Compie 230
anni la ricetta del vino aromatizzato messa a punto nel 1786 alla
liquoreria di Piazza Castello di Torino da Antonio Benedetto Carpano,
che miscelò il vino moscato di Canelli e un mix segreto di spezie
tra cui predominava l’assenzio (vermut deriva dal tedesco Wermut,
termine che indica la pianta dell’artemisia maggiore, con cui si
ottiene appunto l’assenzio). Il risultato fu una bevanda dalla
bassa gradazione alcolica (tra i 14, 5 e i 21 gradi), che presto
divenne l’aperitivo torinese per eccellenza quando ci si incontrava
all’“ora del vermut” per un bicchierino defatigante, qualche
chiacchiera e confidenze prima di cena.
Mentre la
bottega Carpano si trasformava in un’industria, il vermut (o
vermouth, alla francese) si diffuse in Europa, poi negli Stati Uniti
e nel mondo, facendo la fortuna di aziende come Martini, Cinzano o
Gancia. Si gustava liscio o come ingrediente dei miscelati più
bevuti negli anni ’20 e ’30: Negroni, Americano, Manhattan e il
celeberrimo Martini Cocktail, adorato da Truman Capote e Cole Porter,
da Dorothy Parker e Francis Scott Fitzgerald, oltre che da Hemingway,
convinto – si dice – che la riuscita di un Martini dipendesse dal
vermut (poco, ma buono).
No
vermut artigianale, no party
Oggi che il
mito del vermut è risuscitato, dopo anni di offuscamento causato
dalle mode dei long drink tutti ghiaccio e dolcezze, il più
evoluto dei fanatici del Martini Cocktail non si limiterà a chiedere
al barman quante parti di vermut miscelare con il gin, ma esigerà un
certo tipo di vermut tra quelli in commercio, il più affine ai suoi
gusti. Si parla infatti di nuova generazione di vermut, a proposito
dei tanti prodotti artigianali, casalinghi o d’autore che compaiono
ovunque, rivisitando la ricetta antica in un vermut contemporaneo.
Ogni vermut
artigianale ha la sua ricetta e spesso sono i barman a metterla a
punto, com’è stato per il Vermut del Professore, prodotto dalla
distilleria piemontese Quaglia (distilleriaquaglia.it) in
collaborazione con il Jerry Thomas Project, lo speakeasy
capitolino, regno dei miscelati, cui si accede con una parola
d’ordine.
A Torino, la
nuova generazione di vermut si chiama Anselmo: quattro ragazzi hanno
rivisitato la storica ricetta del 1854 del liquorista Carlo Anselmo
(vermouthanselmo.com). L’azienda astigiana di spumanti Cocchi ha
festeggiato i suoi 120 anni riproponendo lo Storico Vermouth di
Torino fatto seguendo la ricetta originale del fondatore Giulio
Cocchi (cocchi.it). E produttori artigianali come Mauro Vergano
sperimentano con i chinati (chinativergano.it). Anche l’alta
ristorazione lo presenta come aperitivo: al ristorante Combal.zero di
Rivoli, per esempio, la cena si apre con un calice di vermut
Martelletti condito con scorzetta di limone.
Prodotti
naturali, grande attenzione alla qualità delle materie prime, i
vermut d’oggi incontrano le esigenze dei nuovi bevitori, sempre più
attenti e disponibili a sperimentare. Ne sa qualcosa Oscar
Quagliarini, bartender con una formazione da profumiere e una
predilezione per l’utilizzo dei prodotti naturali, autore di
Oscar697, linea di vermut (rosso, bianco, extra dry) dalla forte
caratterizzazione aromatica (oscar697.com).
Il vermut
trova poi sempre più spazio tra le linee di produzione delle cantine
vinicole anche in territori non tradizionalmente vermuttisi: in
Romagna, alla Tenuta Saiano (tenutasaiano.it), il liquorista
profumiere Baldo Baldinini e l’enologo Francesco Boldrini hanno
messo a punto le ricette di Clementino e Demos: un dry vermut e un
rosso che riportano in etichetta l’annata del vino con cui sono
prodotti. «Mi piace partire da un vino specifico e su quello
studiare gli accordi aromatici e tessere una ricetta», dice Baldo.
Ma non svela il mix di spezie: «Nessun profumiere liquorista lo
farebbe mai». Neanche all’ora del vermut.
Pagina 99
we, 23 gennaio 2016
Nessun commento:
Posta un commento