Un vicolo nel cuore della vecchia Palermo |
L'insulto preferito dai
palermitani è stato a lungo e forse continua ad essere “cornuto”.
Ho ancora vivissima l'immagine di un uomo che dai “popolari”
della Favorita compitava la formazione della squadra avversaria:
“Anzolin – Castano – Salvadore - … - Nicolè - Del Sol –
Miranda – Sivori - Crippa”. E dietro a lui una folla a gridare:
“CU(I)NNUTI” - con una mezza i. I palermitani, infatti, non
dicono cunnuti, come i catanesi, o curnuti come noi dell'agrigentino,
ma per l'appunto “cu(i)nnuti”, con la “i” che si sente e non
si sente, una “i” sottodetta come l'antica “iota” greca era
talora “sottoscritta”. Accade quasi sempre quando si trasporta
nella parlata palermitana una parola che in lingua presenta la
liquida r seguita da consonante: “portiere” per esempio diventa
pu(i)ttieri. Qualche volta succede anche con la elle: “polmone”
diviene pu(i)mmuni e può perfino capitare che un vigile
palermitano vi raccomandi di non ca(i)ppestare le aiuole.
Con Gianni, un caro
compagno di studi che abitava nella mia stessa pensione, andavamo di
tanto in tanto a cena in una piccola trattoria dalle parti della
stazione. Vi prestava servizio un ragazzino di 13 o 14 anni che, come
capitava spesso tra i figli del popolo, di scuola ne aveva fatto
poca: gli piaceva però parlare (e cantare) in italiano. Una volta lo
sentimmo a canticchiare “applavosi di gente intorno a me”:
credendo “applausi” un vocabolo siculo lo aveva – a modo suo –
toscanizzato. Una volta che per risparmiare ci informavamo su quale
fosse il piatto del giorno, disse che c'erano i “caldi”. Non
capivamo cosa volesse dire e chiedemmo: “Caldi che cosa?”. Un po'
infastidito dalla domanda replicò: “I caldi, i caldi, i
ca(i)dduna!” . Erano cardi dunque, quei gobbi che in continente
cucinano alla parmigiana e che a Palermo prediligono in pastella.
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