Non m'immischio!
Nonostante l'appoggio
della Cei, la manifestazione del 26 gennaio contro la legge sulle
unioni civili in discussione in Parlamento, non ha avuto il successo
indiscutibile che gli organizzatori si aspettavano. Con il Circo
Massimo quasi pieno avevano indicato la cifra di due milioni di
manifestanti, coincidente con l'obiettivo più volte dichiarato nei
giorni precedenti; ma a fare le pulci ai clericali stavolta ci si è
messa “La Stampa”, che sembra avere un filo speciale con
l'entourage del Papa. Il quotidiano rompe il fair-play e usa
con la piazza di Bagnasco il trattamento che risrvava alle piazze
sindacali nei momenti di maggiore scontro con i padroni FIAT: conta i
metri quadrati occupati, indica il massimo affollamento possibile per
metro quadrato e sentenzia: “Erano meno di trecento mila”. È un
servizio a dispetto: Bergoglio, che nelle sue esternazioni ha quasi
ignorato la manifestazione, non deve esserne affatto dispiaciuto.
Anche lui – è ovvio - volentieri affosserebbe la legge sulle
cosiddette unioni civile (lo ha ribadito nei suoi interventi
dottrinari), ma preferisce lavorare ai fianchi, “sotto sotto”,
con manovre avvolgenti; sistematicamente evita, invece, le “guerre
culturali” care a Giuliano Ferrara e, da gran “piacione”, cerca
di non inimicarsi nessuno. Quando, nei primi giorni di febbraio, la
Cirinnà è arrivata in discussione al Senato, il presidente della
Cei Bagnasco ha chiesto il voto segreto, provocando la facile
replica di Renzi (“Decide il Parlamento!”), ma il segretario
della stessa conferenza episcopale, il bergogliano Galantino ha
dichiarato: “Preferisco non parlare per rispetto delle
istituzioni”. Alla fine, intervistato sull'aereo che dal Messico lo
riportava in Italia, s'è pronunciato lo stesso Papa: “Non
m'immischio. I parlamentari decidano con coscienza ben formata”.
Il vino del papa
In verità il pontefice da tempo lavora per ridurre l'area di
consenso dei cardinali e dei vescovi italiani tradizionalisti, ostili
– soprattutto per ragioni di potere – ai suoi progetti di
riorganizzazione e, a questo fine, ricorre anche a mosse spericolate.
La prima risale all'apertura dell'Anno Santo: concesse ai preti
“lefebvriani” ordinati dalla Fraternità San Pio X, già in
trattativa con Ratzinger, la licenza di confessare per tutto l'Anno
Santo. Né Bergoglio s'è limitato a dichiarare valide le
assoluzioni, ma ha dichiarato di confidare che in un prossimo futuro
sia possibile “recuperare la piena comunione” con i ribelli.
Disse d'essere rimasto “di stucco” perfino Franz Schmidberger,
rettore del Seminario «Herz Jesu», già “superiore” della
Fraternità, peraltro convinto che “a lungo termine si arriverà
sicuramente ad una regolarizzazione”. Poco importa se, fino ad
oggi, attraverso il loro sito, i seguaci di Lefebvre continuino a
considerare eresia le deliberazioni del Concilio Vaticano II e ad
accusare la Chiesa e il papa di “modernismo”, Bergoglio ha già
ottenuto un grande risultato di immagine: mostra di volere una
Chiesa accogliente in tutte le direzioni, anche verso gli amanti
della Messa in latino, odiatori dei “perfidi Giudei”.
Ma
con Bagnasco e con i ruiniani papa Francesco ha realizzato un vero e
proprio spariglio, ha messo sul tavolo la carta che fa saltare i
giochi avversari, padre Pio, o san Pio come si dice adesso. La
traslazione a Roma del corpo del frate cappuccino delle stimmate e
delle zuffe con il diavolo, meticolosamente studiata nelle sue tappe
da San Giovanni Rotondo a Roma e da basilica a basilica all'interno
di Roma con la finale ostensione a piazza San Pietro il 6 febbraio, ha
avuto successo. Si ripeteva la caratteristica commistione di moderno
e di arcaico già realizzata con la traslazione, in elicottero, di
Santa Rita da Cascia a Roma, nel corso del Giubileo del 2000. Attorno
al cadavere, con il volto ripristinato dal silicone ed altre
plastiche, si vedevano masse fanatizzate a urlare e applaudire. A
migliaia poi sono stati i fedelissimi che hanno profittato
dell'occasione per farsi un selfie
con
il santo e alle televisioni che intervistavano più d'uno parla del
profumo che promana dalla santa salma. Uno spettacolo di
superstizione sconcertante, ma anche un successo.
Alla evidente contraddizione tra una personalità facile all'ira,
piena di durezze e perfino di volgarità, che sembrava venire dal
tempo in cui si bruciavano vivi eretici, streghe e omosessuali e il
Giubileo della Misericordia, l'entourage papalino replica che,
essendo stato confessore, padre Pio era, di necessità, strumento
della Misericordia. Su “Avvenire” del 18 febbraio Luigi Gazzaneo,
rievocando l'arrivo per san Pio e per San Leopoldo (un altro frate
cappuccino di recente canonizzazione, veneto-croato, che gli faceva
da damo di compagnia) di gruppi di preghiera provenienti da ogni
dove, scrive: “Papa Francesco, nel richiamarne l'esemplare figura,
sulle orme dei suoi predecessori...”. Quali predecessori?
Certamente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che lo hanno beatificato
e santificato in fretta e in furia, ma non papa Giovanni XXIII, il
“Papa buono” che definì “idolo di stoppa” quel frate, che
passava come un grande consumatore di acido fenico.
Bergoglio
è un furbone e, dopo codesta esibizione di cadaveri, per me un po'
disgustosa, presume di avere riguadagnato alla sua causa gran parte
dei credenti più ingenui e retrogradi, sottraendoli alle sirene dei
Bagnasco e dei Family
Day.
Non si può escludere peraltro che questa sua elasticità, questa sua
eccessiva furbizia finiscano per perderlo, vanificando i suoi
propositi di riforma. Non è possibile rinnovare il cattolicesimo
usando padre Pio. Non lo ha letto - da qualche parte - che “non si
può mettere il vino nuovo negli otri vecchi?”. Ha fatto i conti
senza l'oste: il suo vino si sta guastando e nessuno glielo comprerà.
La strage di san
Valentino
È andata male anche al vescovo di Terni, mons. Piemontese. Anche lui
ama trafficare con le salme dei santi, ma aveva obiettivi più
modesti: trasferire i resti di San Valentino dalla basilica dedicata
al santo, sede di una parrocchia, alla Cattedrale. Ha incontrato la
strenua resistenza del parroco e dei parrocchiani. Presumeva di
averli convinti ad accettare un trasferimento temporaneo in occasione
della solenne celebrazione del santo patrono domenica 14 febbraio, in
quella che è diventata la festa degli innamorati, e già pregustava,
nel suo piccolo, il successo. Ma, se tra san Giovanni Rotondo e Roma
dominava il macabro, qui si è passati al grottesco.
Secondo le cronache la protesta inizia nel tardo pomeriggio di
venerdì 12, dopo la recita del rosario nella basilica parrocchiale.
Mentre all'esterno un furgone aspetta il sacro carico, un gruppo di
parrocchiani e residenti circonda l'urna delle sante ossa con le
panche. I tecnici addetti allo spostamento vanno via, ma tornano dopo
un po', in compagnia del vescovo. E intanto arrivano anche polizia e
carabinieri. La parola d'ordine dei resistenti sembra essere “Dio
ce l'ha dato, guai a chi ce lo tocca”. C'è una sorta di divisione
sessuale del lavoro: le femmine, sedute sulle panche continuano a
recitare il Rosario. I maschi fronteggiano il vescovo e i suoi
collaboratori anche alzando la voce. Il vescovo tratta e fa promesse,
ma senza risultati.
A mezzanotte in diocesi si rassegnano: nel giorno di sabato 13 e il
giorno della festa patronale in Cattedrale sarà esposto il busto di
San Valentino che si trova già lì, in cui – a quanto pare – è
stata inserita qualche reliquia del santo martire. Un surrogato. Il
vescovo raccoglierà dichiarazioni di solidarietà da vescovi,
politici, associazioni, incluso un Consiglio Pastorale che supponiamo
non composto da allevatori di pecore, ma questo non farà sbollire la
sua ira che esploderà domenica 14 nell'omelia, nel corso del solenne
pontificale del Santo dell'Amore, davanti al sindaco Di Girolamo, la
presidente e il vicepresidente della Regione Marini e Paparelli, il
prefetto Pagliuca. È un complottista il monsignore. Secondo Massimo
Colonna e Chiara Fabrizi, i cronisti che sono la nostra fonte
principale, parla di “una sceneggiata orchestrata ad arte da
burattinai rimasti nell’ombra” ed estende a tutta la città che
conta il sospetto di un gioco al massacro di voci tendenziose e
infondate senza un dibattito pubblico e aperto. Tuona che non è
questo il modo di reagire a una crisi profondissima (“la città che
in Italia ha registrato l'aumento più alto della cassa
integrazione”). Anche in un osservatore disinteressato il sospetto
che sia in corso una guerra per bande è fortissima e il pensiero
corre alla strage di san Valentino ordinata da Al Capone contro i
suoi concorrenti.
Piemontese non tace sulla crisi economica della Curia: contento che i
prelati coinvolti in inchieste giudiziarie siano stati scagionati,
coglie “l'occasione dell'Anno Santo per sottoporre alla
misericordia del Signore peccati o errori, che pure ci sono stati”.
Non mi pare malignità leggere in questo un'allusione al gerarca
ciociaro, il vescovo emerito Paglia.
Primati
Il 6, il 7 e l'8 febbraio, in collegamento con il Giubileo, si è
svolta Fides, una fiera che ha rappresentato una novità nel panorama
della città di Roma, già ai primi posti nel consumo di oggetti
liturgici e devozionali. Negli spazi della Nuova Fiera di Roma i più
importanti produttori nazionali ed esteri del settore si sono dati
convegno per incontrare i commercianti al minuto e i rappresentanti
di diocesi e parrocchie. Pare che ci siano novità nel campo degli
aspersori: potranno debuttare già nella imminente campagna pasquale
di benedizione delle abitazioni. Dall'Abruzzo – lo riferisce
“Popotus”, il supplemento per ragazzi di “Avvenire” - è
arrivato un oggetto da Guinnes dei primati, un rosario lungo 83
metri, con un perimetro, dunque, di 146, realizzato a Chieti da 30
volontari dell'Unitalsi. Potrebbe tornare buono per una più lunga
resistenza delle parrocchiane di San Valentino, a Terni, nel caso in
cui Piemontese tornasse alla carica.
Messico
e nuvole
S'è esaurita intanto la missione giubilare di Bergoglio, nella
nativa America Latina. A Cuba, di passaggio, ha incontrato il
patriarca ortodosso di Mosca, per esprimere la speranza di una
ritrovata unità delle Chiese. Lo ha chiamato “mio fratello
Cirillo”. Qualcuno ha visto, in questo successo diplomatico, lo
zampino del vecchio Castro.
Il
soggiorno in Messico, cominciato con la celebrazione dell'anno
giubilare e l'incontro con le famiglie nel prestigioso santuario
della Madonna di Guadalupe, avviene in un paese dove oggi, anche per
effetto delle politiche neoliberistiche, per il peso delle narcomafie
e per la dilagante corruzione nella politica, nella polizia e
nell'esercito, sembra vigere un'oppressione e una repressione più
feroce che altrove, che si concreta nel numero dei desparecidos,
soprattutto studenti, oppositori politici e attivisti sindacali. Non
è solo opera dei narcos,
ma di squadre di poliziotti travestiti. Bergoglio si è trovato
peraltro alle prese con un episcopato molto chiacchierato, almeno in
alcuni suoi importanti esponenti, per i favori resi ai politici (un
discutibile annullamento del matrimonio concesso al presidente della
Repubblica) e per la protezione concessa a preti pedofili: ha chiesto
ai vescovi di prendere le distanze dal potere, dalla ricchezza e
dalle sue pompe e recuperare la “limpidezza dello sguardo”. I
discorsi, di durissima denuncia, rivolti al mondo del lavoro e ai
migranti sono stati di sicuro i più importanti ed hanno incontrato
molta risonanza in un subcontinente dove pezzi di Chiesa sono
impegnati in lotte sociali. In essi il Papa ha usato categorie cui
non ricorre spesso, come lo “sfruttamento”. Occorrerà una
lettura più attenta per capire direzione e senso del messaggio.
Intanto,
lasciando il Messico avvolto nelle sue torbide nuvole, Francesco è
tornato in Vaticano. L'Anno Santo continua con il
Giubileo della Curia Romana, del Governatorato e delle Istituzioni
collegate alla Santa Sede. Serpi in seno.
"micropolis", febbraio 2016
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