30.3.16

Cornuti a Palermo (S.L.L.)

Un vicolo nel cuore della vecchia Palermo
L'insulto preferito dai palermitani è stato a lungo e forse continua ad essere “cornuto”. Ho ancora vivissima l'immagine di un uomo che dai “popolari” della Favorita compitava la formazione della squadra avversaria: “Anzolin – Castano – Salvadore - … - Nicolè - Del Sol – Miranda – Sivori - Crippa”. E dietro a lui una folla a gridare: “CU(I)NNUTI” - con una mezza i. I palermitani, infatti, non dicono cunnuti, come i catanesi, o curnuti come noi dell'agrigentino, ma per l'appunto “cu(i)nnuti”, con la “i” che si sente e non si sente, una “i” sottodetta come l'antica “iota” greca era talora “sottoscritta”. Accade quasi sempre quando si trasporta nella parlata palermitana una parola che in lingua presenta la liquida r seguita da consonante: “portiere” per esempio diventa pu(i)ttieri. Qualche volta succede anche con la elle: “polmone” diviene pu(i)mmuni e può perfino capitare che un vigile palermitano vi raccomandi di non ca(i)ppestare le aiuole.
Con Gianni, un caro compagno di studi che abitava nella mia stessa pensione, andavamo di tanto in tanto a cena in una piccola trattoria dalle parti della stazione. Vi prestava servizio un ragazzino di 13 o 14 anni che, come capitava spesso tra i figli del popolo, di scuola ne aveva fatto poca: gli piaceva però parlare (e cantare) in italiano. Una volta lo sentimmo a canticchiare “applavosi di gente intorno a me”: credendo “applausi” un vocabolo siculo lo aveva – a modo suo – toscanizzato. Una volta che per risparmiare ci informavamo su quale fosse il piatto del giorno, disse che c'erano i “caldi”. Non capivamo cosa volesse dire e chiedemmo: “Caldi che cosa?”. Un po' infastidito dalla domanda replicò: “I caldi, i caldi, i ca(i)dduna!” . Erano cardi dunque, quei gobbi che in continente cucinano alla parmigiana e che a Palermo prediligono in pastella.

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