20.3.16

Biella 1990. Nel regno del cachemire dove la vita è lavoro (Renata Pisu)

Renata Pisu, della cui amicizia sono orgoglioso, è nota soprattutto come sinologa e orientalista, ma, se ci si prenderà la briga di raccogliere le tante cose che scrisse per il settimanale “Abc” con lo pseudonimo di Cristina Leed, negli anni 60 del Novecento, specialmente rileggendo la sua ricognizione sul sesso nella provincia italiana, si scoprirebbe una giornalista d'inchiesta come pochi nella storia del giornalismo italiano.
Di quella stagione (e bisogna ringraziare Bompiani) si trova in volume soltanto un'antologia della particolare “posta” che Renata (Cristina) intrattenne con i lettori, cui fu dato il titolo Maschio è brutto a significare la retrograda e contorta visione del mondo di tanti italiani.
Alle immersioni nella provincia la Pisu tornò negli anni 90, e per poco tempo; ma questa paginetta da Biella a me pare emblematica della sua capacità di guardare, vedere, ascoltare e raccontare. Una piccola giunta si impone. La monocultura lana-“cachemire” ha prodotto in quella città, nell'ultimo decennio, una crisi economica ed occupazionale senza precedenti. Forse la cosa potrebbe servire da lezione a quei politicanti che, innamorati di Cucinelli, della sua attuale fortuna imprenditoriale e della sua saggezza luogocomunista, vorrebbero impiantare qualcosa di simile a Perugia: il “distretto del cachemire” sembra andare bene, ma non è la panacea, bisogna pensare anche ad altro. (S.L.L.)
Renata Pisu
BIELLA
Incastonata fra i monti, isolata perché non ci si passa, bisogna volerci andare, Biella sembra una felice Shangrilà dove quello che è stato ancora è. Quel signore con il quale vai a pranzo è allora Quintino Sella che si ripropone tale e quale, in fattezze e carattere, nel suo discendente Lodovico. Come l' avo famoso e ministro che voleva il bilancio in pareggio, Lodovico è vicepresidente della banca di famiglia, è parco, sobrio, le gambe lunghe, il volto segnato, tanto magro che al ristorante l' ostessa, riempiendogli il piatto di polenta concia, dice: Su, facciamo un po' ingrassare un Sella. Quell'altro signore che ti riceve negli uffici della sua fabbrica mostrandoti tessuti che costano due o tre milioni al metro, è Riccardo Piacenza, detto Moro, ma sembra la reincarnazione dell'antenato Felice che compare in un dipinto a olio dove si vede la famiglia Piacenza riunita a brindare alla vittoria di Solferino. Un suo avo era appassionato di mongolfiere, lui di aerei. E poi su per questi monti si trova ancora oggi, in terziario avanzato, un coleottero che è scomparso ovunque sin dal quaternario, il Caravus Olympiae. Vengono da tutto il mondo a cercarlo, dalla Francia, addirittura dalla Cina, e c' è un premio di 600 mila lire per chi ne scova un esemplare. Così diresti che davvero qui il tempo si è fermato, se non fosse che Shangrilà si è gemellata con il Giappone. Dopo aver introiettato la massima dose di etica del capitalismo di stampo calvinista che un paese cattolico potesse sopportare, Biella infatti si è fatta un'iniezione potente di alta tecnologia, ha l'ossessione della qualità, il culto della competitività. Non c'è biellese che non aspiri a mettersi in proprio anche se ciò significa rimanere vassallo o, come si preferisce dire oggi, appaltatore delle antiche famiglie dei lanieri che restano le signore del gioco. Proprio come succede a Nagoya, i genitori d'estate accompagnano i figli in gita a vedere la fabbrica dove andranno a lavorare quando saranno grandi; e gli studenti dell' ultimo anno di ragioneria sono già subissati da offerte di lavoro allettanti perché non c' è fabbrica che non abbia bisogno di qualcuno che sappia fare bene i conti. Li vedi all'uscita della scuola questi ragazzi e sono tutti celti di stirpe, lunghi e magri, i visi scolpiti alla rude dei montanari, i capelli fulvi o castani, neanche una testa di ricci neri in giro se non quella del marocchino che finge di fare il posteggiatore a Piazza Martiri della Libertà tanto per sentirsi in qualche modo più integrato in questa città dove tutti lavorano. Ma nessuno lo piglia sul serio. Qui si lavora davvero, mica si fa finta. Qui non ci sono state ondate di emigrazione dall' Italia meridionale, se non qualche gruppo di sardi che è venuto per affinità pastorali quando i Savoia erano Re di Sardegna prima di esserlo d'Italia. Furono bene accetti questi sardi perché si racconta che quando vedevano passare una pecora si levavano il cappello, proprio come i biellesi. In anni più recenti sono poi arrivati dei veneti, soprattutto belle e forti mule che lavoravano nelle filande e, si sa come vanno certe cose, hanno contribuito a migliorare la razza. Che era e resta di lavoratori. Sono al Bar Fortunio, nel centro di Biella. Al banco due signori stanno parlando di politica, indossano tutti e due un soprabito di lana double-face con disegni scozzesi di colori diversi. Molto eleganti, molto chic. Uno dice: Qui le leghe non prenderanno mai piede, per carità. Intervengo: E perché mai? Forse perché l' ideale socialista ha qui una lunga e forte tradizione? Macché socialismo, mi risponde, la verità è che qui siamo da sempre una lega. Una lega che si articola però in tante sotto leghe, associazioni, congreghe, circoli. C'è il Circolo sociale, categoria extra, il Circolo commerciale, categoria A, il Rotary, il Lyon's, e poi il Circolo del Tennis, il Circolo del Golf, l'Università popolare e centinaia di altri club costituiti per i più vari scopi. Così non c' è sera che non ci sia una cena, una conferenza, un dibattito, la presentazione di un libro, insomma qualcosa da fare di dilettevole ma che sia anche sempre utile, almeno un pochino, sennò è una perdita di tempo. Nel freddo della sera Ho incontrato un gruppo di ragazzi e ragazze a un concerto di musica classica, in una chiesina di Candelo. All' uscita, nel freddo alpino della sera, ci siamo messi a chiacchierare, volevo sapere come passavano in genere il loro tempo libero. Mi hanno risposto che in discoteca ci andavano qualche volta ma che davanti alla televisione proprio non ci stavano. piuttosto andavano a dormire presto. E a casa, i loro genitori, erano per caso teledipendenti? Per carità, nemmeno loro mi ha risposto una ragazza, figlia di un operaio tessile. Papà guarda soltanto i documentari perché dice che c' è sempre qualcosa da imparare. E poi ci sono anche i bar. Sono stata invitata al bar Fortunio per il cappuccino delle nove dai soci di un circolo un po' bislacco, il Circolo dei dadi, composto da pochi eletti: i direttori di quattro banche, un importatore di fibre tessili nobili, Piergiuseppe Alvigini, il quale possiede una collezione di tessuti precolombiani che è stata presentata in mostra al Museo Poldi Pezzoli di Milano. Poi c' era anche il questore, anzi il vicequestore, perché Biella ha solo diritto a un vice fino a quando non diventerà provincia: e i biellesi sperano che presto accada perché ci sformano a andare in giro con la macchina targata VC, Vercelli. Vogliono avere il BI di Biella. Il questore è di Napoli e qui vive in grande pace e beatitudine. Figurarsi che il furto di un' autoradio da queste parti quasi quasi fa notizia mi dice ridendo. Sediamo in una saletta appartata. Cappuccini, caffè, croissants, una conversazione amabile su soldi, fidi, tassi, come se la passa la tale azienda, come se la passa la talaltra. Scoccano le nove e mezza, arriva il cameriere che porta i dadi su di un vassoio d' argento come fa ogni mattina da dieci anni. A turno e con molto accanimento, i soci del Circolo dei dadi tirano e chi perde paga il cappuccino a tutti. Gli esclusi dal circolo e dal gioco si sono fatti sulla porta della saletta a osservare come gira oggi la fortuna. Questo, il Fortunio, è il bar degli uomini, uomini che contano, ben inteso. Poco lontano, in via Italia, la lunga e stretta strada del centro pedonale, c' è invece l' antico Caffè Ferrua dove vanno le signore. Sembrerebbero tutti persone normali questi signori e signore biellesi se non fosse che si toccano. E ti toccano. I più discreti fingendo di prenderti amichevolmente sottobraccio per una confidenza, ma ecco che subito palpeggiano tra due dita con tocco sapiente il tessuto della tua giacca o del tuo cappotto e dichiarano soddisfatti: cachemire, alpaca, vigogna...E allora si avvia la conversazione. Se tacciono dopo la toccatina è brutto segno, vuol dire che hai addosso del sintetico. E questo significa che non sei degno. Ma perché non ti rifornisci qui di roba buona di qualità? Ci sono gli spacci, gli sconti. Così ti dicono i biellesi che hanno organizzato degli shopping tour con autobus e accompagnatori da uno spaccio all' altro. E a dire la verità è un bel viaggio perché ogni fabbrica ha il suo spaccio e le fabbriche sono una di qua l' altra di là, le più nuove in pianura, le più antiche su per i monti, a punteggiare tutto il paesaggio del biellese con le loro vecchie ciminiere che non fanno più fumo, o se lo fanno è fumo buono, così sembrano innocue come torri, come campanili. Il fatto è che qui nel biellese sono nella lana da sempre: avevano le pecore, avevano l' acqua, l' opificio era nell' ovile e vivevano felici e contenti nei secoli dei secoli. Ma oggi che Shangrilà si è gemellata con il Giappone, di pecore belanti non ce ne sono più in giro. Tutta la materia prima viene da lontano, dall' Australia, dalla Cina, dal Perù. E loro del biellese la cardano, la colorano, la filano, la tessono e poi la rivendono in tutto il mondo come Made in Biella che per raffinati internazionali è una garanzia superiore al semplice Made in Italy. Perché bisogna sapere che il novanta per cento di tutto il vestiario indossato da tutti coloro che vivono su questa terra è fatto di fibre artificiali e soltanto il cinque per cento di noi mortali veste lana seta cotone e lino, cioè veste fibre nobili: e a Biella si lavora il novanta per cento dei tessuti che indossa questo cinque per cento. Poi, evidentemente deve esserci il rimanente cinque per cento di umani che veste misto. O va in giro nudo. Lei non si può neanche immaginare quanti miliardari incontrerà tra poco mi dice Monsignor Oscar Lacchio che mi accompagna con la sua macchina, senza autista ma con telefono, su al Rotary di Vallemosso, lungo una strada rossa per le chiome dei faggi, tra case entro le quali si incuneano fabbriche ora abbandonate, concerie dai cortili a balconate. Don Lacchio dirige il giornale Il Biellese, organo della diocesi che disputa la piazza all' Eco di Biella, giornale dell'Unione industriali. È sempre invitato a queste manifestazioni, è un rotariano anche lui con la rosetta all' occhiello accanto alla croce. Collezionisti d' arte moderna Oggi al Rotary parla Giorgio Frignani, presidente della Finpiemonte, la finanziaria regionale, nonché titolare delle lane Grawitz. I convenuti sono una cinquantina, tutti imprenditori, tutti ovviamente nel tessile; e tutti o quasi tutti potrebbero permettersi una Ferrari Testa Rossa ma non lo fanno perché nessuno vuole apparire troppo, nemmeno i più giovani. Però tutti o quasi tutti sono collezionisti d' arte moderna. Parlano, a tavola, più di Sironi e Pistoletto, di Casorati e Fontana, che di drapperie. Al pranzo ci sono industriali padri e industriali figli, insomma sono tutti titolari di aziende che portano il nome di famiglia perché qui ci si chiama come le imprese per bene di una volta, con il cognome e qualche
volta anche il nome proprio, e tutto si tramanda di padre in figlio anche se adesso sta spuntando anche qualche figlia nel prato dell' imprenditoria. Ma nomi nuovi ce la fanno a spuntare tra tutti questi casati di antichi lanieri che, più o meno, hanno saputo tutti rinnovarsi, come il Nino Cerruti, che si fregia della sua data di nascita, 1881, ma che è a dir poco già nel 2020 ed è riuscito, unico tra i lanaioli biellesi, a diventare una griffe prestigiosa? Ecco per esempio un cinquantenne, Antonio Viano, filati Avia. Ha sempre un gran daffare, non fa che correre in giro per tutto il mondo. Domani parto per la Corea, mi dice mentre mi mostra i suoi filati, lane di tutti i colori che neanche immagini che possano essere tanti e infatti sono sessanta. Ma lui si lamenta, impreca. Ce l'ha con gli stilisti che gliene hanno chiesti altri venti di colori. Ma sono proprio pazzi questi creativi. Ce l'ha anche con le donne che hanno smesso di lavorare a maglia così l'aguglieria è in crisi. Ma sono ben strane le donne. Sua figlia è giù nel laboratorio che si occupa di prove di maglieria con i filati del padre: vocazione o imposizione di famiglia? Non so, ma qui a Shangrilà si ha proprio l'impressione che nessuno sia nemmeno sfiorato dall'idea che si possa affidare l'azienda nelle mani di un manager. Un manager, ma cosa è mai? Paolo Lavino, un astro emergente che si è districato dalla matassa della lana fondando la Euronova, la maggiore casa italiana di vendite per corrispondenza, mi dice: Ma perché i manager? Il biellese è un concentrato di energie imprenditoriali, abbiamo venti imprenditori per chilometro quadrato. Per questo ha ideato Intraprendere 90, una fiera che mira a stimolare la voglia di impresa degli italiani offrendo consulenze in ogni campo a chi vuol mettere su nuove iniziative industriali o commerciali. Biella è un riferimento ideale della cultura d' impresa, sostiene Lavino. E di sicuro sa quello che dice. Sostiene anche che nel biellese bisognerebbe diversificare perché sono tutti, ma proprio tutti nella lana. Però, come si fa? Parli con la gente e ti senti dire che ormai è un fatto genetico, loro la lana ce l'hanno nel sangue. A dire la verità anche nel naso vanno a finire i plucc, i pelucchi, e alla Fondazione Edo Tempia stanno facendo una ricerca sull'incidenza dei tumori alle vie respiratorie nell'area del biellese. E nel Duomo di Biella, seminascosto, c'è un Cristo martoriato con gli strumenti dell'arte della lana, con le cesoie dei cimatori. Povero Cristo. Però, se nelle grandi famiglie ci si fa vanto e orgoglio di riuscire a conservare nei discendenti le capacità e la tradizione laniera, nelle piccole è come o mangiare questa minestra o saltare questa finestra. E mentre i manager non li vuole nessuno, i tecnici sì, eccome, tant' è vero che a Biella funziona addirittura da due anni una Università tessile, l'unica scuola italiana che prepari i giovani in tecnologie tessili. Così Biella entro i suoi confini realizza ogni progetto ma dall'autonomia che sempre l'ha contraddistinta sta forse scivolando verso l'autarchia che sempre l' ha tentata. E qualcuno dice che quando diventerà provincia sacralizzerà il suo isolamento. È un bene? È un male? È verso quest'Italia infetta che dovremmo aprirci? Noi guardiamo al mondo mi dice un giovane dell'Iti, l'Istituto Tecnico e industriale, faccia celtica, non di certo italiano tipico nei tratti e negli atteggiamenti. Insomma, non omologato alla cultura di massa ma omologato perfettamente a quella di Biella. È uno dei partecipanti al concorso Letteratura e Industria indetto tra gli studenti di scuole superiori del biellese dal Gruppo Giovani Industriali. I giovani industriali stanno ora leggendo i temi dei ragazzi, con molto impegno. Per la premiazione è atteso Paolo Volponi ma i vecchi industriali non hanno ritenuto opportuno ospitare la manifestazione nella loro sede e allora lui parlerà all'Iti. Quel Volponi sarà anche un grande scrittore ma è... comunista. Eppure, ironia della sorte, l'unico parlamentare biellese che oggi sieda alla camera è un comunista, l' onorevole Wilmer Ronzani. A quando un altro Sella? Pensare che c'è chi si accontenterebbe di un altro Pella.


“la Repubblica”,18 novembre 1990

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