Centenari. A Dublino
il sindacalista Jim Larkin proclamò uno sciopero generale quando
centinaia di lavoratori della Dublin United Tramways Company vennero
licenziati. La città si paralizzò...
Il sindacalista Jim Larkin, detto il grande Larkin |
Una vecchia ballata
dublinese recita più o meno così: «Ricchi erano i padroni, a
Dublino nel 1913, e i poveri schiavi / Le donne al lavoro, i figli
affamati; ma poi venne Larkin… / La voce dei lavoratori, la voce
della giustizia… / Li incitò alla rivolta e diede loro coraggio…
/ Per otto mesi abbiamo lottato e sofferto la fame / Siamo stati al
suo fianco, nel bene e nel male, / ma senza nulla da mangiare, e tra
il pianto dei bimbi, sono riusciti a spezzarci il cuore: era
impossibile vincere». Corre quest’anno, e precisamente il 26 di
agosto, il centenario dell’inizio del più grande sciopero, o
meglio, della più grande serrata della storia d’Irlanda, il Dublin
Lockout, che paralizzò le strade della capitale irlandese
dall’agosto 2013 fino agli inizi del febbraio 2014.
Furono mesi di indicibile
indigenza, di sofferenza e di morte per tantissimi componenti della
working class di Dublino, assiepati in quei tenements o palazzoni
ancora visibili nella parte nord del centro città: edifici georgiani
un tempo abitati dalla media e alta borghesia, ma trasformati tra
fine ottocento e gli inizi del novecento in dormitori urbani, in cui
spesso famiglie intere vivevano a caro prezzo condividendo i servizi
fatiscenti con le altre decine di inquilini dello stesso edificio.
Nella sorte particolare
che hanno vissuto le rivisitazioni storiche in Irlanda,
paradossalmente poco spazio è stato concesso a questo passaggio
fondamentale, che segnò il futuro del paese. Ciò, forse, per via
della prossimità con altri due eventi maggiormente impressi
nell’immaginario collettivo: la prima guerra mondiale, che vide
tanti irlandesi, mai perdonati, combattere tra le fila dell’esercito
britannico, e la rivolta di Pasqua del 1916, a cui hanno partecipato
i nazionalisti anti-britannici e i socialisti rivoluzionari. Eppure,
l’ideologia che guidò la partecipazione di parti contrastanti del
popolo irlandese ad entrambe le disperate imprese non potrebbe essere
compresa in tutte le sue pieghe e contraddizioni senza una lettura
critica del Lockout, delle sue motivazioni, e del riverberarsi della
eco di quei mesi drammatici nell’imminente plasmarsi della nazione.
Ripercorriamo, allora, quegli eventi.
Dublino, una delle
capitali dell’impero britannico, non godeva di molte delle
prerogative di una capitale. Non essendovi un governo nazionale, il
capo di stato era il monarca inglese, il quale delegava i poteri
ufficialmente al viceré, ma il potere operativo era affidato al
Chief Secretary for Ireland, una sorta di ministro plenipotenziario
che si occupava degli affari irlandesi nell’ambito delle dinamiche
coloniali. Dublino era una città divisa tra una aristocrazia locale
chiaramente filobritannica, una giovane borghesia di piccoli, medi e
grandi commercianti e imprenditori, adeguatisi nella maggior parte
dei casi allo status quo, e dunque integrati nelle dinamiche di
scambio con la «madrepatria», ed infine un’ampia classe popolare,
fatta di lavoratori sfruttati e di disoccupati, di famiglie
numerosissime che vivevano molto al di sotto di quella che oggi
chiameremmo la soglia minima di povertà.
La classe media, e
ovviamente l’aristocrazia, non avevano la più pallida idea delle
condizioni di vita in cui versava la classe lavoratrice di Dublino.
Di 400.000 abitanti, quasi 90.000 risiedevano nei già citati
tenements, e l’80% delle famiglie vivevano stipate in una sola
stanza. Tra il 1913 e il 1914, una commissione d’inchiesta di
nomina governativa fu istituita per studiare il problema delle
condizioni di vita delle classi popolari. Nel rapporto del 1914 si
legge dell’esistenza di molti tenements composti da «sette o otto
stanze, ognuna destinata a una famiglia, che ospitano in totale tra
le quaranta e le cinquanta persone». Un testimone interrogato dalla
commissione raccontò d’aver visto in uno di quei palazzoni «una
stanza di 3 metri quadrati, senza alcun mobilio, in cui una famiglia
di 9 persone, tra cui 7 bambini, dormiva senza coperte per terra su
un cumulo di paglia che non sarebbe bastato a un gatto». In questa
zona, un tempo nobile, di Dublino la prostituzione e l’alcolismo
erano la regola. Le drammatiche condizioni di vita, assieme a una
disoccupazione massiccia (intorno al 20% nel 1911 tra la popolazione
maschile) o nei casi più fortunati a impieghi saltuari, malpagati e
soggetti a orari lavorativi oggi impensabili (fino a 70 ore a
settimana), alla conseguente malnutrizione generalizzata e alla
diffusione di malattie come la Tbc, il tifo, e la dissenteria, erano
la causa di elevatissimi tassi di mortalità, anche tra gli adulti.
Queste erano le
condizioni in cui operò il sindacalista Jim Larkin, la cui statua
tuttora campeggia all’estremo nord di O’Connell street, la strada
principale di Dublino, accanto ai quartieri popolari di cui divenne
l’indiscusso eroe. Il suo carattere indomito è colto benissimo dal
recente graphic novel Big Jim. Jim Larkin and the 1913 Lockout (O’
Brien Press, pp. 80, euro 12.99). Ma Larkin operava anche in una
situazione politica del tutto peculiare, in cui un forte partito
politico fautore della legge di autogoverno (Home Rule) aveva appena
iniziato a perdere consenso a favore del neonato Sinn Féin, fatto di
nazionalisti e repubblicani che leggevano la situazione contemporanea
tutta in chiave anti-inglese. A questo partito si affiancava
idealmente un movimento di rinascita della cultura gaelica, portato
avanti da un gran numero di associazioni operanti in vari settori,
dallo sport alla lingua, dal teatro alla letteratura. Tuttavia,
l’operato di Larkin e la serrata del 1913 vanno inserite
soprattutto nel contesto di un labour movement che prendeva piede a
fatica in Irlanda, soprattutto per la mancata industrializzazione —
con la sola eccezione del Nord.
La maggior parte dei
sindacati di peso avevano base in Inghilterra, e riunivano per lo più
lavoratori di singoli settori. Larkin apparteneva al sindacato dei
portuali (il National Union of Dock Labourers) e da lì, accorpando i
tanti lavoratori impiegati nella grande azienda privata dei trasporti
cittadini (la Dublin United Tramways Company), ma aprendosi anche a
tutti gli altri general labourers, fondò nel 1909 la Irish Transport
and General Workers Union (Itgwu), il sindacato che diede l’impulso
maggiore allo sciopero e la serrata. Il nemico naturale era
ovviamente proprio l’azienda dei trasporti cittadini, capitanata
dall’alter ego di Larkin, tale William Martin Murphy, proprietario
anche del giornale The Irish Independent, dei magazzini Clery’s, e
rappresentante di punta della federazione dei datori di lavoro di
Dublino. Questi aveva dalla sua il supporto pressoché unanime della
camera di commercio.
Murphy, ferocemente
ostile ai metodi oltranzisti di Larkin, e soprattutto alla sua
politica del cosiddetto sympathetic strike, ovvero dello sciopero di
solidarietà, attuato da lavoratori appartenenti ad aziende non
direttamente oggetto del contenzioso in atto, iniziò ad ostracizzare
sistematicamente i membri del Itgwu, o a non considerarne
l’assunzione. Il 21 agosto del 1913 centinaia di lavoratori della
Dublin United Tramways Company ricevettero una lettera di
licenziamento, per via della loro appartenenza al sindacato. E fu
così che Larkin decise di indire uno sciopero generale per il 26 di
agosto, giorno in cui si sarebbe svolto il famoso Dublin Horse Show.
La scelta fu oculata. Alle 10 del mattino, senza preavviso alcuno, i
tram di Dublino si fermarono, e la città fu bloccata. Altre
categorie si unirono in segno di solidarietà.
Seguirono giorni di
scontri e violenze, tra scioperanti e crumiri, e soprattutto tra
membri del sindacato e polizia. Il 30 agosto ci scappò il morto,
James Nolan. Un testimone, Stephen Gilligan, racconta che l’agente
Bell, matricola 224C, continuò a picchiare Nolan col suo manganello,
anche quando questi finì a terra. Il giorno dopo, gli scontri e le
violenze della polizia furono tali da far ricordare quella domenica
come uno dei primi Bloody Sunday della storia irlandese. La notte del
3 settembre, Murphy e altri 404 padroni prepararono un documento che,
se firmato dai lavoratori, avrebbe permesso loro di essere riassunti.
La condizione era di rinunciare per sempre all’appartenenza al
sindacato. In pochissimi firmarono, e la serrata continuò.
Dall’Inghilterra
giunsero, nei primi mesi, navi cariche di derrate di cibo da
destinare agli scioperanti, inviate dal British Trade Union Congress,
che tuttavia si rifiutò sempre di indire uno sciopero generale di
solidarietà in Gran Bretagna, errore strategico che Larkin non
perdonò mai. Invece, il consenso per gli scioperanti in Irlanda
cresceva trasversalmente. George Russell, sodale di W.B. Yeats,
indirizzò dalle colonne dei giornali queste parole agli
intransigenti «padroni»: «forse l’avrete vinta, e con la
vittoria vi guadagnerete la dannazione. Le persone la cui dignità di
uomini avete piegato vi odieranno… I loro figli impareranno a
maledirvi…». Dopo mesi di sofferenze, fame, e indigenza, gran
parte dei lavoratori firmò il documento dei padroni, e gli fu
permesso di tornare al lavoro.
Ma, come predetto da
Russell, fu una vittoria di Pirro. Dopo pochi mesi, in molti si
iscrissero di nuovo al sindacato che avevano dovuto abbandonare, e
questa volta i padroni non ebbero il coraggio di affrontare una nuova
serrata, poiché la prima era costata loro centinaia di migliaia di
sterline in commerci mancati. Il senso di questo esempio epocale di
lotta di classe è profeticamente colto dal monito dall’altro
grande sindacalista irlandese, il padre della repubblica, James
Connolly: «I padroni non sono riusciti a condurre i loro affari per
via di tutti quegli uomini e quelle donne che sono rimasti fedeli al
sindacato. I lavoratori non sono riusciti a spingere i padroni a
riconoscere formalmente il sindacato e a preferire il lavoro
organizzato. Delle conseguenze di questo pareggio, entrambe le
fazioni portano le ferite. Quanto queste siano profonde, a nessuno è
dato rivelare».
Alias domenica – il
manifesto, 21 agosto 2013
Nessun commento:
Posta un commento