Renata Pisu, della cui
amicizia sono orgoglioso, è nota soprattutto come sinologa e
orientalista, ma, se ci si prenderà la briga di raccogliere le tante
cose che scrisse per il settimanale “Abc” con lo pseudonimo di
Cristina Leed, negli anni 60 del Novecento, specialmente rileggendo
la sua ricognizione sul sesso nella provincia italiana, si
scoprirebbe una giornalista d'inchiesta come pochi nella storia del
giornalismo italiano.
Di quella stagione (e
bisogna ringraziare Bompiani) si
trova in volume soltanto un'antologia della particolare “posta”
che Renata (Cristina) intrattenne con i lettori, cui fu dato il
titolo Maschio è brutto a
significare la retrograda e contorta visione del mondo di tanti
italiani.
Alle
immersioni nella provincia la Pisu tornò negli anni 90, e per poco
tempo; ma questa paginetta da Biella a me pare emblematica della sua
capacità di guardare, vedere, ascoltare e raccontare. Una piccola
giunta si impone. La monocultura lana-“cachemire” ha prodotto in
quella città, nell'ultimo decennio, una crisi economica ed
occupazionale senza precedenti. Forse la cosa potrebbe servire da
lezione a quei politicanti che, innamorati di Cucinelli, della sua
attuale fortuna imprenditoriale e della sua saggezza luogocomunista,
vorrebbero impiantare qualcosa di simile a Perugia: il “distretto
del cachemire” sembra andare bene, ma non è la panacea, bisogna
pensare anche ad altro. (S.L.L.)
Renata Pisu |
BIELLA
Incastonata fra i monti,
isolata perché non ci si passa, bisogna volerci andare, Biella
sembra una felice Shangrilà dove quello che è stato ancora è. Quel
signore con il quale vai a pranzo è allora Quintino Sella che si
ripropone tale e quale, in fattezze e carattere, nel suo discendente
Lodovico. Come l' avo famoso e ministro che voleva il bilancio in
pareggio, Lodovico è vicepresidente della banca di famiglia, è
parco, sobrio, le gambe lunghe, il volto segnato, tanto magro che al
ristorante l' ostessa, riempiendogli il piatto di polenta concia,
dice: Su, facciamo un po' ingrassare un Sella. Quell'altro signore
che ti riceve negli uffici della sua fabbrica mostrandoti tessuti che
costano due o tre milioni al metro, è Riccardo Piacenza, detto Moro,
ma sembra la reincarnazione dell'antenato Felice che compare in un
dipinto a olio dove si vede la famiglia Piacenza riunita a brindare
alla vittoria di Solferino. Un suo avo era appassionato di
mongolfiere, lui di aerei. E poi su per questi monti si trova ancora
oggi, in terziario avanzato, un coleottero che è scomparso ovunque
sin dal quaternario, il Caravus Olympiae. Vengono da tutto il mondo a
cercarlo, dalla Francia, addirittura dalla Cina, e c' è un premio di
600 mila lire per chi ne scova un esemplare. Così diresti che
davvero qui il tempo si è fermato, se non fosse che Shangrilà si è
gemellata con il Giappone. Dopo aver introiettato la massima dose di
etica del capitalismo di stampo calvinista che un paese cattolico
potesse sopportare, Biella infatti si è fatta un'iniezione potente
di alta tecnologia, ha l'ossessione della qualità, il culto della
competitività. Non c'è biellese che non aspiri a mettersi in
proprio anche se ciò significa rimanere vassallo o, come si
preferisce dire oggi, appaltatore delle antiche famiglie dei lanieri
che restano le signore del gioco. Proprio come succede a Nagoya, i
genitori d'estate accompagnano i figli in gita a vedere la fabbrica
dove andranno a lavorare quando saranno grandi; e gli studenti dell'
ultimo anno di ragioneria sono già subissati da offerte di lavoro
allettanti perché non c' è fabbrica che non abbia bisogno di
qualcuno che sappia fare bene i conti. Li vedi all'uscita della
scuola questi ragazzi e sono tutti celti di stirpe, lunghi e magri, i
visi scolpiti alla rude dei montanari, i capelli fulvi o castani,
neanche una testa di ricci neri in giro se non quella del marocchino
che finge di fare il posteggiatore a Piazza Martiri della Libertà
tanto per sentirsi in qualche modo più integrato in questa città
dove tutti lavorano. Ma nessuno lo piglia sul serio. Qui si lavora
davvero, mica si fa finta. Qui non ci sono state ondate di
emigrazione dall' Italia meridionale, se non qualche gruppo di sardi
che è venuto per affinità pastorali quando i Savoia erano Re di
Sardegna prima di esserlo d'Italia. Furono bene accetti questi sardi
perché si racconta che quando vedevano passare una pecora si
levavano il cappello, proprio come i biellesi. In anni più recenti
sono poi arrivati dei veneti, soprattutto belle e forti mule che
lavoravano nelle filande e, si sa come vanno certe cose, hanno
contribuito a migliorare la razza. Che era e resta di lavoratori.
Sono al Bar Fortunio, nel centro di Biella. Al banco due signori
stanno parlando di politica, indossano tutti e due un soprabito di
lana double-face con disegni scozzesi di colori diversi. Molto
eleganti, molto chic. Uno dice: Qui le leghe non prenderanno mai
piede, per carità. Intervengo: E perché mai? Forse perché l'
ideale socialista ha qui una lunga e forte tradizione? Macché
socialismo, mi risponde, la verità è che qui siamo da sempre una
lega. Una lega che si articola però in tante sotto leghe,
associazioni, congreghe, circoli. C'è il Circolo sociale, categoria
extra, il Circolo commerciale, categoria A, il Rotary, il Lyon's, e
poi il Circolo del Tennis, il Circolo del Golf, l'Università
popolare e centinaia di altri club costituiti per i più vari scopi.
Così non c' è sera che non ci sia una cena, una conferenza, un
dibattito, la presentazione di un libro, insomma qualcosa da fare di
dilettevole ma che sia anche sempre utile, almeno un pochino, sennò
è una perdita di tempo. Nel freddo della sera Ho incontrato un
gruppo di ragazzi e ragazze a un concerto di musica classica, in una
chiesina di Candelo. All' uscita, nel freddo alpino della sera, ci
siamo messi a chiacchierare, volevo sapere come passavano in genere
il loro tempo libero. Mi hanno risposto che in discoteca ci andavano
qualche volta ma che davanti alla televisione proprio non ci stavano.
piuttosto andavano a dormire presto. E a casa, i loro genitori, erano
per caso teledipendenti? Per carità, nemmeno loro mi ha risposto una
ragazza, figlia di un operaio tessile. Papà guarda soltanto i
documentari perché dice che c' è sempre qualcosa da imparare. E poi
ci sono anche i bar. Sono stata invitata al bar Fortunio per il
cappuccino delle nove dai soci di un circolo un po' bislacco, il
Circolo dei dadi, composto da pochi eletti: i direttori di quattro
banche, un importatore di fibre tessili nobili, Piergiuseppe
Alvigini, il quale possiede una collezione di tessuti precolombiani
che è stata presentata in mostra al Museo Poldi Pezzoli di Milano.
Poi c' era anche il questore, anzi il vicequestore, perché Biella ha
solo diritto a un vice fino a quando non diventerà provincia: e i
biellesi sperano che presto accada perché ci sformano a andare in
giro con la macchina targata VC, Vercelli. Vogliono avere il BI di
Biella. Il questore è di Napoli e qui vive in grande pace e
beatitudine. Figurarsi che il furto di un' autoradio da queste parti
quasi quasi fa notizia mi dice ridendo. Sediamo in una saletta
appartata. Cappuccini, caffè, croissants, una conversazione amabile
su soldi, fidi, tassi, come se la passa la tale azienda, come se la
passa la talaltra. Scoccano le nove e mezza, arriva il cameriere che
porta i dadi su di un vassoio d' argento come fa ogni mattina da
dieci anni. A turno e con molto accanimento, i soci del Circolo dei
dadi tirano e chi perde paga il cappuccino a tutti. Gli esclusi dal
circolo e dal gioco si sono fatti sulla porta della saletta a
osservare come gira oggi la fortuna. Questo, il Fortunio, è il bar
degli uomini, uomini che contano, ben inteso. Poco lontano, in via
Italia, la lunga e stretta strada del centro pedonale, c' è invece
l' antico Caffè Ferrua dove vanno le signore. Sembrerebbero tutti
persone normali questi signori e signore biellesi se non fosse che si
toccano. E ti toccano. I più discreti fingendo di prenderti
amichevolmente sottobraccio per una confidenza, ma ecco che subito
palpeggiano tra due dita con tocco sapiente il tessuto della tua
giacca o del tuo cappotto e dichiarano soddisfatti: cachemire,
alpaca, vigogna...E allora si avvia la conversazione. Se tacciono
dopo la toccatina è brutto segno, vuol dire che hai addosso del
sintetico. E questo significa che non sei degno. Ma perché non ti
rifornisci qui di roba buona di qualità? Ci sono gli spacci, gli
sconti. Così ti dicono i biellesi che hanno organizzato degli
shopping tour con autobus e accompagnatori da uno spaccio all' altro.
E a dire la verità è un bel viaggio perché ogni fabbrica ha il suo
spaccio e le fabbriche sono una di qua l' altra di là, le più nuove
in pianura, le più antiche su per i monti, a punteggiare tutto il
paesaggio del biellese con le loro vecchie ciminiere che non fanno
più fumo, o se lo fanno è fumo buono, così sembrano innocue come
torri, come campanili. Il fatto è che qui nel biellese sono nella
lana da sempre: avevano le pecore, avevano l' acqua, l' opificio era
nell' ovile e vivevano felici e contenti nei secoli dei secoli. Ma
oggi che Shangrilà si è gemellata con il Giappone, di pecore
belanti non ce ne sono più in giro. Tutta la materia prima viene da
lontano, dall' Australia, dalla Cina, dal Perù. E loro del biellese
la cardano, la colorano, la filano, la tessono e poi la rivendono in
tutto il mondo come Made in Biella che per raffinati internazionali è
una garanzia superiore al semplice Made in Italy. Perché bisogna
sapere che il novanta per cento di tutto il vestiario indossato da
tutti coloro che vivono su questa terra è fatto di fibre artificiali
e soltanto il cinque per cento di noi mortali veste lana seta cotone
e lino, cioè veste fibre nobili: e a Biella si lavora il novanta per
cento dei tessuti che indossa questo cinque per cento. Poi,
evidentemente deve esserci il rimanente cinque per cento di umani che
veste misto. O va in giro nudo. Lei non si può neanche immaginare
quanti miliardari incontrerà tra poco mi dice Monsignor Oscar
Lacchio che mi accompagna con la sua macchina, senza autista ma con
telefono, su al Rotary di Vallemosso, lungo una strada rossa per le
chiome dei faggi, tra case entro le quali si incuneano fabbriche ora
abbandonate, concerie dai cortili a balconate. Don Lacchio dirige il
giornale Il Biellese, organo della diocesi che disputa la piazza all'
Eco di Biella, giornale dell'Unione industriali. È sempre invitato a
queste manifestazioni, è un rotariano anche lui con la rosetta all'
occhiello accanto alla croce. Collezionisti d' arte moderna Oggi al
Rotary parla Giorgio Frignani, presidente della Finpiemonte, la
finanziaria regionale, nonché titolare delle lane Grawitz. I
convenuti sono una cinquantina, tutti imprenditori, tutti ovviamente
nel tessile; e tutti o quasi tutti potrebbero permettersi una Ferrari
Testa Rossa ma non lo fanno perché nessuno vuole apparire troppo,
nemmeno i più giovani. Però tutti o quasi tutti sono collezionisti
d' arte moderna. Parlano, a tavola, più di Sironi e Pistoletto, di
Casorati e Fontana, che di drapperie. Al pranzo ci sono industriali
padri e industriali figli, insomma sono tutti titolari di aziende che
portano il nome di famiglia perché qui ci si chiama come le imprese
per bene di una volta, con il cognome e qualche
volta anche il nome
proprio, e tutto si tramanda di padre in figlio anche se adesso sta
spuntando anche qualche figlia nel prato dell' imprenditoria. Ma nomi
nuovi ce la fanno a spuntare tra tutti questi casati di antichi
lanieri che, più o meno, hanno saputo tutti rinnovarsi, come il Nino
Cerruti, che si fregia della sua data di nascita, 1881, ma che è a
dir poco già nel 2020 ed è riuscito, unico tra i lanaioli biellesi,
a diventare una griffe prestigiosa? Ecco per esempio un cinquantenne,
Antonio Viano, filati Avia. Ha sempre un gran daffare, non fa che
correre in giro per tutto il mondo. Domani parto per la Corea, mi
dice mentre mi mostra i suoi filati, lane di tutti i colori che
neanche immagini che possano essere tanti e infatti sono sessanta. Ma
lui si lamenta, impreca. Ce l'ha con gli stilisti che gliene hanno
chiesti altri venti di colori. Ma sono proprio pazzi questi creativi.
Ce l'ha anche con le donne che hanno smesso di lavorare a maglia così
l'aguglieria è in crisi. Ma sono ben strane le donne. Sua figlia è
giù nel laboratorio che si occupa di prove di maglieria con i filati
del padre: vocazione o imposizione di famiglia? Non so, ma qui a
Shangrilà si ha proprio l'impressione che nessuno sia nemmeno
sfiorato dall'idea che si possa affidare l'azienda nelle mani di un
manager. Un manager, ma cosa è mai? Paolo Lavino, un astro emergente
che si è districato dalla matassa della lana fondando la Euronova,
la maggiore casa italiana di vendite per corrispondenza, mi dice: Ma
perché i manager? Il biellese è un concentrato di energie
imprenditoriali, abbiamo venti imprenditori per chilometro quadrato.
Per questo ha ideato Intraprendere 90, una fiera che mira a
stimolare la voglia di impresa degli italiani offrendo consulenze in
ogni campo a chi vuol mettere su nuove iniziative industriali o
commerciali. Biella è un riferimento ideale della cultura d'
impresa, sostiene Lavino. E di sicuro sa quello che dice. Sostiene
anche che nel biellese bisognerebbe diversificare perché sono tutti,
ma proprio tutti nella lana. Però, come si fa? Parli con la gente e
ti senti dire che ormai è un fatto genetico, loro la lana ce l'hanno
nel sangue. A dire la verità anche nel naso vanno a finire i plucc,
i pelucchi, e alla Fondazione Edo Tempia stanno facendo una ricerca
sull'incidenza dei tumori alle vie respiratorie nell'area del
biellese. E nel Duomo di Biella, seminascosto, c'è un Cristo
martoriato con gli strumenti dell'arte della lana, con le cesoie dei
cimatori. Povero Cristo. Però, se nelle grandi famiglie ci si fa
vanto e orgoglio di riuscire a conservare nei discendenti le capacità
e la tradizione laniera, nelle piccole è come o mangiare questa
minestra o saltare questa finestra. E mentre i manager non li vuole
nessuno, i tecnici sì, eccome, tant' è vero che a Biella funziona
addirittura da due anni una Università tessile, l'unica scuola
italiana che prepari i giovani in tecnologie tessili. Così Biella
entro i suoi confini realizza ogni progetto ma dall'autonomia che
sempre l'ha contraddistinta sta forse scivolando verso l'autarchia
che sempre l' ha tentata. E qualcuno dice che quando diventerà
provincia sacralizzerà il suo isolamento. È un bene? È un male? È
verso quest'Italia infetta che dovremmo aprirci? Noi guardiamo al
mondo mi dice un giovane dell'Iti, l'Istituto Tecnico e industriale,
faccia celtica, non di certo italiano tipico nei tratti e negli
atteggiamenti. Insomma, non omologato alla cultura di massa ma
omologato perfettamente a quella di Biella. È uno dei partecipanti
al concorso Letteratura e Industria indetto tra gli studenti
di scuole superiori del biellese dal Gruppo Giovani Industriali. I
giovani industriali stanno ora leggendo i temi dei ragazzi, con molto
impegno. Per la premiazione è atteso Paolo Volponi ma i vecchi
industriali non hanno ritenuto opportuno ospitare la manifestazione
nella loro sede e allora lui parlerà all'Iti. Quel Volponi sarà
anche un grande scrittore ma è... comunista. Eppure, ironia della
sorte, l'unico parlamentare biellese che oggi sieda alla camera è un
comunista, l' onorevole Wilmer Ronzani. A quando un altro Sella?
Pensare che c'è chi si accontenterebbe di un altro Pella.
“la Repubblica”,18
novembre 1990
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