Napoli, 11 Giugno 1946. Manifestanti monarchici, in via Medina, portano via un giovane morente dopo la carica della polizia |
L’11 giugno ‘46 la
federazione comunista napoletana fu assalita durante una
manifestazione di monarchici che intendevano impedire la partenza del
re Umberto. Napoli era diventata il centro dell’iniziativa
antirepubblicana e, già durante la campagna referendaria, erano
stati devastati sezioni e circoli socialisti e comunisti e di fatto
era stata impedita la propaganda elettorale ai partiti di sinistra.
In particolare i comunisti venivano individuati come i maggiori
responsabili della sconfitta monarchica.
Negli anni ‘70 sono
state pubblicate le memorie di due dirigenti comunisti napoletani
dove l’episodio è menzionato. Si tratta di Storia di un operaio
napoletano di Salvatore Cacciapuoti, antifascista ed a lungo
segretario della federazione comunista partenopea, e di Memorie di
un comunista napoletano di Mario Palermo, autorevole figura di
antifascista, sottosegretario al Ministero della guerra durante i
governi d’unità nazionale e più volte parlamentare.
E’ interessante un
riscontro tra le due testimonianze, che ricostruiscono le modalità
dell’assalto alla sede del Pci avendo presente anche motivazioni di
opportunità politica.
Entrambe sottolineano le
difficoltà della situazione ma con accenti diversi. Cacciapuoti
mette in risalto, con una sorta di orgoglio di partito, le capacità
di resistenza dei comunisti: «Eravamo un po’ isolati. Erano loro
che tenevano la piazza ogni giorno con grandi masse... È vero che
all’incendio della sezione San Lorenzo rispondemmo con il grande
corteo della repubblica, è vero che il secondo assalto alla sezione
Stella lo pagarono con molti feriti e non ci tornarono più, ma noi
eravamo l’ultima forza rimasta sulla breccia e tutti gli attacchi
erano rivolti contro di noi. Gli altri avevano tutti mollato, del
tutto o in parte».
Palermo si concentra
invece sull’impossibilità dei comunisti di effettuare propaganda
elettorale: «Ricordo di un comizio che avrei dovuto tenere in Piazza
S. Gaetano, nel cuore del centro storico di Napoli (..) Vi era una
numerosa folla interessata ad ascoltarmi, ma, ciò nonostante, non mi
fu possibile parlare perché appena iniziato il discorso, gruppi di
monarchici, infiltratisi tra la folla, o in sosta lungo Via
Tribunali, o dai balconi adiacenti a quello sul quale mi trovavo,
gridavano ininterrottamente: «viva il re, viva il re» e, nonostante
il mio richiamo ai carabinieri per fare allontanare i disturbatori,
la gazzarra continuò senza che le forze dell’ordine fossero
comunque intervenute per tutelare la mia libertà di parola. Casi di
questo genere si verificavano ogni giorno..» La ricostruzione dei
fatti ha qualche sfumatura differente. Palermo racconta un episodio.
I monarchici tentarono con una scala di raggiungere la sede del Pei
in via Medina, che era a fianco della Questura e di fronte ad una
caserma di polizia. La scalafu spinta verso il basso dagli assediati
e da essa caddero alcuni manifestanti, ovviamente feriti.
Cacciapuoti si limita a
ricordare un giovane monarchico che, cercando di arrampicarsi sulla
tubatura del gas «con un pugnale tra i denti e agganciata alla
cintura alcune bombe a mano», perse l’equilibrio e cadde tra la
folla.
Abbastanza simile appare
la descrizione dei manifestanti. Prevale una sorta di stupore di
fronte alla folla monarchica. Cacciapuoti: «I nuovi Lazzari,
istigati dai capi monarchici, come tanti invasati, erano padroni
della piazza. Formarono alcuni cerchi umani, come fanno i bambini
quando giocano a girotondo. Si tenevano mano nella mano, ballando e
gridando: «Vulimmo o rre, vulimmo o rre!». Quindi strilli e
invettive contro i nostri balconi».
Palermo: «La
manifestazione era impressionante: uomini, donne, vecchi, ragazzi
erano come invasati, urlavano la loro fede monarchica ed il loro odio
contro il Pci, ritenuto il maggiore responsabile della caduta della
monarchia».
L’assedio alla sede del
Pci si prolungò per diverse ore. La folla riuscì a sfondare il
portone del palazzo ed a raggiungere i locali della federazione
tentando di incendiare la porta d’accesso, ovviamente sbarrata.
Palermo sottolinea come
l’intervento pur tardivo della polizia impedì che i comunisti
ricorressero all’uso delle armi e commenta: «Si ebbero purtroppo
morti e feriti, che avrebbero potuto essere risparmiati se la polizia
fosse intervenuta tempestivamente».
Cacciapuoti da una
ricostruzione un po’ diversa; parla di un assalto alla vicina
caserma della Celere che provoca l’intervento di quest’ultima: «I
monarchici tornarono alla carica contro la caserma con più forze. Ne
nacque una sparatoria generale che durò una buona mezz’ora, poi si
spalancò il portone della caserma, suonarono le trombe e caricarono.
Dai vicoli adiacenti a Via Medina ancora qualche sparo, qualche
scoppio di bomba, poi silenzio, calma perfetta!».
Entrambi i dirigenti
comunisti tengono a precisare che a sparare fu la polizia e non gli
assediati della federazione. I morti furono 7, tutti monarchici, e 60
feriti.
Infine le notazioni
conclusive. Cacciapuoti si limita a sottolineare la «simpatia» che
la difesa della sede del Pci avrebbe indotto in alcuni gruppi di
cittadini. Palermo è assai più analitico e tenta di comprendere in
qualche modo le ragioni di un così radicato consenso monarchico: «La
gran massa era rappresentata dal popolo, dal popolo minuto, da quello
cioè che nulla aveva da guadagnare con il re e che tuttavia lo
difendeva e lo sosteneva. Comprendemmo che la sua azione era ispirata
da generosi sentimenti di fedeltà per la monarchia e dall’antico
sentimento di separatismo meridionale che si era risvegliato contro
il nord che prima aveva voluto il fascismo e lo aveva imposto al sud
ed ora voleva imporre la repubblica».
da Lezioni di storia. La fine dei Savoia, Supplemento a "il manifesto", aprile 1994
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