Sposo ebreo procede alla rottura rituale del bicchiere |
Un calice rotto in mille
pezzi, con un bel rumore secco, e più fa fracasso, miglior fortuna
porta. Del rito matrimoniale ebraico, antico e arcano, la rottura del
bicchiere da parte dello sposo è il simbolo più enigmatico. È
forse in memoria della distruzione di Gerusalemme, lutto portato
sempre, anche nella festa più gioiosa? Oppure il cristallo che si
spezza ricorda la frattura dei vasi cosmici, che per i cabbalisti ha
dato origine al nostro mondo, rabberciato e tutto da riparare?
Qualcuno pensa che quel gesto sia metafora dell’apertura
dell’imene, una deflorazione in vetro.
A cercar tra le schegge,
spunta però un ospite che nessuno vuole, un demone, o molti brutti
ceffi suoi pari, che portano male, chi mai li ha invitati? Il botto,
la coppa nuova schiantata a terra, potrebbero essere altrettanti
accorgimenti per placare e scacciare le forze cattive, che a procurar
danni ci vanno, appunto, a nozze. O almeno così era in antico,
quando nacque l’usanza. A poco a poco, col rabbonirsi dei demoni
(chissà se è vero!) e con il progresso, del vecchio malocchio s’è
perso il ricordo, e son restati solo i frammenti sparpagliati tra
moglie e marito. Uno per cerimonia, pensate quanti bicchieri rotti
sono nascosti tra le pagine dei contratti matrimoniali, le ketubbot,
della raccolta Fornasa di Sermide, nel Mantovano, di cui ora si
pubblica il catalogo (Sofia Locatelli, Mauro Perani, Le ketubbot
italiane della collezione Fornasa, Giuntina, Firenze). Da Ancona
a Firenze, da Roma a Mantova, e fino a Gibilterra, e dal Seicento
fino all’Ottocento, decine e decine di pergamene ricordano nomi,
date, luoghi, e raccontano di un giudaismo italiano tenace e gioioso.
Dei demoni nessuna traccia. Che si tengano pure i loro cocci - basta
che se ne stiano alla larga, che qui ci si ama.
Il sole 24 Ore Domenica,
28 giugno 2015
Nessun commento:
Posta un commento