Antonio Pecorelli |
Risale alla primavera
scorsa l'elegante libretto fuori commercio che Walter Cremonte ha
voluto inviare come dono augurale ad alcune decine di amici, Come
qualcosa che dura. Forse - è accaduto altre volte - le
pochissime poesie e la traduzione che lo compongono rientreranno fra
qualche anno in una più ampia silloge, ma oggi anche questo modo di
raccoglierle e trasmetterle cospira ad impreziosirle. Quasi alla fine
peraltro può leggersi una “poesia d'occasione”, quasi un luogo
comune, Sulla tomba di Leopardi,
che è una dichiarazione di poetica (“Come
s'era detto / portare un fiore / e niente parole / per favore”): vi
si conferma e approfondisce un'antica propensione ecologica del poeta
perugino, la sua volontà di risparmiare le parole per garantirle, di
raccogliere – addirittura – le parole lasciate cadere dagli
altri. Qui si arriva, quasi, al silenzio e sulla parola prevale
nettamente il gesto,
come questo “portare un fiore”, uno solo.
Ed è gesto, non canto, quell'incitare, quell'urlare che accompagna
Orfeo nella poesia a lui intitolata e che lo invita a resistere,
altrimenti “come faremo noi / a vincere la morte...”. E' gesto il
guardare un cielo d'agosto, pieno di stelle, cogliere l'acqua nel
cavo di una mano, è un gesto, solenne, quello che nella traduzione
che suggella il libretto, da Lucrezio, compie Venere (“Cingendolo
dall'alto col tuo corpo / divino...) per chiedere la pace. Insomma la
poesia resta per Cremonte uno strumento, efficace ed illusorio
insieme, per combattere il male e difendere il poco bene che c'è
nella vita, per proteggere i nostri sogni ad occhi aperti, gli unici
buoni, dall'annichilimento della morte, dal tempo che macina e
dissolve, dalla stessa Memoria (quella con la maiuscola) che infama e
scorna. Cremonte, nella nota conclusiva, si affida per spiegarsi ad
una sorta di “elogio dell'intenzione” tratto da un racconto di
Luigi Pintor per il quale “i buoni proponimenti sono un polline che
non fiorisce mai, ma profuma l'aria”.
Il
risultato di questa poetica sono testi ad alta intensità
comunicativa, tra cui due liriche che mi sembrano capolavori, Onde
e Un papavero. Una
ragione di più per esprimere a Walter gratitudine e per sperare che,
in un modo o nell'altro (penso alla potenza della rete!), i lettori
dei suoi testi siano assai più numerosi dei destinatari del suo dono
prezioso.
Un
formato più grande, da antico quaderno scolastico, hanno i quattro
libretti, anch'essi fuori commercio, che negli ultimi due anni ha
diffuso Enzo Coli, i Quarantuno sonetti del
novembre 2013, i Sonetti di primavera del
marzo 2014 e i Sonetti del solleone dell'agosto
dello stesso anno e infine nel giugno 2015 le Rime baciate
di maggio per le quali recupera
l'antico pseudonimo di Boldrino. Coli è stato docente di Grammatica
Latina all'Università di Perugia e, nella cosiddetta “prima
repubblica”, dirigente del Psi perugino, consigliere ed assessore
per quel partito al comune di Perugia. Aveva pubblicato nel 2000 per
Era Nuova di Perugia I sonetti di Boldrino,
in cui aveva dato prova di saper efficacemente maneggiare
l'endecasillabo e di sapere a volte ridare vita ad una struttura
metrica dai più considerata obsoleta, specie nei sonetti d'amore.
Non riusciva quasi mai a mantenere la promessa, ma certi suoi incipit
facevano volare (“La casa scalda il sole da tre lati / e i nostri
sguardi vanno all'infinito” oppure “Al nostro appuntamento c'era
il sole” oppure ancora “Alla tua porta bussa primavera”). I
nuovi sonetti si attestano sul versante della vita quotidiana: la
famiglia, i successi scolastici e le passioni sportive dei nipoti, il
mutare delle stagioni e persino la politica, nel ricordo di antiche
passioni (“Quand'ero socialista giovincello / sognavo proprio di
cambiare il mondo”) e nella prosaica attualità (le speranze, credo
mal riposte, in un “premier novello”). C'è persino il tentativo
eroico (e a mio avviso fallito) di dare nobiltà alla campagna
elettorale regionale del 2015. Resta invece, come valore positivo,
l'indubitabile abilità nel verseggiare e la volontà incrollabile di
restituire alla poesia il carattere di “valore d'uso”.
Nel
2015 è uscito anche, per Fara Editore di Rimini, un nuovo libricino
di poesia di Sergio Pasquandrea, Oltre il margine.
L'autore, un quarantenne di origine pugliese, è insegnante a Perugia
e persona dai molti interessi artistici. Recensendo lo scorso anno
le sue Approssimazioni,
salutavo il suo successo nella sfida che si era proposta, la poesia
erotica, cioè l'arte di dire l'indicibile. Il nuovo libro non mi
pare all'altezza del precedente: in molte poesie il sovrabbondare
delle citazioni, dei riferimenti dotti, delle colte allusioni, degli
shock verbali produce
una sorta di manierismo privo di sorprese. Il talento dell'autore
meglio si riconosce in certi incipit dal tono più dimesso (“Essere
sveglio mentre tutti dormono / essere qui e muovere le dita...”
oppure “Fra il termosifone e la lavastoviglie / secerne il cartone
del latte / la sua tristezza da ippopotamo”) e lascia ben sperare
per le prove che verranno.
Scriveva
e recitava in pubblico sonetti in dialetto il ternano Antonio
Pecorelli (1923-1986): una vita da tranviere, un impegno nel Pci,
come segretario di sezione alla Gabelletta e per alcuni anni come
consigliere comunale. Il pensionamento precoce (1975) lo mette in
contatto con un poeta orvietano, Angelo Rossi, con cui fa coppia
recitando versi nei teatri, nelle osterie, nelle librerie. A quasi
trent'anni dalla morte il figlio Fabio ha voluto ricordarlo in un
libro formato quaderno, Vestito blu,
che porta in copertina l'immagine del poeta e che ad una scelta dei
sonetti di Pecorelli accompagna una nota biografica, alcuni giudizi
critici, commenti che contestualizzano le poesie. Sono assai vari i
toni di Pecorelli, che ha come maestro riconosciuto Belli, del quale
è tuttavia più bonario. Belliano è certamente il sonetto La
mamma poretta, un gioiello di
realismo ed ironia. Da mandare a memoria mi pare anche Lu
callo de luglio (1966),
che documenta i pruriti
consumisti di certe famiglie di comunisti tutti di un pezzo; una
pantomima appare Lu
sposalizio de l'arriccato e
ha passaggi da gran barocco
Lu martirio de San Valentino. A
me, però, chissà perché, piace citare Pollaro,
che presenta nel suo attacco una suggestiva definizione del
socialismo: “Che è lu Socialismo? È 'na parola / 'ndò che la
libertà 'gni loco schiocca. / 'Ndò la patria te scalla e te conzola
/ pulcino sotto l'ala della biocca”.
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