1.3.16

Cronache Giubilari. Dal macabro al grottesco (S.L.L.)

Non m'immischio!
Nonostante l'appoggio della Cei, la manifestazione del 26 gennaio contro la legge sulle unioni civili in discussione in Parlamento, non ha avuto il successo indiscutibile che gli organizzatori si aspettavano. Con il Circo Massimo quasi pieno avevano indicato la cifra di due milioni di manifestanti, coincidente con l'obiettivo più volte dichiarato nei giorni precedenti; ma a fare le pulci ai clericali stavolta ci si è messa “La Stampa”, che sembra avere un filo speciale con l'entourage del Papa. Il quotidiano rompe il fair-play e usa con la piazza di Bagnasco il trattamento che risrvava alle piazze sindacali nei momenti di maggiore scontro con i padroni FIAT: conta i metri quadrati occupati, indica il massimo affollamento possibile per metro quadrato e sentenzia: “Erano meno di trecento mila”. È un servizio a dispetto: Bergoglio, che nelle sue esternazioni ha quasi ignorato la manifestazione, non deve esserne affatto dispiaciuto. Anche lui – è ovvio - volentieri affosserebbe la legge sulle cosiddette unioni civile (lo ha ribadito nei suoi interventi dottrinari), ma preferisce lavorare ai fianchi, “sotto sotto”, con manovre avvolgenti; sistematicamente evita, invece, le “guerre culturali” care a Giuliano Ferrara e, da gran “piacione”, cerca di non inimicarsi nessuno. Quando, nei primi giorni di febbraio, la Cirinnà è arrivata in discussione al Senato, il presidente della Cei Bagnasco ha chiesto il voto segreto, provocando la facile replica di Renzi (“Decide il Parlamento!”), ma il segretario della stessa conferenza episcopale, il bergogliano Galantino ha dichiarato: “Preferisco non parlare per rispetto delle istituzioni”. Alla fine, intervistato sull'aereo che dal Messico lo riportava in Italia, s'è pronunciato lo stesso Papa: “Non m'immischio. I parlamentari decidano con coscienza ben formata”.

Il vino del papa
In verità il pontefice da tempo lavora per ridurre l'area di consenso dei cardinali e dei vescovi italiani tradizionalisti, ostili – soprattutto per ragioni di potere – ai suoi progetti di riorganizzazione e, a questo fine, ricorre anche a mosse spericolate. La prima risale all'apertura dell'Anno Santo: concesse ai preti “lefebvriani” ordinati dalla Fraternità San Pio X, già in trattativa con Ratzinger, la licenza di confessare per tutto l'Anno Santo. Né Bergoglio s'è limitato a dichiarare valide le assoluzioni, ma ha dichiarato di confidare che in un prossimo futuro sia possibile “recuperare la piena comunione” con i ribelli. Disse d'essere rimasto “di stucco” perfino Franz Schmidberger, rettore del Seminario «Herz Jesu», già “superiore” della Fraternità, peraltro convinto che “a lungo termine si arriverà sicuramente ad una regolarizzazione”. Poco importa se, fino ad oggi, attraverso il loro sito, i seguaci di Lefebvre continuino a considerare eresia le deliberazioni del Concilio Vaticano II e ad accusare la Chiesa e il papa di “modernismo”, Bergoglio ha già ottenuto un grande risultato di immagine: mostra di volere una Chiesa accogliente in tutte le direzioni, anche verso gli amanti della Messa in latino, odiatori dei “perfidi Giudei”.
Ma con Bagnasco e con i ruiniani papa Francesco ha realizzato un vero e proprio spariglio, ha messo sul tavolo la carta che fa saltare i giochi avversari, padre Pio, o san Pio come si dice adesso. La traslazione a Roma del corpo del frate cappuccino delle stimmate e delle zuffe con il diavolo, meticolosamente studiata nelle sue tappe da San Giovanni Rotondo a Roma e da basilica a basilica all'interno di Roma con la finale ostensione a piazza San Pietro il 6 febbraio, ha avuto successo. Si ripeteva la caratteristica commistione di moderno e di arcaico già realizzata con la traslazione, in elicottero, di Santa Rita da Cascia a Roma, nel corso del Giubileo del 2000. Attorno al cadavere, con il volto ripristinato dal silicone ed altre plastiche, si vedevano masse fanatizzate a urlare e applaudire. A migliaia poi sono stati i fedelissimi che hanno profittato dell'occasione per farsi un selfie con il santo e alle televisioni che intervistavano più d'uno parla del profumo che promana dalla santa salma. Uno spettacolo di superstizione sconcertante, ma anche un successo.
Alla evidente contraddizione tra una personalità facile all'ira, piena di durezze e perfino di volgarità, che sembrava venire dal tempo in cui si bruciavano vivi eretici, streghe e omosessuali e il Giubileo della Misericordia, l'entourage papalino replica che, essendo stato confessore, padre Pio era, di necessità, strumento della Misericordia. Su “Avvenire” del 18 febbraio Luigi Gazzaneo, rievocando l'arrivo per san Pio e per San Leopoldo (un altro frate cappuccino di recente canonizzazione, veneto-croato, che gli faceva da damo di compagnia) di gruppi di preghiera provenienti da ogni dove, scrive: “Papa Francesco, nel richiamarne l'esemplare figura, sulle orme dei suoi predecessori...”. Quali predecessori? Certamente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che lo hanno beatificato e santificato in fretta e in furia, ma non papa Giovanni XXIII, il “Papa buono” che definì “idolo di stoppa” quel frate, che passava come un grande consumatore di acido fenico.
Bergoglio è un furbone e, dopo codesta esibizione di cadaveri, per me un po' disgustosa, presume di avere riguadagnato alla sua causa gran parte dei credenti più ingenui e retrogradi, sottraendoli alle sirene dei Bagnasco e dei Family Day. Non si può escludere peraltro che questa sua elasticità, questa sua eccessiva furbizia finiscano per perderlo, vanificando i suoi propositi di riforma. Non è possibile rinnovare il cattolicesimo usando padre Pio. Non lo ha letto - da qualche parte - che “non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi?”. Ha fatto i conti senza l'oste: il suo vino si sta guastando e nessuno glielo comprerà.

La strage di san Valentino
È andata male anche al vescovo di Terni, mons. Piemontese. Anche lui ama trafficare con le salme dei santi, ma aveva obiettivi più modesti: trasferire i resti di San Valentino dalla basilica dedicata al santo, sede di una parrocchia, alla Cattedrale. Ha incontrato la strenua resistenza del parroco e dei parrocchiani. Presumeva di averli convinti ad accettare un trasferimento temporaneo in occasione della solenne celebrazione del santo patrono domenica 14 febbraio, in quella che è diventata la festa degli innamorati, e già pregustava, nel suo piccolo, il successo. Ma, se tra san Giovanni Rotondo e Roma dominava il macabro, qui si è passati al grottesco.
Secondo le cronache la protesta inizia nel tardo pomeriggio di venerdì 12, dopo la recita del rosario nella basilica parrocchiale. Mentre all'esterno un furgone aspetta il sacro carico, un gruppo di parrocchiani e residenti circonda l'urna delle sante ossa con le panche. I tecnici addetti allo spostamento vanno via, ma tornano dopo un po', in compagnia del vescovo. E intanto arrivano anche polizia e carabinieri. La parola d'ordine dei resistenti sembra essere “Dio ce l'ha dato, guai a chi ce lo tocca”. C'è una sorta di divisione sessuale del lavoro: le femmine, sedute sulle panche continuano a recitare il Rosario. I maschi fronteggiano il vescovo e i suoi collaboratori anche alzando la voce. Il vescovo tratta e fa promesse, ma senza risultati.
A mezzanotte in diocesi si rassegnano: nel giorno di sabato 13 e il giorno della festa patronale in Cattedrale sarà esposto il busto di San Valentino che si trova già lì, in cui – a quanto pare – è stata inserita qualche reliquia del santo martire. Un surrogato. Il vescovo raccoglierà dichiarazioni di solidarietà da vescovi, politici, associazioni, incluso un Consiglio Pastorale che supponiamo non composto da allevatori di pecore, ma questo non farà sbollire la sua ira che esploderà domenica 14 nell'omelia, nel corso del solenne pontificale del Santo dell'Amore, davanti al sindaco Di Girolamo, la presidente e il vicepresidente della Regione Marini e Paparelli, il prefetto Pagliuca. È un complottista il monsignore. Secondo Massimo Colonna e Chiara Fabrizi, i cronisti che sono la nostra fonte principale, parla di “una sceneggiata orchestrata ad arte da burattinai rimasti nell’ombra” ed estende a tutta la città che conta il sospetto di un gioco al massacro di voci tendenziose e infondate senza un dibattito pubblico e aperto. Tuona che non è questo il modo di reagire a una crisi profondissima (“la città che in Italia ha registrato l'aumento più alto della cassa integrazione”). Anche in un osservatore disinteressato il sospetto che sia in corso una guerra per bande è fortissima e il pensiero corre alla strage di san Valentino ordinata da Al Capone contro i suoi concorrenti.
Piemontese non tace sulla crisi economica della Curia: contento che i prelati coinvolti in inchieste giudiziarie siano stati scagionati, coglie “l'occasione dell'Anno Santo per sottoporre alla misericordia del Signore peccati o errori, che pure ci sono stati”. Non mi pare malignità leggere in questo un'allusione al gerarca ciociaro, il vescovo emerito Paglia.

Primati
Il 6, il 7 e l'8 febbraio, in collegamento con il Giubileo, si è svolta Fides, una fiera che ha rappresentato una novità nel panorama della città di Roma, già ai primi posti nel consumo di oggetti liturgici e devozionali. Negli spazi della Nuova Fiera di Roma i più importanti produttori nazionali ed esteri del settore si sono dati convegno per incontrare i commercianti al minuto e i rappresentanti di diocesi e parrocchie. Pare che ci siano novità nel campo degli aspersori: potranno debuttare già nella imminente campagna pasquale di benedizione delle abitazioni. Dall'Abruzzo – lo riferisce “Popotus”, il supplemento per ragazzi di “Avvenire” - è arrivato un oggetto da Guinnes dei primati, un rosario lungo 83 metri, con un perimetro, dunque, di 146, realizzato a Chieti da 30 volontari dell'Unitalsi. Potrebbe tornare buono per una più lunga resistenza delle parrocchiane di San Valentino, a Terni, nel caso in cui Piemontese tornasse alla carica.

Messico e nuvole
S'è esaurita intanto la missione giubilare di Bergoglio, nella nativa America Latina. A Cuba, di passaggio, ha incontrato il patriarca ortodosso di Mosca, per esprimere la speranza di una ritrovata unità delle Chiese. Lo ha chiamato “mio fratello Cirillo”. Qualcuno ha visto, in questo successo diplomatico, lo zampino del vecchio Castro.
Il soggiorno in Messico, cominciato con la celebrazione dell'anno giubilare e l'incontro con le famiglie nel prestigioso santuario della Madonna di Guadalupe, avviene in un paese dove oggi, anche per effetto delle politiche neoliberistiche, per il peso delle narcomafie e per la dilagante corruzione nella politica, nella polizia e nell'esercito, sembra vigere un'oppressione e una repressione più feroce che altrove, che si concreta nel numero dei desparecidos, soprattutto studenti, oppositori politici e attivisti sindacali. Non è solo opera dei narcos, ma di squadre di poliziotti travestiti. Bergoglio si è trovato peraltro alle prese con un episcopato molto chiacchierato, almeno in alcuni suoi importanti esponenti, per i favori resi ai politici (un discutibile annullamento del matrimonio concesso al presidente della Repubblica) e per la protezione concessa a preti pedofili: ha chiesto ai vescovi di prendere le distanze dal potere, dalla ricchezza e dalle sue pompe e recuperare la “limpidezza dello sguardo”. I discorsi, di durissima denuncia, rivolti al mondo del lavoro e ai migranti sono stati di sicuro i più importanti ed hanno incontrato molta risonanza in un subcontinente dove pezzi di Chiesa sono impegnati in lotte sociali. In essi il Papa ha usato categorie cui non ricorre spesso, come lo “sfruttamento”. Occorrerà una lettura più attenta per capire direzione e senso del messaggio.
Intanto, lasciando il Messico avvolto nelle sue torbide nuvole, Francesco è tornato in Vaticano. L'Anno Santo continua con il Giubileo della Curia Romana, del Governatorato e delle Istituzioni collegate alla Santa Sede. Serpi in seno.

"micropolis", febbraio 2016

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