è
lasciarsi trasportare verso chi non si sta cercando. Ciro Marra,
giovane archeologo e inventore delle Roman Special Adventures
(www.aperitivoarcheologico.it), ha ideato un percorso il cui filo
conduttore è L’antologia di Spoon River e la sua traduzione
in musica di De André: «Ci troviamo di fronte a un’esperienza che
permette di frequentare la morte, elaborarla, darle un significato»,
dice Marra. «Nelle civiltà antiche il trapasso e la sua memoria
erano molto importanti. Prima o poi tutti saremo in contatto con la
morte. Un evento che è parte integrante della vita, e quindi è
vita».
Pagina 99 we, 23 gennaio
2016
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